[Disarmo] La scoperta dell’acqua calda delle armi italiane nelle stragi in Yemen. Ma i missili che valgono miliardi li fornisce Trump



Trump è andato in Arabia Saudita con lo scopo di firmare accordi commerciali da centinaia di miliardi di dollari. Il primo, sottoscritto da Trump e da re Salman in una solenne cerimonia a palazzo reale, è stato quello in base al quale Riad comprerà armi e sistemi di difesa dagli Usa per 110 miliardi di dollari. L'obiettivo però è ancor più ambizioso, ed è quello di arrivare alla cifra record di 350 miliardi di dollari in dieci anni. Maggiore beneficiario sarà la Lockheed Martin, che ha già pronto per Riad un sistema missilistico Thaad che da solo vale più di un miliardo di dollari, oltre che satelliti e sistemi software per il controllo dei missili

 di Alberto Negri, editorialista e inviato di guerra

Il New York Times pubblica un reportage sulla questione delle bombe italiane ai sauditi che uccidono e fanno stragi in Yemen di civili. La notizia è così risaputa che la Camera dei deputati nei mesi scorsi ha deciso che l’Italia può continuare a fornire all'Arabia Saudita le bombe prodotte in Sardegna dalla Rwm. Almeno fino a quando non sarà istituito un formale embargo internazionale. Ma se viene approvato un embargo internazionale gli Usa dovranno rinunciare a dozzine di miliardi di commesse militari a Riad. Senza contare che sono proprio i comandi Usa a fornire all'aviazione saudita supporto tecnico e logistico per colpire in Yemen. Non solo: gli Usa sostengono fino allo spasimo i sauditi in questa guerra per procura contro i ribelli sciiti Houthi alleati dell'Iran. Fa bene il giornale americano a indignarsi per le bombe italiane ma prima di tutto dovrebbe farlo con il suo governo: l'Italia è come il cameriere che raccoglie le briciole dal tavolo del pranzo sanguinoso imbandito da americani, francesi, britannici.
Firmato accordi commerciali per centinaia di miliardi di dollari

Il giornale americano avrebbe dovuto sottolineare, per completezza di informazione, chi è il vero fornitore di armi a Riad e chi gestisce la politica mediorientale. Il 19 maggio scorso Donald Trump è andato in Arabia Saudita con lo scopo di firmare accordi commerciali da centinaia di miliardi di dollari. Il primo, sottoscritto da Trump e da re Salman in una solenne cerimonia a palazzo reale, è stato quello in base al quale Riad comprerà armi e sistemi di difesa dagli Usa per 110 miliardi di dollari.
Inquadrare la vicenda nelle sue giuste dimensioni

L'obiettivo però è ancor più ambizioso, ed è quello di arrivare alla cifra record di 350 miliardi di dollari in dieci anni. Maggiore beneficiario sarà la Lockheed Martin, che ha già pronto per Riad un sistema missilistico Thaad che da solo vale più di un miliardo di dollari, oltre che satelliti e sistemi software per il controllo dei missili. Nell'accordo è intervenuto direttamente Jared Kushner, genero e consigliere di Trump, che avrebbe ottenuto direttamente dalla Lockheed uno sconto per i sauditi, secondo quanto scriveva allora lo stesso New York Times. Anche le briciole italiane delle forniture di armi ai sauditi ci possono non piacere ma bisogna inquadrare la vicenda nelle sue giuste dimensioni che il quotidiano americano, non si sa per quale motivo, nasconde con una certa ipocrisia.
Ma chi sono i maggiori esportatori di armi?

I maggiori esportatori di armi del mondo sono americani, russi, francesi e britannici. Gli Stati Uniti hanno un bilancio della difesa di oltre 600 miliardi di dollari l'anno, Mosca di poco più di un decimo mentre i sauditi spendono in armamenti e per la difesa circa 65 miliardi di dollari l'anno per fare guerre che non vincono mai. La Francia di Emmanuel Macron, che si propone come patria dei diritti umani, l'anno scorso ha esportato armi per 20 miliardi di dollari, un record per Parigi che vende soprattutto alle monarchie del Golfo, Emirati, Arabia Saudita, Qatar e in Africa nelle ex colonie. In  questi anni la Francia ha creato o conservato con l'industria bellica oltre 30mila posti di lavoro e le vendite di armi hanno contribuito a una percentuale del 5-6% del Pil.
Un'altra guerra per procura tra l'Arabia Saudita e l'Iran

Nel 2009 andai nel Nord dello Yemen e fui uno dei non molti giornalisti occidentali a incontrare i combattenti Houthi, un manipolo di adolescenti male armati che mai avrei immaginato sarebbero riusciti a impossessarsi della capitale Sanaa: già allora i sauditi bombardavano questo clan sciita zaydita, corrente dell'Islam cui del resto apparteneva lo stesso presidente Abdallah Saleh, fatto fuori dai guerriglieri qualche settimana fa quando decise, con un voltafaccia, di abbandonare gli Houthi e allearsi di nuovo con i sauditi. Questa è un'altra guerra per procura tra l'Arabia Saudita e l'Iran che fornisce un appoggio militare agli Houthi: secondo alcune notizie recenti i ribelli sarebbero riusciti persino a lanciare un  razzo vicino a uno dei palazzi reali di Riad. Poi c'è la popolazione civile stritolata in un conflitto con oltre 10mila vittime e nel quale si muore anche per mancanza di medicine, acqua e cibo: in un anno sono stati registrati 800mila casi di colera.
Un mondo migliore usando quei soldi per scopi umanitari

Se un decimo del valore delle armi vendute ogni anno ai sauditi - una monarchia assoluta che oggi tenta improbabili riforme con il principe Mohammed Bin Salman - fosse impiegato a scopi umanitari non solo si allieverebbero le sofferenze degli yemeniti ma anche di tante altre popolazioni in guerra. Ma questa è una "tassa umanitaria" che nessuno vuole pagare.

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