Un tunnel
del sito nucleare di Punggye-ri, in Corea del Nord,
sarebbe crollato lo scorso 10 ottobre causando la
morte di 200 persone. L’incidente, con il timore di
perdite radioattive, potrebbe essere l’effetto del
test nucleare del 3 settembre che fece rilevare un
sisma di magnitudo 6,3.
Usiamo il
condizionale perché le informazioni arrivano
dall’agenzia sudcoreana Yonhap, mentre la Corea del
Sud viene ingaggiata nello scontro Casa
bianca-Pyongyang nonostante sia guidata dal pacifista
Moon Jae-in, e giungono dalla tv giapponese Asahi,
mentre il premier Abe, forte della vittoria elettorale
avvia il riarmo del Paese cancellando la costituzione
del dopoguerra.
Eppure,
nonostante il peso della propaganda, il solo sospetto
che l’incidente possa davvero essere accaduto desta un
legittimo allarme. Delle diplomazie internazionali,
mentre Trump a giorni visiterà l’Asia, ma soprattutto
dei cittadini senza potere della Terra, alla cui
sicurezza non pensa nessuno, né a Oriente né a
Occidente.
Ancora una
volta il mondo è costretto a guardare con apprensione
ai pericolosi test nucleari e missilistici
nord-coreani. Di un regime a “socialismo dinastico”
che per salvare il potere della leadership familiare
di Kim Jong-un e sul confine militarizzato di una
guerra inconclusa, appronta una rincorsa scellerata
all’arma nucleare.
Pyongyang
agisce però nell’intento di fermare la concretissima
minaccia atomica degli Stati uniti, la cui vicina base
di Guam e i cui bombardieri B52 in volo di manovra
perenne, hanno come target atomico proprio la Corea
del Nord.
È lo sporco e rischioso gioco nucleare: chi arriva
all’arma atomica ha la quasi certezza di non essere
aggredito, com’è invece accaduto ad altre nazioni che
non avevano armi di distruzione di massa.
Siamo nella scellerata situazione in cui una ristretta
cerchia di stati mantiene l’oligopolio delle armi
nucleari, e dove chi le possiede minaccia chi non ce
le ha, ed è sempre più probabile che altri cerchino di
procurarsele e ci riescano. Oltre ai nove paesi che
già posseggono armi nucleari, ve ne sono almeno altri
35 in grado di costruirle.
Una
crudele verità, ma relegata nell’ombra, che desta un
orrore silenzioso. Perché il quadro generale è quello
di una crescente corsa agli armamenti che, mentre
mantiene un arsenale nucleare in grado di cancellare
la specie umana dalla faccia della Terra, punta su
testate e vettori tecnologicamente sempre più
sofisticati.
La
Federazione degli scienziati americani (Fas) stima nel
2017 che la Corea del Nord abbia «materiale fissile
per produrre potenzialmente 10-20 testate nucleari, ma
non ci sono prove disponibili che abbia reso operative
testate nucleari trasportabili da missili balistici».
Ma sempre
secondo gli scienziati della Fas, gli Stati uniti
posseggono 6.800 testate nucleari, di cui 1650
strategiche e 150 non-strategiche già pronte in ogni
momento al lancio. Comprese quelle francesi e
britanniche (rispettivamente 300 e 215), le forze
nucleari della Nato dispongono di 7.315 testate
nucleari, di cui 2200 pronte al lancio, in confronto
alle 7000 della Russia di cui 1950 pronte al lancio;
inoltre circa 550 testate nucleari Usa, francesi e
britanniche, pronte al lancio, sono dislocate in
Europa a ridosso del territorio russo. Aggiungendo
quelle cinesi (270), pachistane (120-130), indiane
(110-120) e israeliane (80 circa, ma sembrano non
esistere), il numero totale delle testate nucleari
viene stimato, per difetto, in circa 15.000. Così fan
tutti. E ora il rabbioso Trump annuncia che aumenterà
l’arsenale atomico americano.
In questo
quadro rientra la sostituzione delle bombe nucleari
Usa B61, schierate in Italia – da 50 a 70 bombe
atomiche stoccate nei “paesaggistici” siti italiani di
Ghedi e di Aviano – e altri paesi europei, con le
nuove B61-12, armi da first strike (da primo attacco);
e il cosiddetto «scudo anti-missili» per neutralizzare
la rappresaglia nemica, tipo quello schierato dagli
Usa in Europa contro la Russia e in Corea del Sud, non
contro la Corea del Nord ma in realtà contro la Cina.
E Russia e Cina “naturalmente” rincorrono la
modernizzazione delle loro forze nucleari.
Ecco
dunque che il disastro del sito nordcoreano arriva ad
illuminare il buio presente del terrore atomico
globale. Nel silenzio dei governi, come quello
italiano che a parole si dice pronto a rivedere «con
gli alleati» la strategia dell’armamento nucleare ma
in concreto non aderisce al Trattato dell’Onu che
prima dell’estate ha messo al bando le atomiche.
Così,
nell’inerzia e indifferenza politica – mentre mezzo
punto di Pil pesa più del terrore atomico – a muoversi
stavolta è papa Francesco, nel solco del Trattato Onu
e del Nobel della pace assegnato all’Ican (Campagna
internazionale per l’abolizione delle armi nucleari),
con un convegno in Vaticano dal titolo «Prospettive
per un mondo libero dalle armi nucleari e per un
disarmo integrale». Saranno presenti, oltre a
interlocutori “pesanti” come la Nato, testimoni non
dimenticabili: i sopravvissuti di Hiroshima e
Nagasaki.
La frase
di Francesco per questo vertice di pace è semplice e
dovrebbe arrivare a Pyongyang come a Washington, a
Ghedi e ad Aviano: «L’umanità rischia il suicidio».