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NORME DI ATTUAZIONE DELL'ARTICOLO 11 DELLA COSTITUZIONE



UNA PROPOSTA DI LEGGE D'INIZIATIVA POPOLARE: NORME DI
ATTUAZIONE DEL RIPUDIO DELLA GUERRA SANCITO DALL'ARTICOLO 11 DELLA
COSTITUZIONE

[Riproduciamo nuovamente il testo di questa proposta di legge di iniziativa
popolare elaborata da tre illustri giuristi (Luigi Ferrajoli, Domenico
Gallo, Danilo Zolo), a sostegno della quale Emergency, la prestigiosa
organizzazione umanitaria di Gino Strada, sta conducendo una campagna
nazionale di raccolta di firme per la sua presentazione in parlamento.
Luigi Ferrajoli, illuste giurista, e' nato a Firenze nel 1940, magistrato
tra il 1967 e il 1975, dal 1970 e' docente universitario; tra i suoi lavori
piu' recenti segnaliamo particolarmente la monumentale monografia Diritto e
ragione, Laterza, Roma-Bari 1989, giunta alla terza edizione; il saggio La
sovranita' nel mondo moderno, Laterza, Roma-Bari 1997; e La cultura
giuridica nell'Italia del Novecento, Laterza, Roma-Bari 1999.
Domenico Gallo, illustre giurista, e' nato ad Avellino nel 1952, magistrato
ed acuto saggista; tra i suoi scritti segnaliamo particolarmente: Dal dovere
di obbedienza al diritto di resistenza, Edizioni del Movimento Nonviolento,
Perugia 1985.
Danilo Zolo, illustre giurista, e' nato a Fiume (Rijeka) nel 1936, docente
di filosofia e sociologia del diritto all'Universita' di Firenze; tra le sue
opere segnaliamo almeno: Stato socialista e liberta' borghesi, Laterza, Bari
1976; Il principato democratico, Feltrinelli, Milano 1992; (a cura di), La
cittadinanza, Laterza, Roma-Bari 1994; Cosmopolis, Feltrinelli, Milano 1995;
Chi dice umanita', Einaudi, Torino 2000]
1. Un ricorso crescente alla guerra
A partire dalla fine degli anni ottanta del secolo scorso, dopo la
conclusione della '"guerra fredda", abbiamo assistito a un ricorso crescente
alla forza militare, quasi esclusivamente da parte delle potenze
occidentali: l'occupazione di Panama per il controllo del canale, la guerra
del Golfo, l'invasione di Haiti, gli interventi militari in Somalia e in
Ruanda, le due guerre balcaniche della Bosnia e del Kosovo, l'Afganistan.
Ora si sta progettando, per volonta' degli Stati Uniti, un attacco militare
contro l'Iraq: un attacco che potra' avere conseguenze incalcolabili in
termini di perdite di vite umane, di distruzioni di strutture civili, di
devastazioni ambientali.
Nel corso di questi conflitti, anche a causa dell'uso di armi di distruzione
di massa sempre piu' potenti e sofisticate, centinaia di migliaia di persone
innocenti hanno perso la vita, sono state mutilate o ferite, hanno visto
distrutti i loro affetti e i loro beni. Altre centinaia di migliaia di
civili sono morti per fame o per malattie a causa degli embarghi, primo fra
tutti quello contro l'Iraq. A questo flagello vanno aggiunte la persecuzione
del popolo palestinese, le continue violenze contro i ceceni, i curdi, i
tibetani e molto altri popoli emarginati ed oppressi, e, infine, le
atrocita' del terrorismo internazionale. All'escalation di odio, di dolore,
di distruzione e di morte ha corrisposto l'inerzia o l'impotenza delle
istituzioni internazionali che dovrebbero operare per la pace, anzitutto
delle Nazioni Unite.
Le Nazioni Unite sono ormai sottoposte a un permanente ricatto da parte
delle massime potenze mondiali, che se ne servono come di uno strumento di
legittimazione delle proprie strategie egemoniche. Ma la Carta delle Nazioni
Unite non puo' essere usata, se non sulla base di una conclamata violazione
dello spirito e della lettera delle sue norme, per giustificare la guerra, e
tanto meno una "guerra preventiva" come quella che Stati Uniti e Gran
Bretagna si apprestano a scatenare contro l'Iraq. Questa Carta fu un patto
solenne con il quale fu messo al bando, come e' scritto nel suo preambolo,
il ripetersi del "fla­gello della guerra", che per due volte nel corso di
una stessa generazio­ne aveva causato indicibili sofferenze all'umanita'. In
essa fu definito, contro le minacce alla pace, un complesso di misure, tra
le quali l'uso controllato della forza nelle forme e alle con­dizioni
stabilite dal capitolo VII. Fu in­somma progettato, al fine di "conseguire
con mezzi pa­cifici la soluzione delle controversie internazionali", il
mono­polio della forza in capo al Consiglio di Sicurezza, attraverso
l'istituzione - che pero' non e' stata mai attuata - di organismi militari
permanenti alle sue dipendenze, chiamati a svolgere di fatto funzioni di
polizia internazionale. Oggi quel patto e' stato dimenticato.
In tutti i casi sopra citati le potenze occidentali hanno infatti usato la
forza militare ignorando il diritto internazionale e violando i diritti piu'
elementari delle persone. Il bombardamento della televisione di Belgrado, la
strage di Mazar-i-Sharif, il lager di Guantanamo sono esempi di un uso
criminale della forza internazionale che molto probabilmente nessuna Corte
penale internazionale avra' mai il potere di sanzionare. E dopo l'attentato
terroristico subito l'11 settembre, gli Stati Uniti hanno elaborato una
teoria militare e inaugurato una pratica bellica che presentano aspetti
eversivi non solo della Carta delle Nazioni Unite, ma anche del diritto
internazionale generale: basta pensare al carattere preventivo, unilaterale,
spazialmente indefinito e temporalmente indeterminato della "nuova guerra"
dichiarata dal presidente Bush contro l'"asse del male".
Il nostro paese, per volonta' sia di governi di centro-sinistra sia di
governi di centrodestra, e' stato corresponsabile di una larga parte di
questi gravissimi illeciti internazionali, partecipando sistematicamente,
con le proprie strutture militari, le proprie armi e le proprie basi, alle
aggressioni decise dalle potenze occidentali contro Stati sovrani e contro i
loro popoli, per lo pio' deboli e poveri. Nel farlo i nostri governi e i
nostri rappresentanti parlamentari - spesso votando in complicita'
bipartisan - hanno apertamente violato la Costituzione repubblicana.
*
2. Contro la normalizzazione costituzionale della guerra
La nostra Costituzione, all'art. 11, stabilisce che "l'Italia ripudia la
guerra come strumento di offesa alla liberta' degli altri popoli e come
mezzo di risoluzione delle controversie internazionali".  Questa norma non
solo e' stata ripetutamente violata nel corso dell'ultimo decennio, ma si e'
affermata una tendenza a considerarla normativamente inesistente, come se
fosse ormai del tutto desueta. E' in corso, in altre parole, un'operazione
politica e giuridica di normalizzazione costituzionale della guerra che
intende privare l'art. 11 della Costituzione di ogni valore vincolante. Esso
conserva al piu' - si sostiene - un significato programmatico: e' un nobile
auspicio per tempi migliori. E' ormai un coro unanime in questo senso: il
presidente del Consiglio Berlusconi ha apertamente sostenuto questa tesi,
ispirandosi ad un documento del Pentagono, nel suo discorso alla Camera del
25 settembre scorso. Massimo D'Alema, sin dalla partecipazione dell'Italia
alla guerra per il Kosovo, ha dichiarato che la sinistra deve liberarsi di
ogni arcaico "tabu' pacifista". Piu' recentemente, una delle massime
autorita' dello Stato - il presidente della Camera, Pierferdinando Casini -
ha sostenuto che il ripudio costituzionale della guerra non ha piu' il suo
significato originario, che i tempi sono cambiati, che i principi
costituzionali vanno interpretati in modo flessibile. Per sconfiggere il
terrorismo internazionale anche l'Italia deve impegnarsi ad usare lo
strumento della guerra.
Si tratta di una tendenza molto grave, come ha denunciato con forza Pietro
Ingrao, e tanto piu' pericolosa perche' e' largamente sostenuta dai grandi
mezzi di comunicazione di massa, controllati dal duplice monopolio
multimediale, pubblico e privato, di cui e' titolare il presidente del
Consiglio italiano. Contro gli apologeti della guerra, la pace deve essere
considerata un bene fondamentale del popolo italiano: un bene che ne' il
Parlamento, ne' il governo dovrebbero mai mettere in discussione. Parlamento
e governo dovrebbero al contrario impegnarsi a realizzarlo collaborando alla
costruzione della condizioni politiche ed economiche generali che rendano
meno spietati e violenti - meno "terroristici" - i rapporti fra le nazioni.
Il ripudio della guerra appartiene in dote al popolo italiano. E al popolo
italiano spetta oggi la responsabilita' di ripristinarlo, delegittimando le
scelte in senso contrario del governo, del Parlamento ed anche della Corte
di cassazione. Per questo, oggi piu' che mai, e' importante - come e' stato
fatto per l'art. 18 dello Statuto dei lavoratori - che una larga
mobilitazione politica impugni la bandiera dell'art. 11, una bandiera che i
bipartisan di casa nostra hanno irresponsabilmente ammainato.
Uno strumento che puo' promuovere una vasta iniziativa popolare contro la
guerra e' quello apprestato dall'art. 71 della Costituzione: una proposta di
legge di iniziativa popolare, redatta in articoli, e firmata da almeno
cinquantamila elettori.
*
3. Una iniziativa di legge popolare contro la guerra
Il progetto di legge di iniziativa popolare che viene qui presentato - Norme
di attuazione del ripudio della guerra sancito dall'art. 11 della
Costituzione - chiede al Parlamento l'approvazione di una serie di garanzie
che rendano operante l'art. 11 della Costituzione, ne consentano una
effettiva applicazione e prevedano rigorose sanzioni delle sue violazioni.
Il progetto si compone di cinque articoli.
L'art. 1 (Ripudio della guerra) si richiama direttamente alla prescrizione
dell'art. 11 della Costituzione che bandisce l'uso della guerra in ogni sua
forma (comma 1) e propone una definizione di "guerra" (comma 2) coerente con
il dettato costituzionale e con la Carta delle Nazioni Unite. Al comma 3,
richiamando congiuntamente l'art. 52 della Costituzione e l'art. 51 della
Carta delle Nazioni Unite, viene affermato un principio di grande valore.
L'uso della forza militare, consentito dall'art. 52 per la difesa della
patria da aggressioni esterne, e' la sola eccezione ammessa sia all'art. 11
della nostra Costituzione, sia alla generale normativa della Carta delle
Nazioni Unite, che riserva al Consiglio di Sicurezza il potere di usare la
forza internazionale. L'eccezione prevista dall'art. 51 della Carta delle
Nazioni Unite riguarda il diritto di difesa di uno Stato attaccato
militarmente da un altro Stato. In questo caso lo Stato aggredito puo' usare
la forza per difendersi dall'attacco in atto, in attesa che intervenga
direttamente il Consiglio di Sicurezza e prenda, a sua discrezione, le
misure necessarie per il ristabilimento della pace.
E' chiaro, fra l'altro, che un atto terroristico, per grave che sia, non
rientra tra i presupposti della guerra di legittima difesa, previsti dalla
Costituzione italiana e dalla Carta delle Nazioni Unite. E' infatti un atto
criminale, che richiede l'identificazione, la cattura e la punizione dei
colpevoli, e non certo la risposta illegittima della guerra, idonea a
provocare migliaia di vittime innocenti e non, come l'esperienza dimostra, a
sconfiggere le organizzazioni terroristiche.
L'art. 2 (Prevenzione dei conflitti), al comma 1, conferma l'impegno
dell'Italia alla cooperazione internazionale per il mantenimento della pace,
incluse le missioni di peacekeeping, e cioe' di interposizione armata con il
consenso delle parti interessate. Ma afferma anche, al comma 2, un principio
di grande importanza. Afferma che qualsiasi "missione" che comporti l'uso
della forza e non risponda alle rigorose previsioni degli artt. 43, 45 e 47
della Carta delle Nazioni Unite deve essere considerata illegale. Questi
articoli prevedono che l'uso della forza, eventualmente deliberato dal
Consiglio di Sicurezza, deve essere affidato a contingenti militari posti
sotto la sua diretta responsabilita' e sorveglianza, con l'assistenza di un
Comitato di Stato Maggiore permanente. Queste previsioni, come e' noto, non
sono mai divenute effettive ed e' invalsa la prassi di "appaltare" l'uso
della forza alle grandi potenze interessate ad esercitarla. La conseguenza
e' stata che il Consiglio di Sicurezza si e' spesso limitato a legittimare
ex ante o, piu' spesso, ex post guerre di aggressione che le potenze
interessate avrebbero comunque condotto - o avevano gia' condotto - in
ossequio alle proprie convenienze strategiche.
L'art. 3 (Inammissibilita' di ulteriori interventi armati), al comma 1,
vieta qualsiasi intervento militare all'estero da parte delle forze armate
italiane in violazione delle norme contenute nei due articoli precedenti, e
ai commi 2 e 3 prevede specifiche sanzioni per tali violazioni.
L'art. 4 (Armi vietate dalla convenzioni internazionali), ai commi 1 e 2, in
applicazione di vari trattati internazionali ratificati dal nostro paese,
vieta non solo l'uso ma anche la produzione, il transito nel nostro paese e
l'esportazione di armi biologiche, chimiche e nucleari ed estende questo
divieto alle "bombe a grappolo", ai proiettili all'uranio impoverito e alle
mine anti-uomo. Bombe a grappolo e proiettili all'uranio impoverito sono
stati largamente usati dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna sia nella
guerra del Golfo del 1991, sia nelle due guerre balcaniche, dal 1993 al
1999, sia infine in Afghanistan, con effetti che secondo molti osservatori
sono stati gravissimi - e lo sono ancora - per le vite umane e per
l'ambiente naturale. Le mine antiuomo sono state recentemente bandite da un
trattato multilaterale, al quale solo gli Stati Uniti, fra i paesi
occidentali, si sono rifiutati di aderire. Le industrie belliche italiane ne
hanno prodotto per decenni grandissime quantita' e le mine italiane, fra le
piu' pericolose, sono ancora sparse, in centinaia di migliaia, nel
territorio dell'Afghanistan.
L'art. 5 (Cooperazione con la Corte Penale Internazionale), al comma 1,
conferma la collaborazione del nostro paese con la Corte Penale
Internazionale recentemente entrata in funzione (luglio 2002), nonostante
l'opposizione degli Stati Uniti. La Corte ha il compito di perseguire gravi
illeciti internazionali come i crimini contro l'umanita', i crimini di
guerra, il genocidio, i crimini contro la pace. Nello stesso tempo, vietando
al comma 2 che l'Italia possa stipulare accordi per sottrarre cittadini di
paesi terzi alla giurisdizione della Corte, questo articolo intende reagire
sia al sabotaggio della Corte che gli Stati Uniti hanno orchestrato
sfruttando l'art. 98 del suo Statuto, sia alla complicita' del governo
italiano con il sabotaggio statunitense.
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Art. 1
(Ripudio della guerra)
1. La realizzazione di un ordinamento internazionale che assicuri la pace e
la giustizia fra le nazioni, di cui all'art. 11 della Costituzione, non puo'
essere perseguita facendo ricorso allo strumento della guerra.
2. Per "guerra" si intende qualunque intervento armato di uno o piu' Stati
che, a causa del ricorso massiccio alla violenza, sia idoneo a provocare la
morte, la mutilazione o il ferimento di persone innocenti o a produrre
distruzioni indiscriminate o a causare gravi alterazioni dell'ambiente
naturale.
3. La difesa della patria, di cui all'art. 52 della Costituzione, si
esercita nell'ambito delle disposizioni dell'art. 51 della Carta delle
Nazioni Unite.
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Art. 2
(Prevenzione dei conflitti)
1. L'Italia coopera alla soluzione pacifica delle controversie
internazionali, a norma del Capo VI della Carta delle Nazioni Unite.
2. Fino a quando non avranno attuazione gli articoli 43, 45 e 47 della Carta
delle Nazioni Unite, l'Italia potra' fornire soltanto formazioni non armate,
nonche' contingenti militari per il mantenimento della pace ("caschi blu")
con il consenso delle parti interessate. I relativi accordi dovranno essere
autorizzati dalle Camere in conformita' all'art. 80 della Costituzione.
*
Art. 3
(Inammissibilita' di ulteriori interventi armati)
1. Le forze armate italiane non possono compiere interventi militari
all'estero in contrasto con le disposizioni di cui agli articoli precedenti.
2. I fatti commessi nel corso di operazioni militari all'estero, eseguite in
violazione delle disposizioni di cui sopra, sono regolati dal diritto penale
comune.
3. I fatti illeciti e le conseguenze dannose connesse ad operazioni militari
non possono essere sottratti al sindacato giurisdizionale.
*
Art. 4
(Armi vietate dalle Convenzioni internazionali)
1. In attuazione del Trattato di non proliferazione delle armi nucleari,
ratificato con Legge del 24 aprile 1975, n. 131, della Convenzione che vieta
la fabbricazione e l'immagazzinamento di armi batteriologiche e tossiche,
ratificata con Legge dell'8 ottobre 1974, n. 618, della Convenzione che
mette al bando la produzione, lo sviluppo e l'immagazzinamento delle armi
chimiche, ratificata con Legge del 18 novembre 1995, n. 496, sono vietati la
produzione, l'introduzione e il transito nel territorio nazionale delle armi
biologiche, chimiche e nucleari, nonche' la loro fornitura ai Paesi esteri.
2. Tale divieto si estende alle mine anti-uomo, alle bombe a grappolo
(cluster bombs), ai proiettili e alle munizioni all'uranio impoverito ("DU")
e a ogni altro sistema d'arma il cui uso sia vietato dalle Convenzioni
internazionali.
3. Salvo che il fatto costituisca piu' grave reato, le violazioni del
presente articolo sono punite ai sensi dell'art. 435 del Codice penale.
*
Art. 5
(Cooperazione con la Corte Penale Internazionale)
1. L'Italia fornisce piena collaborazione all'attivita' della Corte Penale
Internazionale, istituita con il Trattato di Roma del luglio 1998,
ratificato con legge 12 luglio 1999, n. 232, ai sensi degli articoli 88 e
seguenti dello Statuto istitutivo della medesima Corte.
2. E' fatto divieto di stipulare accordi internazionali volti a sottrarre i
cittadini di paesi terzi alla giurisdizione della Corte Penale
Internazionale.

Fonte: La nonviolenza č in cammino n. 528