A volo d'uranio



dal manifesto di martedi 4 aprile 2000

A volo d'uranio

Sarà pure "impoverito", ma può essere molto pericoloso.
Eppure viene impiegato non solo in guerra, ma anche per
scopi "civili". Perché?

ANGELO MASTRANDREA

Quattro ottobre 1992. Un Boeing 747 della compagnia israeliana El Al
precipita in un sobborgo di Amsterdam, uccidendo 43 persone. Cittadini e
soccorritori accusano problemi di salute molto simili a quelli capitati in
malasorte a veterani dell'esercito Usa e a civili iracheni coinvolti nella
guerra del Golfo. Malanni meglio noti come "Sindrome del Golfo". Il Boeing
trasportava armi chimiche e, in più, utilizzava come contrappeso 282
chilogrammi di uranio impoverito, come aveva da subito denunciato la Laka
foundation (un'organizzazione privata) e come confermerà un'inchiesta
parlamentare il 22 aprile scorso. 11 giugno 1999. Un Hercules C-130 della
Royal air force inglese precipita, in piena notte, ad appena 200 metri dal
campo profughi albanese di Kukes, mentre era diretto verso l'aeroporto di
Pristina, che sarà poi occupato dai russi. Il luogo dell'incidente è subito
isolato. La propaganda di guerra non consente di sapere dell'incidente se
non dopo tre mesi. Anche l'Hercules trasportava uranio impoverito. 22
dicembre 1999. Un jumbo della Korean airlines precipita nei pressi
dell'aeroporto di Stansted, in Inghilterra. I morti sono quattro, ma
l'incendio di 425 chilogrammi di uranio impoverito fa presumere che molti
dei soccorritori abbiano respirato il pericoloso ossido sprigionatosi. Sono
solo gli ultimi, più clamorosi casi di contaminazioni relative all'utilizzo
"civile" dell'uranio impoverito, un metallo pesante più tristemente noto
per i suoi utilizzi bellici (nei Balcani, dalla Bosnia al Kosovo, e in
Iraq), ma anche per altri usi, legati al basso costo e a problemi di
smaltimento. I soli Stati uniti ne hanno, infatti, circa 750mila tonnellate
(al cui confronto le 17 tonnellate italiane paiono bruscolini), stoccate in
tre siti, come ha confermato un rapporto del Dipartimento per l'energia
(Doe) al Congresso lo scorso luglio. Il rapporto non si limita a dire
quanto uranio impoverito è presente negli States, ma si è soffermato anche
sul possibile reimpiego. Secondo il Doe, dato che lo stoccaggio di
tonnellate di uranio comporta costi elevati, il parziale riutilizzo di
questi materiali da parte dell'industria consentirebbe un notevole
risparmio. Per questo motivo fin dagli anni '60 si è cominciato a
sperimentare la possibilità di riciclare l'uranio, soprattutto nella
produzione di armi. Dall'inizio degli anni '70 si è invece cominciato a
utilizzarlo come contrappeso sugli alettoni e nelle code degli aerei, ma
anche per altri usi civili (un elenco abbastanza dettagliato è contenuto in
una brochure pubblicitaria della società Sicn, appartenente al gruppo
francese Cogema). Una compagnia legata alla Lockheed Martin, l'americana
Starmet, ha addirittura brevettato un cemento armato all'uranio impoverito,
denominato Ducrete. Mentre la Siemens power corporation (acquirente
dell'uranio italiano di Trino Vercellese e di Caorso, in partenza proprio
in questi giorni), prima che fosse bloccata proprio dal Dipartimento per
l'energia Usa, riciclava l'uranio in un fertilizzante per l'agricoltura.
Sull'onda dei numerosi incidenti aerei e degli scali in Italia, sempre più
numerosi, di velivoli che presentano ossidazioni proprio dove sono
contenuti i contrappesi all'uranio (nella coda e nelle ali), due vigili del
fuoco dell'aeroporto di Malpensa, Walter Perin e Ferdinando Mattei,
entrambi delle rappresentanze sindacali di base, hanno presentato, lo
scorso autunno, un esposto alla Procura della repubblica di Busto Arsizio,
segnalando la presenza di ingenti quantità del materiale radioattivo su
molti aerei di linea che fanno scalo nell'aeroporto milanese. Nel corposo
dossier allegato alla denuncia, si sottolinea la pericolosità dell'uranio
impoverito in caso di incidente e l'inadeguatezza dei vigili del fuoco ad
affrontare una eventuale emergenza. La vicenda, almeno a Busto Arsizio, non
ha avuto seguito, perché la Procura ha chiesto l'archiviazione
dell'inchiesta. Ma ha innescato una scintilla che ha portato Medicina
democratica (l'associazione già promotrice dell'inchiesta sulle morti e le
malattie degli operai del petrolchimico di Marghera, causate dal cloruro di
vinile) a integrare il dossier delle Rdb e a presentarlo a tutte le procure
delle città sedi di aeroporto. Da qui la decisione del magistrato veneziano
Felice Casson di indagare sull'utilizzo dell'uranio impoverito nella
costruzione di aerei, e sui rischi per la salute di passeggeri e addetti
alla manutenzione dei velivoli. Casson, tra gli altri, ha sentito anche
alcuni dirigenti dell'Alitalia e rappresentanti sindacali dell'aeroporto
"Marco Polo" di Venezia. I rischi sarebbero legati alla corrosione dei
contrappesi, ossidati dagli agenti atmosferici, e che quindi potrebbero
emettere polveri tossiche; e a eventuali incidenti, ipotesi tutt'altro che
remota, se si guarda a episodi inquietanti come quelli di Amsterstam e di
Stansted. In quest'ultimo caso, i pericoli maggiori li correrebbero i
passeggeri dell'aereo e i soccorritori (vigili del fuoco, medici e
infermieri, forze dell'ordine), non attrezzati per questo tipo di
emergenza. Sotto accusa sono molti aerei costruiti prima del 1983, come i
Boeing 747, i Dc 10 McDonnell Douglas, gli L1011 Lockheed, gli Hercules
C-130 e, presumibilmente, anche gli Md 11 McDonnell Douglas. Tutti ancora
operativi. Qualche dubbio, mai confermato ufficialmente, esiste anche per
alcuni modelli dell'Alitalia e dell'Aermacchi (la stessa compagnia,
quest'ultima, dell'incidente di Casalecchio di Reno, per intenderci).
Facendo un passo indietro, ci accorgiamo che la presenza di uranio
impoverito sugli aerei era stata segnalata già nel 1994 da Gabriele
Bazzaro, un sindacalista della Cisal alle Aeronavali di Tessera, a Venezia.
Negli hangar del cantiere venivano e vengono tuttora smontati e trasformati
in aerei da trasporto i Dc 10. Dopo la denuncia, alle Aeronavali hanno
cominciato ad avvalersi dell'aiuto di una società emiliana specializzata
nel trattamento dell'uranio, la Protex. In pratica, quando arrivano nello
stabilimento di Tessera, i Dc 10 vengono sondati con attrezzature
particolari per individuare i contrappesi all'uranio, che vengono isolati.
Ma quanto uranio trasportano questi aerei? Tra i 300 e i 500 chilogrammi
(450 i Boeing 747, per fare un esempio). Uno studio di Robert Parker,
pubblicato sulla rivista Nature il 29 dicembre '98, prendendo come modello
proprio il Boeing 747 (la compagnia era stata denunciata anche da Vince
Neil, ex cantante dei Motley Crue, per il tumore che nel 1995 ha causato la
morte della figlia) è giunto alla conclusione che, in caso di incidente,
ben 250mila persone rischierebbero la contaminazione. Una notizia che in
Italia ha spinto alcuni senatori Verdi (Semenzato, Manconi, De Luca,
Cortiana e altri) a proporre l'istituzione di una commissione d'inchiesta.
Il fatto è che da noi non esistono normative di sicurezza relative all'uso
civile dell'uranio impoverito, e il personale degli aeroporti non è
attrezzato a far fronte a una eventuale emergenza. Grazie a un'apposita
deroga prevista da un decreto del ministro dell'Industria del 1970, la
presenza di uranio impoverito "contenuto nei contrappesi per aeromobili,
installati, immagazzinati o in fase di montaggio e smontaggio" sugli aerei
non deve essere comunicata, infatti, alle autorità di controllo. E le
compagnie aeree si sono sempre ben guardate dal farlo. "Così centinaia di
vigili del fuoco che sono dislocati nelle sedi aeroportuali sono privi
delle informazioni necessarie sul pericolo che incombe su di loro",
denunciano le rappresentanze sindacali di base di Malpensa. Che poi
affondano il colpo: "Il pericolo è reale e grave nel caso di un incidente
aereo, soprattutto se si considera che ancora oggi non esistono piani di
intervento per affrontare una eventuale emergenza di questo tipo, e gli
operatori non dispongono delle attrezzature idonee per intervenire".