“La potenza
militare israeliana e i solidi agganci internazionali di
cui gode Tel Aviv pongono lo Stato ebraico nelle
condizioni di non aderire alla conferenza indetta dall’ONU
per la creazione di una zona mediorientale libera da armi
nucleari, cui invece l’Iran partecipa. Lo autorizzano a
tenere “200 bombe atomiche pronte al lancio su Teheran”,
come confidato dall’ex segretario di Stato Colin Powell al
suo partner d’affari e grande finanziatore del Partito
Democratico Jeffrey Leeds in una e-mail scovata e
pubblicata dal sito DcLeaks; gli permettono di
produrre plutonio in quantità sufficienti a sviluppare
ogni anno dalle dieci alle quindici bombe dalla potenza
analoga a quella sganciata dalle forze aeree statunitensi
su Nagasaki; gli consentono di fabbricare trizio, un gas
radioattivo utile per le armi nucleari di nuova
generazione come le mini-nukes impiegabili negli scenari
bellici più ristretti, come ad esempio Gaza, o come gli
ordigni neutronici, adoperabili in conflitti alle porte di
casa perché capaci, grazie all’emissione di neutroni
veloci, di garantire un elevatissimo grado di letalità,
pur provocando un contenuto livello di contaminazione
radioattiva.
Le indiscusse competenze tecnologiche acquisite nel corso
dei decenni pongono l’industria bellica israeliana – che
annoverà società di grande prestigio come la Elbit
Systems, la Israel Aerospace Industries, la Israel
Military Industries e la Rafael – nelle condizioni di
ritagliarsi un ruolo di primissimo piano nel mercato
mondiale delle armi. Composta da un misto di società sia
private che statali, l’industria bellica israeliana
assorbe oltre 50.000 impiegati e beneficia del rapporto di
osmosi con colossi del complesso militar-industriale USA
come la Lockheed Martin, che gli permette di riprodursi in
maniera allargata, inserendosi sempre più addentro al
sistema militar-tecnologico mondiale.
La forza di questo sistema ha consentito a Israele di
accreditarsi nel 2012 come sesto esportatore di armi a
livello mondiale, scavalcando colossi come la Cina e
l’Italia.”
Da Israele. Geopolitica di una piccola, grande potenza di Giacomo Gabellini, Arianna Editrice, pp. 84-85
“Il clamoroso, enorme vantaggio competitivo accumulato dall’economia di guerra israeliana, in termini di ideazione, sviluppo e commercializzazione di dottrine tecnologiche militari, è perciò il risultato di un sistema radicato e istituzionalizzato di dominio, controllo e oppressione dei Palestinesi. Le aziende militari israeliane possono vantare una lunga esperienza nelle operazioni di contro-insurrezione, nella “lotta al terrorismo” e nella repressione delle manifestazioni, e di avere ideato, testato e perfezionato i propri prodotti sul campo di battaglia. Pertanto, i progressi delle esportazioni di armi sono legati alla crescente sofisticazione dei diversi tipi di produzione militare. Ogni operazione bellica funge sia da banco di prova per le nuove tecnologie militari, sia da vetrina per promuovere le vendite all’estero, rafforzando l’industria degli armamenti che, a sua volta, svolge un ruolo di primo piano nel sistema produttivo israeliano.”
Da Gaza e l’industria israeliana della violenza di Enrico Bartolomei, Diana Carminati e Alfredo Tradardi, Derive/Approdi, p. 192
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