[Date Prev][Date Next][Thread Prev][Thread Next][Date Index][Thread Index]

dossier su armi proibite in Iraq: tutti gli inganni di Blair



Si allarga la polemica per i dossier "gonfiati" contro Saddam
l'opposizione minaccia la crisi, indagano due commissioni

Iraq, tutti gli inganni di Blair
per spingere Londra nel conflitto

Lo scontro con i servizi ha sollevato dubbi
sulla credibilità del primo ministro

dal nostro inviato GUIDO RAMPOLDI


LONDRA - Anche le spie hanno un onore, e se sono britanniche, un prestigio 
da difendere. Il rinomato spionaggio di Sua Maestà, considerato uno dei più 
professionali, ha fatto sapere ai principali quotidiani che se qualcuno ha 
ingannato la nazione circa le armi di Saddam, costui non appartiene alla 
Casa: semmai lavora al numero 10 di Downing street. Ai giornalisti in 
sostanza è stato spiegato che l'ufficio del primo ministro presentò ai 
servizi "richieste inusuali": insomma si voleva che suffragassero la tesi 
per la quale l'Iraq rappresentava una minaccia incombente sul mondo libero. 
E poiché le spie si rifiutavano, a Downing street l'ufficio Comunicazione e 
strategia ritoccò in proprio i loro rapporti. Enfatizzò, aggiunse: 
imbrogliò, come sostengono due ex ministri insorti contro Blair?

Indagano due commissioni parlamentari. Poiché anche negli Stati Uniti la 
stampa riferisce il malcontento di alcuni settori dello spionaggio 
americano per identiche pressioni esercitate dall'amministrazione Bush, la 
fronda laburista pronostica un Iraqgate atlantico in capo a qualche mese. 
In discussione non è più se la guerra fosse l'unica soluzione, ma cosa 
resti d'una democrazia quando parlamento e pubblica opinione sono chiamati 
a prendere decisioni cruciali sulla base di dati falsificati dal governo.

Blair promette che prima o poi salteranno fuori quelle armi di sterminio 
pronte a colpire "in 45 minuti". Ma intanto fa dire ad un suo fido, il capo 
del riottoso gruppo parlamentare laburista, che le loquaci spie risentite 
con Downing street sono "canaglie" impegnate a destabilizzare il governo. 
Questa esternazione non ha impressionato neppure la stampa amica del 
Labour: nessuno crede che la Gran Bretagna sia tornata indietro d'un 
trentennio, al tempo in cui Harold Wilson discuteva le questioni più 
delicate nei cessi di Downing street ritenendoli l'unico luogo dove non 
fosse spiato. Semmai la questione, si ribatte da destra e da sinistra, è la 
dipendenza del governo Blair dai suoi spin doctor, gli stregoni della 
comunicazione che danno l'effetto (spin) alle notizie destinate alla 
stampa, per aumentarne l'impatto e dirigerle nel senso più propizio. Queste 
tecniche furono messe al servizio della causa della guerra? Vediamo.


Il primo rapporto sull'Iraq prodotto dal coordinamento dei servizi segreti 
britannici, il Jce, fu presentato a Downing street nel marzo del 2002, e 
secondo il Sunday Times tornò al mittente perché non riusciva a provare la 
tesi di Londra, e cioè che la minaccia rappresentata dalle armi di Saddam 
era aumentata dalla guerra del 1991. Anche il secondo rapporto del Jce non 
piacque all'ufficio del primo ministro, e poiché lo spionaggio rifiutava di 
renderlo più attraente, Downing street operò qualche aggiustamento. Per 
quanto circospette, le 55 pagine consegnate dal Jce citavano l'informazione 
giunta da una talpa, un ufficiale iracheno considerato attendibile: 
l'esercito di Saddam era in grado di lanciare un attacco non convenzionale 
entro 45 minuti dal momento in cui riceveva l'ordine. Stando a specialisti 
ormai si può convenire che questa notizia è inverosimile (per lanciare un 
attacco batteriologico o chimico in 45 minuti serve una tecnologia così 
ingombrante che non può essere occultata in un paese occupato). Comunque 
non aveva riscontri e dunque andava trattata con cautela. Invece Blair le 
assegnò una preminenza che, stando ad un'altra "gola profonda" citata dalla 
Bbc, non aveva nel rapporto dello spionaggio. In settembre il premier disse 
al parlamento che Saddam "ha piani militari operativi per l'uso di armi 
chimiche e biologiche... che potrebbero essere attivate in 45 minuti". Il 
premier lasciò intendere che quella era la conclusione dei servizi segreti 
(quanto affermo, disse, deriva "per buona parte" dai rapporti del Jce), 
quando semmai rappresentava un'ipotesi di lavoro.

Delle due successive relazioni governative sull'Iraq, anche l'ultima, 
presentata al Consiglio di Sicurezza il 5 febbraio scorso, fu lavorata a 
Downing street dagli specialisti della comunicazione. Blair la riferì a 
"varie fonti, incluso materiale dell'intelligence". In realtà la parte più 
"eccitante" era la tesi di dottorato di un ricercatore californiano, 
scaricata da Internet e riportata omettendo sia la fonte sia il fatto che 
si riferiva all'Iraq del 1991. Gli stregoni di Downing ritoccarono una 
frase. Nell'originale si affermava che i servizi segreti iracheni "aiutano 
gruppi di opposizione in regimi ostili". Nella relazione britannica i 
"gruppi di opposizione" divennero "gruppi terroristi". Alastair Campbell, 
il direttore dell'ufficio Comunicazione di Downing street, ha ammesso il 
misfatto in una inusuale lettera di scuse al vertice dell'intelligence 
britannica. Ma all'epoca Colin Powell lodò la relazione di Blair come 
"eccellente". A sua volta l'americano raccontò che Saddam stava cercando di 
procurarsi uranio e aveva contattato allo scopo il governo del Niger. 
Londra tuttora difende l'attendibilità di quest'informazione. Invece una 
meticolosa ricostruzione dell'attendibile New Yorker la liquida come un 
falso plateale, e citando fonti anonime dell'intelligence americana, ne 
attribuisce la produzione ad uno spionaggio alleato. Stando al settimanale 
statunitense tra gli indiziati vi sono i servizi segreti italiani.

Secondo la laburista Clare Short, uno dei ministri che si dimisero a causa 
dell'invasione dell'Iraq, fonti vicine al premier britannico le 
confermarono che nel settembre 2002 Bush e Blair avevano già convenuto di 
muovere guerra all'Iraq la primavera successiva. Tuttavia il britannico 
doveva convincere un parlamento maldisposto, lo stesso governo (secondo una 
fonte, dei 9 principali ministri 8 recalcitravano) e soprattutto il 
Procuratore generale, che doveva affermare la legittimità della guerra in 
un parere atteso dalle Forze armate, perplesse. Anche i servizi segreti 
americani furono messi sotto pressione dall'amministrazione Bush perché 
producessero informazioni accattivanti. Si adoperò soprattutto l'Office of 
special plans del Pentagono, ora accusato d'aver diffuso notizie false 
(come il fantomatico incontro a Praga tra spie irachene e uno dei 
terroristi delle Twin Towers) e riciclato le "rivelazioni" sull'arsenale di 
Saddam prodotte da un protegé di Rumsfeld, Ahmed Chalabi, condannato per 
bancarotta.

Se questi massi che cominciano a rotolare in futuro diventeranno una 
valanga, allora si comincerà a parlare anche di una vicenda tra le più 
interessanti nella preparazione della guerra: la tempestiva ricomparsa di 
Osama bin Laden. Il saudita si palesò in versione audio il 12 novembre 
scorso, dopo undici mesi di silenzio che autorizzavano a considerarlo morto 
o inattivo. Attraverso un nastro trasmesso dalla tv al Jazeera, lodò la 
strage di Bali e minacciò la vendetta di al Qaeda contro gli Stati Uniti e 
i loro alleati, tra i quali era citata l'Italia. Poche ore dopo le maggiori 
tv internazionali aprirono i notiziari con quel proclama terrifico, e 
riferirono che a giudizio di anonimi funzionari statunitensi il nastro era 
autentico. Se mai dubbi permanevano, essi sbiadirono una settimana dopo, il 
19, quando Scott McClellan, portavoce della Casa Bianca, dichiarò che "a 
giudizio degli esperti dell'intelligence (statunitense) il nastro è 
genuino". Lo stesso Bush ne avallò implicitamente l'autenticità nei giorni 
in cui terroristi ceceni tenevano in ostaggio 700 persone all'interno d'un 
teatro moscovita: "Mentre Osama loda questi attacchi", disse il presidente, 
ecco i ceceni entrare in azione. "È chiaro - concluse - che c'è un 
interesse di al Qaeda". In realtà il nastro probabilmente era un falso. A 
questa conclusione arrivò l'Idiap (Institute for perceptual artificial 
intelligence), un centro di ricerche svizzero considerato tra i più 
avanzati d'Europa. L'Idiap ha inventato un sistema per verificare 
l'autenticità di voci, lo utilizza da dieci anni e ne valuta l'affidabilità 
intorno al 95-97%. Nel caso del "nastro di bin Laden" l'Idiap costruì un 
modello statistico di riferimento sulla base di tre ore di registrazioni in 
cui comparivano la voce del saudita oppure di suoi associati. Dopo aver 
verificato che le loro macchine identificavano correttamente il 97% dei 
campioni utilizzati, i ricercatori esaminarono la registrazione diffusa da 
al Jazeera. La voce, conclusero, non è di bin Laden.

Un altro minaccioso "nastro di bin Laden" fu trasmesso da al Jazeera tre 
mesi dopo. Secondo l'emittente, era arrivato attraverso lo stesso canale 
del precedente: se dunque il primo era falso, probabilmente lo era anche il 
secondo. Sarebbe stato interessante conoscere il verdetto dell'Idiap, ma 
nel frattempo doveva essere accaduto qualcosa perché il direttore 
dell'istituto rifiutò di esaminare il nastro, malgrado la committenza non 
mancasse. Comunque la riapparizione della voce probabilmente contribuì al 
prodigio attestato da un sondaggio della tv Abc: al momento dell'invasione 
la metà degli americani era convinta che gli attentatori delle Twin Towers 
fossero iracheni (non uno in realtà). Ma di questo probabilmente hanno 
colpa soprattutto gli omissivi media occidentali.

(14 giugno 2003)
Fonte: 
http://www.repubblica.it/online/esteri/iraqattaccotrentatre/blair/blair.html