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economia di guerra



Economia di guerra
Nel secondo trimestre la spesa bellica (+45,9%) rilancia il pil Usa
ROBERTO TESI
Meglio del previsto: il prodotto lordo degli Stati uniti nel secondo 
trimestre dell'anno è cresciuto a un tasso annualizzato del 3,1%. Lo ha 
comunicato ieri il Dipartimento al commercio, rettificando al rialzo il 
dato preliminare che aveva segnalato una crescita del 2,4%. A rafreddare un 
po' gli entusiasmi, soprattutto delle borse, è però arrivato il dato 
diffuso dal dipartimento al lavoro sulle richieste inziali di sussidi di 
disoccupazione: nella scorsa settimana quasi 400 mila neo-licenziati sono 
stati costretti a rivolgersi agli uffici del lavoro per chiedere di 
beneficiare dell'indennità. La crescita registrata tra aprile e giugno di 
quest'anno è la più ampia dal terzo trimestre 2002 ed è stata trainata dai 
consumi, che rappresentano quasi il 70% del pil, ma soprattutto 
dall'impennata della spesa pubblica per la difesa. I consumi sono aumentati 
del 3,8% (2% nel primo trimestre) e la componente più rilevante è stata la 
spesa per beni durevoli, salita del 24,1%, mentre nei tre mesi precedenti 
era scesa del 2%. Quasi stabile - 1,1% annualizzato, cioè 0,25% nel 
trimestre - la spesa per consumi di beni non durevoli. L'impennata nella 
spesa per beni durevoli sembra legata alle agevolazioni concesse dai 
produttori di auto, ma anche alla ulteriore discesa dei tassi di interesse, 
decisa da Greenspan, che ha favorito gli acquisti rateali visto che negli 
Usa è molto diffuso il credito al consumo. La discesa dei tassi, inoltre, 
per molti statunitensi si è trasformata in una possibilità di 
«arricchimento»: grazie alla rinegoziazione di mutui contratti in 
precedenza a tassi più alti, per molti si aperta la possibilità di disporre 
di soldi per alimentare i consumi.

Sul fronte degli investimenti, l'incremento annualizzato è stato dell'8%, 
contro una flessione del 4,4% nel precedente trimetre. Un buon sostegno è 
arrivato dagli investimenti nel settore informatico: +8,2% rispetto al - 
4,8% dei primi tre mesi dell'anno. Prestazioni brillanti, quindi, ma nulla 
in confronto dell'apporto fornito dalla spesa pubblica aumentata del 25,2% 
grazie allo stratosferico incremento della spesa bellica: +45,9%. Una 
variazione che ha un solo precedente: la guerra in Corea del 1951.

La revisione al rialzo, oltre le previsioni, del pil nel secondo trimestre, 
non ha però eccitato più di tanto i mercati finanziari, anche se gli ultimi 
indicatori macroeconomici hanno confermato che il trend di crescita non 
sembra essersi interrotto in luglio e agosto. Dall'inizio del mese di 
agosto, infatti, tutte le informazioni macro sono buone: cresce la fiducia, 
sale l'indice Ism, migliora la bilancia commerciale, vanno bene le vendite 
e gli ordinativi. E il suprindice che sintetizza gli andamenti è in 
ripresa. Insomma,, come tenta di convincere Bush, la ripresa si sta 
consolidando. Ma le paure non mancano. La prima riguarda l'enorme capacità 
produttiva non utilizzata che frena gli investimenti. E la mancanza di 
investimenti frena la ripresa dell'occupazione e l'alta disoccupazione 
rischi di frenare la ripresa dei consumi. Il tutto nel contesto di una 
domanda estera (in particolare europea) fragile che non fornisce alcun 
contributo all'economia Usa.

Un'ultima preoccupazione, infine, la danno i tassi. La Fed mantiene molto 
bassi quelli a breve che controlla direttamente, ma quelli a medio-lungo 
periodo si stanno rialzando. E questo rischia da un lato di frenare il 
mercato immobiliare (molti parlano di un prossimo sgonfiamento della bolla 
speculativa) e dall'altro di non favorire più i consumi visto che si è 
chiusa la strada della rinegoziazione dei mutui. Ieri i mortage rates sui 
trentennali è risalito al 6,32%, mentre il tasso su quelli a quindici anni 
è cresciuto al 5,66%.

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