“Da tanti anni noi abbiamo parlato di questi F-35, credo anche in Italia in maniera spesso distorta. Invece bisogna realmente conoscere e valutare le informazioni. È un aereo che ha sicuramente un’ottima tecnologia, forse la migliore al mondo in questo momento, un aereo di quinta generazione ed è normale che dobbiamo farci un po’ di calcoli. Sia per quanto riguarda la tasca, sia per quanto riguarda la tecnologia, ma resta ovvio che non possiamo rinunciare a quella che è una grande capacità aerea della nostra aeronautica e che ancora oggi ci mette avanti rispetto a tanti altri Paesi”.
Con queste parole, pronunciate il 18 dicembre scorso durante il convegno “Difesa collettiva”, il sottosegretario alla Difesa Angelo Tofalo ha espresso la posizione favorevole dell’esecutivo in merito al discusso programma di armamento “JOINT STRIKE FIGHTER”, quello dei cacciabombardieri F-35. L’Italia ne ha ordinati 90 e acquistati 26, per un costo totale di circa 14 miliardi di euro.
Non è la prima volta che il sottosegretario si espone pubblicamente sul programma. Lo aveva fatto a luglio di quest’anno, annunciando che “nei prossimi mesi paleseremo le possibili rimodulazioni” (Il Mattino), o a novembre, quando al quotidiano La Verità disse che il “taglio meramente numerico dei velivoli tanto pubblicizzato dalla politica in questi anni non ha portato a un reale risparmio per le tasche degli italiani”.
A metà ottobre di quest’anno era poi arrivato (in ritardo) il Documento programmatico pluriennale per la Difesa presentato dal ministro Elisabetta Trenta. Tra i programmi operanti, il “JOINT STRIKE FIGHTER” procedeva “in linea con gli indirizzi operativi e gli impegni di Governo indicati nel DPP 2017-2019”. Fabbisogno complessivo: 7.093 milioni di euro e “ritorni industriali nazionali” ipotizzati in 3.216 milioni di dollari.
“Nei governi di coalizione, una dichiarazione non si nega a nessuno”, scherza Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Italiana per il Disarmo, è tra i massimi esperti del programma “F-35” in Italia. Ma il caso di Tofalo è diverso. “La dichiarazione del sottosegretario è molto rilevante perché è lui ad avere in mano il dossier specifico sul programma -chiarisce Vignarca-. Da almeno agosto, Tofalo ha il dossier F-35 e dovrebbe compiere le valutazioni del caso per dire sì o no”.
Vignarca non è rimasto stupito dall’uscita di Tofalo. “In questi mesi il sottosegretario ha dimostrato, come già aveva fatto nella sua precedente carriera parlamentare, una certa vicinanza al mondo militare. Si è vestito da soldato per provare direttamente la condizione dei soldati impiegati nell’operazione ‘Strade sicure’. Da tempo le sue posizioni sono simili a quelle dell’industria militare. Da questo punto di vista, quindi, non mi stupisce”.
Che cosa c’è di nuovo nelle parole del sottosegretario? “Quello che colpisce è che dopo mesi in cui sono stati sottoposti alla sua attenzione dossier, informazioni e dati, l’esponente del governo abbia preso quella sintetica posizione durante un convegno senza portare alcun elemento a supporto di questa decisione. Soprattutto su questo tema e alla luce del fatto che il Movimento 5 stelle dell’argomento ‘F-35’ ne ha sempre fatto una bandiera -penso ai tentativi di accaparrarsi una battaglia che è nata dalla società civile-. Quindi nel merito un’affermazione al buio come quella la riteniamo inaccettabile. Ci faccia vedere piuttosto i dati e le informazioni che lo hanno portato a celebrare la ‘tecnologia’ degli aerei e a sostenere che in passato si sia stati superficiali o che non sia stato letto tutto. Noi, come Rete disarmo, per quanto ci riguarda, abbiamo sempre studiato e letto il materiale a disposizione prima di trarre qualsiasi conseguenza, a dimostrazione che la nostra era una battaglia vera e non di facciata”.
Il sottosegretario sostiene che si tratti di una “tecnologia ottima, forse la migliore al mondo in questo momento”. Il coordinatore della Rete disarmo è perplesso. “Dove, perché e in quale punto dell’aereo? Qual è la componente innovativa? Ce lo dica, altrimenti è la solita storia già sentita delle celebrazioni ‘sulla fiducia’ dei dispositivi militari. Quali sono i parametri sui quali si basa il sottosegretario? Poniamo che questa tecnologia fosse anche avanzatissima, la domanda è: serve o non serve? Perché uno può anche comprarsi il gioiellino più avanzato, ma questo ‘vale’? Ricordiamoci che stiamo parlando di fondi pubblici. Che Tofalo parli di una ‘tecnologia ottima’ nell’anno in cui, ancora una volta, è capitato di tutto agli F-35, è sorprendente”.
Ad esempio? “È cominciata con ritardo la valutazione per l’operatività iniziale. È stato definito e dettagliato il fatto che i primi 100 velivoli prodotti, tra cui alcuni italiani, non saranno mai utilizzabili. A metà anno è stato scoperto che l’ufficio che gestisce il programma (JPO), per fare in modo che alle revisioni periodiche del Pentagono -che sono molto stringenti- vi fosse esito positivo, aveva abbassato i requisiti. Per non dimenticarci che quest’anno ne è caduto pure uno di F-35. O i ricorrenti problemi alla pompa di carburante, una disponibilità di aerei all’uso che è sempre al di sotto del 50%, il che significa che per poterne usare 10 ne devi acquistare 20. Insomma l’elenco è lungo”.
Nessuna luce, quindi? “L’unica cosa positiva per gli F-35 quest’anno è stato l’aumento degli ordini a livello internazionale, recenti i casi del Giappone o del Belgio, dietro pressione del presidente degli Stati Uniti. Ma questo non c’entra nulla con la tecnologia, è un processo politico”.
Quali sono gli impatti di questa “tecnologia”? “Diversi. Ne cito uno che non ha a che fare con battaglie disarmiste ma è strettamente pratico e dà conto della forte approssimazione che spesso si accompagna alla questione. Per poter godere di questa ‘ottima tecnologia’ bisogna fare dei lavori di adattamento, è il caso della base aerea Amendola in particolare, ma anche della portaerei Cavour (costata 1,4 miliardi di euro ed entrata in servizio nel 2009). Pochi giorni fa la Cavour è entrata in porto a Taranto dove verrà sottoposta a lavori di adeguamento fino al settembre 2020. Cioè la nostra ‘ammiraglia’, tanto propagandata per poterci ergere a ruolo di potenza, starà alla rada venti mesi per lavori che costeranno 87,5 milioni di euro. Venti mesi per poter gestire gli F-35 su una portaerei costruita non 40 anni fa ma entrata in servizio quando era già noto il programma degli aerei”.