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editoriale su colture transgeniche
- Subject: editoriale su colture transgeniche
- From: "AlessandroGimona"<agimona at libero.it>
- Date: Wed, 24 May 2000 10:48:44 +0200
Cari tutti, ho scritto questo editoriale ripetendo in parte cose gia' dette ed ampliando l'argomentare e le fonti...ho anche cercato di rispondere ancora una volta, e spero meglio che nei precedenti interventi, alla tesi che queste questioni interessino solo 'ecologisti' e che questi interferiscano con la presunta missione che le trasformazioni genetiche avrebbero di sfamare il mondo. Potete trovare questo pezzo sulla pagina principale di Peacelink http://www.peacelink.it Saluti Alessandro Gimona Chi semina vento... di Alessandro Gimona Le preoccupazioni sui rischi posti da colture e cibi transgenici sono solo da "ecologisti con la pancia piena", come ha sostenuto di recente, secondo "L'Espresso" , Norman Borlaug, uno dei padri della 'rivoluzione verde' in agricoltura? La risposta e' un sonoro no. Cerchero' di spiegare brevemente perche' le accuse siano infondate, e come il recente incidente sulla colza transgenica in Europa esemplifichi i rischi per il terzo mondo nel presente contesto. Infine, cerchero' di riassumere perche' i benefici 'in astratto' non corrispondano, per ora, a benefici concreti. Ecologismo Cominciamo con il refutare l'accusa di 'ecologismo', esaminando alcune voci scientifiche indipendenti. Timori ed inviti and investigare i rischi sono infatti stati espressi anche da scienziati che lavorano in universita' enti governativi e istituzioni internazionali. La British Medical Association, ha formalmente invitato ad adottare il Principio di Precauzione,e ad operare una separazione di filiera, fino a che i timori di potenziali effetti nocivi non vengano fugati. Inoltre la BMA ha chiesto una moratoria dell'introduzione nell' indeterminato, fino a che non vi sia chiarezza. Sir William Asscher, presidente del BMA Board of Science and Education, ha dichiarato: [fonte:http://www.bma.org.uk/news/990517.html] Una volta che il genio GM sia fuori dalla bottiglia l'impatto sull'ambiente e' probabilmente irreversibile. Ecco perche' il principio di precauzione e' estremamente importante in questa questione. E' persino piu' serio che nel caso della licenza per I farmaci, che puo' essere revocata. Ecco perche' la BMA fa pressione per una moratoria a tempo indeterminato, fino a che vi sia una certezza molto maggiore riguardo a rischi e potenziali benefici degli OMG." English Nature (l'ente di protezione della natura inglese, che rappresenta anche gli altri enti del Regno Unito su queste questioni) ha chiesto il bando per almeno tre anni delle colture resistenti agli erbicidi. Dr Brian Johnson, suo consulente scientifico ha dichiarato nel gennaio del 1999: " Riteniamo che l'uso comerciale di GMHT (piante modificate resistenti agli erbicidi) che si basa sull'applicazione di potenti erbicidi rendera' l'agricoltura ancora piu' intensiva, causando ancora piu' danni alle specie selvatiche agricole. Il Regno Unito ha sottoscritto impegni internazionali per il mantenimento delle specie selvatiche a livelli sostenibili, dunque urge risolvere problemi legati all' agricoltura intensiva, anziche' aggravare questi problemi con l'uso di colture GMHT." La Union of Concerned Scientist, un associazione basata negli Stati Uniti, formata da scienziati che lavorano, in prevalenza, sia nel mondo accademico che in enti governativi, e' da anni molto critica sui rischi e sull' uso che si intende fare delle tecnologie genetiche in agricoltura. Il suo sito web [http://www.ucsusa.org ] e' ricco di informazione critica. Dubbi e incertezze sollevati da alcuni scienziati e gruppi di pressione, sono stati in parte riconosciuti anche da un recente rapporto della National Academy of Sciences ne ni [executive summary http://www.nap.edu/html/gmpp/]. Qui si mette in luce la necessita' di ulteriori ricerche, anche a lungo termine, per valutare impatti in campo ambientale e alimentare delle piante autoinsetticide. Di recente anche la FAO e' intervenuta nel dibattito su costi e benefici delle biotecnologie in agricoltura, con una dichiarazone ufficiale che evidenzia la presenza di possibili benefici, ma invita anche a valutare attenatamente i rischi [http://www.fao.org/biotech/state.htm] Cio' dovrebbe bastare. Pancia Piena Che dire poi della 'pancia piena?' Anche questo mito puo' essere rigettato. Un argomento spesso portato a sostegno delle modificazioni genetiche in agricoltura e' che queste sono indispensabili a sfamare il mondo e specialmente il terzo mondo. Nel presente contesto, questa e' un' esagerazione. L' attuale ricerca, improntata a fini commerciali, e' piu' concentrata su prodotti che soddifano i mercati del primo mondo piuttosto che le esigenze dei paesi del terzo mondo. Anche in questo caso, un esame dei documenti FAO puo' essere profiquo. Secondo gli esperti FAO sulla sicurezza alimentare, e secondo il suo direttore generale, il mondo produce gia' abbastanza cibo per sfamare i suoi abitanti. Questo non significa che un aumento delle rese in terreni marginali non possa in alcuni casi servire. Tuttavia, il recente rapporto FAO sulla sicurezza alimentare dice chiaramente che le cause prime della fame, in molti paesi, sono socio-economiche. Si consulti, per esempio l' introduzione del Direttore Generale della FAO al recente rapporto in materia [http://www.fao.org/FOCUS/E/SOFI/for-e.htm]. Il documento puo' essere esaminato per intero allo stesso indirizzo. Nell' Executive Summary ("Meeting the Challenge") si trovano frasi come: " e' chiaro che non c'e' una prescrizione unica per combattere la fame" "nelle societa' in pace (cioe' dove non ci sia guerra ndt) poverta' e marginalizzazione sono le radici della fa aggiungere gli obbiettivi del World Food Summit del 2015, cio' dimezzare il numero degli affamati." Coloro che sostengono che le modificazioni genetiche siano la chiave per sfamare il mondo dovrebbero avere la cortesia di dire su quali dati si basano le loro conclusioni, evidentemente in contrasto con quelle degli esperti FAO , e quale contesto socio-economico immaginino per la loro applicazione. Potrebbe nascerne un affascinante dibattito. Il fatto che la fame abbia ragioni principalmente socio-economiche spiega l'opposizione di alcuni settori della societa' civile all' introduzione di queste tecnologie nel terzo mondo. Esse, in combinazione con i mecanismi di brevetto delle sementi, possono avere serie conseguenze nei paesi in via di sviluppo, ed e' probabile che in molti casi contribuiscano ad aggravare, anziche' a risolvere il problema della sicurezza alimentare, specialmente per i piccoli agricoltori, anche se e' possibile che, in casi particolari, l'introduzione di nuove biotecnologie sia fruttuosa. Veniamo ora a come il recente (maggio 2000) incidente che ha visto la mescolanza di semi normali e transgenici sia rilevante per questo dibattito. Un errore di separazione ha provocato la involontaria messa a dimora in Europa di migliaia di ettari di piante transgeniche. Si consideri ora la tecnologia Terminator, cioe' piante brevettate che producono semi sterili (per proteggere diritti delle compagnie sulle sementi). L' introduzione di tale tecnologia, considerata inaccettabile dalla FAO in quanto minaccia la sicurezza alimentare di agricoltori di sussistenza, conferma che le intenzioni delle compagnie sono rivolte a proteggere i propri brevetti e i margini di profitto, piu' che preoccupate di contribuire alla sicurezza alimentare. In questo caso, i due obbiettvi contrastano. La tecnologia Terminator e' pericolosa perche' e' difficile mantenere separate sementi transgeniche da quelle non modificate. La difficolta' nel mantenere tale separazione e' stata dimostrata dall'incidente che ha coinvolto Canada e Europa. Nel terzo mondo questo tipo di incidenti e' certamente piu' probabile. La diffusione di piante con gene Terminator, in un contesto in cui non vi siano infrastrutture adeguate a mantenere i tipi di sementi separate, puo' far si che famiglie o anche interi villaggi facciano la fame, dopo aver piantato, a loro insaputa, semi inutili. Grazie alla normativa internazionale sulla proprieta' intellettuale (TRIPS), vi e' la concreta possibilita' che un crescente numero di agricoltori diventi dipendente dalla tecnologia offerta e posseduta in esclusiva da poche compagnie. Industrie biotecnologiche possono anche appropriarsi di varieta' tradizionali adattate ad un certo ambiente inserendovi qualche nuovo gene e brevettandole come nuovi organismi. Anche ammettendo una qualche limitata forma di brevettabilita', come nel caso della produzione di nuove varieta' non transgeniche, appare ingiusto che le industrie si approprino di un processo di miglioramento e adattamento che e' solo culminato con l'aggiunta di qualche gene, ma che e' basato su processi di evoluzione naturale e miglioramento pre-esistenti. La brevettabilita' in questi casi appare molto discutibile. Piu' in generale meccansismi per compensare gli agricoltori e i paesi che hanno sviluppto una certa varieta' debbono essere messi a punto e il concetto di brevettabilita' ridiscusso, se si vuole trovare un compromesso accettabile tra esigenze di recuperare investimenti, e giustizia. Molte associazioni non governative chiedono il bando totale della brevettabilita' di materia vivente, per lo meno per i paesi in via di sviluppo, visto il suo contrasto con la Convenzione sulla Biodiversita'. In conclusione, esiste il rischio che un settore di evidente importanza strategica, come quello della sicurezza alimentare, sia fortemente influenzato da un ristretto numero di Corporations che hanno come fine sociale dic la "responsabilita' verso i loro azionisti", cioe' generare profitto, ma non verso la societa'. Possibili benefici? Ferma restando la assoluta necessita' di valutare i rischi con attenzione, lo scenario dei benefici sarebbe diverso se la ricerca fosse orientata a rispondere alle esigenze dei paesi in via di sviluppo e se tali paesi potessero beneficiare liberamente dei suoi risultati. Questi obbiettivi potrebbero essere perseguiti in modo efficace solo dalla ricerca pubblica. Le piante prodotte al momento dalle compagnie biotecnologiche, infatti, non sono in grado di dare una risposta ai problemi dei piccoli agricoltori del Sud del mondo, e possono persino esacerbare i problemi soci-economici. Se si escludono gli Stati Uniti, dove si trova circa il 75% della superficie coltivata con piante modificate, altri paesi importanti sono Cina Argentina Messico Sud Africa. A parte la Cina, negli altri paesi la produzione e' concentrata in aziende di larghe dimensioni (a cui le attuali piante sono adatte) che producono per i mercati del primo mondo. Fino ad ora la ricerca comerciale non si e' concentrata sulle esigenze e condizioni dei paesi del terzo mondo e i caratteri sviluppati per i mercati del Nord non hanno rilevanza diretta nei paesi in via di sviluppo. Ad esempio, la produzione di tossine insetticide pone il problema della gestione degli insetti resistenti. Questa richiede buone conoscenze ed adeguata assistenza tecnica, improbabili nel caso di piccoli agricoltori nel terzo mondo. La quantita' di denaro investita in ricerca tecnologica "not for profit" dalla Rockfeller Foundation attraverso istituti pubblici e' poco piu' di un millesimo del budget di ricerca (1.3 miliardi di dollari) della Monsanto. Lo sviluppo di caratteri rilevanti, quindi, puo' procedere solo con estrema lentezza. Per fare un esempio, anziche' introdurre la tolleranza agli erbicidi nel riso, si potrebbe cercare di sviluppare piante a chioma piu' fitta che com le loro infestanti. E' vero d'altra parte che, sempre nel riso, (dieta base di circa due miliardi di persone) la introduzione di geni per la produzione di pro-vitamina A potrebbe alleviare la malnutrizione infantile. Tali geni non esistono nel corredo genetico del riso, e possono essere inseriti solo prendendoli da altri organismi (i Narcisi). Ottimi progressi in questo senso sono stati fatti dall'Istituto Federale Svizzero per la Tecnologia, in collaborazione con l'Universita' di Freiburg . Questo e' solo un primo passo, comunque, poiche' non e' chiaro, per ora, se la biodisponibilita' di provitamina A nel riso, sara' effettivamente sufficiente a sanare il problema. L'esperienza mostra che la biodisponibilita' di provitamina A nei vegetali e' spesso insufficiente. Idealmente, dunque, la messa a punto di piante modificate adatte a rispondere alle esigenze del terzo mondo potrebbe portare benefici, se questa fosse esattamente mirata e se tale sviluppo coinvolgesse gli agricoltori stessi. Come nel caso analogo dei farmaci, pero', lo sviluppo di prodotti che allevierebbero problemi di sopravvivenza o sussistenza, ma che portano profitti scarsi, puo' essere condotto molto meglio dalla ricerca pubblica. Questo si applica anche a problemi ambientali. Per esempio e' stato fatto notare da Pimentel (Cornell University) che se si riuscisse ad allungare la vita delle piante di cereali da un anno a quattro-cinque anni, cio' ridurrebbe l'erosione dei suoli migliorerebbe la conservazione di nutrienti e renderebbe l'agricoltura piu' sostenibile. Cio' tuttavia ridurrebbe i margini di profitto dell'industria biotecnologica e chimica. Per riassumere, l'introduzione di biotecnologie di proprieta' di grandi compagnie nel contesto socioeconomico di molti paesi in via di sviluppo avra' come probabile conseguenza la marginalizzazione di molti piccoli agricoltori, la ulteriore scomparsa di varieta' adattate agli agro-ecosistemi esistenti, possibili ca estie locali, l'insorgenza di resistenze, la dipendenza della sicurezza alimentare di molti paesi dalle esportazioni di pacchetti tecnologici semente-sostanza chimica. Pertanto e' importante non confondere generiche, e per ora alquanto teoriche, affermazioni che le modificazioni genetiche in agricoltura possano essere di gran benficio all'umanita' con lo specifico modello industriale che si va delineando, e che tende ad integrare tutti i paesi nel sistema agro-alimentare globale. Da questo modello le compagnie trarrebbero vantaggio, ma esso ha conseguenze negative per la sostenibilita' ambientale e sociale dell'agricoltura stessa. In conclusione, coloro che parlano di ingegneria genetica per migliorare le condizioni del terzo mondo, ne parlano in astratto, come se la ricerca pubblica fosse fiorente e mirata ( e non vi fossero possibili rischi) ma trascurano quello che sta per avvenire in realta'in quei paesi.
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