una fabbrica così non si riconverte, si chiude. Per altro essendo
solo una sede fra le tante della RWM tedesca, se la richiesta
deriva dal fatto che vende bombe all'Arabia Saudita, bè la nuova
sede aperta proprio lì, in Arabia Saudita, se le costruirà da sola
in accordo con quella presente in Sudafrica.
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Una fabbrica di armi nata dalla collaborazione tra Arabia
Saudita, Sudafrica e Germania è stata aperta nel regno wahabita. A
fine marzo Jacob Zuma, presidente del Sudafrica, accompagnato da
alcuni suoi ministri, è volato per una visita di Stato in Arabia
Saudita. Durante la sua breve permanenza nella penisola, Zuma il
27 marzo, assieme al vice principe ereditario, nonché ministro
della Difesa, ha inaugurato il nuovo complesso industriale che
produrrà armi, proiettili d’artiglieria e bombe aeree. Il nuovo
stabilimento è stato realizzato grazie alla collaborazione tra la
Saudi Military Industries Corp. (SAMIC) e la società Rheinmetall
Denel Munition (RDM). Quest’ultima, che ha sede in Sudafrica, è
controllata dalla Rheinmetall AG di Dusseldorf, la maggiore
industria per armamenti tedesca, con filiali un po’ ovunque nel
mondo. In Sudafrica la Rheinmetall AG è associata con la Denel
(Pty) Ltd. South Africa, società controllata dallo Stato, che
possiede il 49 per cento delle quote azionarie della Rheinmetall
Denel Munition, mentre la Rheinmetall AG il 51 per cento.
Mohamed Al-Mady, capo della SAMIC ha confermato che lo
stabilimento, situato nel complesso industriale militare Al-Kharj,
a sud di Riyad, la capitale saudita, è stato realizzato grazie
all’aiuto della RDM.
https://www.rheinmetall-defence.com/en/rheinmetall_defence/company/divisions_and_subsidiaries/rheinmetall_denel_munition/index.php
Il 23/06/2017 15:08, Elio Pagani (via
disarmo Mailing List) ha scritto:
Appello a deputati e senatori italiani per fermare
l’invio di bombe in Yemen. Iniziativa di Amnesty, Rete
pace, Rete disarmo, Oxfam, Banca etica e Focolari assieme
al comitato per la riconversione della fabbrica Rwm in
Sardegna
Sul piccolo stato dello Yemenpiovono
bombe prodotte in Italia. Le usa una vasta coalizione
militare guidata dall’Arabia Saudita. Paese
cliente della Rheinmetall
Defence, azienda tedesca che controlla la Rwm
Italia, con sede legale a Ghedi nel bresciano e
stabilimento operativo a Domusnovas, piccolo comune vicino
Cagliari, dove si raggiungono picchi di disoccupazione
intorno al 44%.
L’area del Sulcis Iglesiente soffre la
fine del ciclo minerario del carbone. Nel 2001 quella
fabbrica, che produceva esplosivi per gli scavi in
profondità, è stata convertita alla produzione bellica
grazie anche a fondi pubblici.
«Venderemo gli ordigni ai nostri alleati», affermava la
direzione aziendale del tempo e la protesta si spense
lentamente tranne pochi focolai rimasti fastidiosamente
accesi, ma considerati espressione di estremisti marginali
da molti benpensanti. Ieri, il 21 giugno del 2017, a 16
anni da quella scelta, nella sala stampa della Camera
dei deputati a Roma, le maggiori organizzazioni
umanitarie e dei diritti umani (Amnesty
international, Oxfam, Medici senza frontiere)
hanno portato una testimonianza diretta di una guerra che
produce migliaia di morti e feriti tra la popolazione
civile, milioni di profughi, condizioni sanitarie
disastrose che hanno provocato l’insorgere di una
epidemia di colera che è difficile curare in ospedali che
diventano obiettivo dei bombardamenti aerei.
«La coalizione guidata dall’Arabia Saudita non ha
rispettato il diritto umanitario internazionale in
almeno 10 attacchi aerei diretti su abitazioni, mercati,
fabbriche e su un ospedale», come riferisce il rapporto
finale del gruppo di esperti sullo Yemen nominati
dall’Onu inviato lo scorso 27 gennaio 2017 al Consiglio
di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Nello Scavo, continuando l’inchiesta che
porta avanti da tempo, ha riportato su Avvenire del
16 giugno le foto del numero
di matricola, che rimandano alla Rwm, dell’ordigno
«rinvenuto a Der al Hajari, nella regione nord-occidentale
di Hodeida dove i caccia piombarono alle 3 di notte dell’8
ottobre 2016: almeno sei civili uccisi, tra cui 4
bambini».
Come ha detto lo stesso direttore del quotidiano della Cei, Marco
Tarquinio, intervenuto in conferenza
stampa, «è intollerabile che si possa sparare sulla Croce
Rossa, ma è inconcepibile che una tale
aggressione avvenga con bombe fabbricate in Italia».
Evidentemente sono di diverso parere gli esponenti del
governo in carica, dal premier Gentiloni al ministro
della Difesa Pinotti, che hanno respinto
pubblicamente ogni illiceità nella fornitura dei armi a
Paesi in guerra. L’Arabia Saudita, si sa, è alleata degli Usa e
grande cliente della produzione bellica, ben prima
dell’era di Trump.
Come sottolinea Maurizio Simoncelli di Archivio
disarmo riportando i dati del Sipri di
Stoccolma, «l’Arabia Saudita, nel quinquennio
2012-2016, è il secondo Paese importatore di maggiori
sistemi d’arma al mondo, conquistando l’8,2% del mercato
globale».
In maniera provocatoria il conduttore della trasmissione
satirica di Italia 1 “Le Iene“, Dino
Gianrusso, ha cercato di avvicinare il presidente
del Consiglio mostrando provocatoriamente le mani dipinte
di rosso sangue. Facendo zapping sulle tv commerciali ci
si può indignare temporaneamente, maturando un senso di
sfiducia nella politica e nella società in generale.
La pretesa delle associazioni (Amnesty, Rete
disarmo, Rete pace, Banca etica, Focolari, Oxfam)
che hanno indetto la conferenza stampa alla Camera ha
voluto invece fare appello al senso di umanità e
responsabilità di ogni parlamentare, superando ogni
ordine di scuderia e timore, perché adottino una mozione
urgente per bloccare l’invio delle bombe. Mancano pochi
mesi alla fine di una legislatura convulsa. Il tempo è
davvero breve per un gesto coerente con la Costituzione
che ripudia la guerra.
È cominciato così una specie di appello nominale che
verrà ribadito personalmente dai cittadini responsabili
che chiederanno a ogni singolo parlamentare italiano di
votare l’identico testo approvato dal parlamento
europeo a febbraio 2016, e ribadito a
giugno 2017, che chiede di fermare «l’esportazione di armi
all’Arabia Saudita e a tutti Paesi coinvolti nel conflitto
armato in Yemen».
Lo hanno già chiesto con una lettera aperta ai
parlamentari eletti in Sardegna i due portavoce, Arnaldo
Scarpa e Cinzia Guaita, del “Comitato
Riconversione Rwm per la pace, il lavoro sostenibile, la
riconversione dell’industria bellica, il disarmo”,
costituito da oltre 20 associazioni dell’isola che si sono
ritrovate assieme il giorno dopo la marcia per la pace e
il lavoro promossa dal Movimento dei Focolari ad
Iglesias, comune confinante con Domusnovas e dove
la Rwm ha intenzione di espandersi.
Come ha ribadito Arnaldo Scarpa durante
la conferenza stampa «vogliamo uno sviluppo sano,
sostenibile, pacifico e non sfruttato o succube di
logiche di guerra. Dal nostro lavoro non deve
derivare morte e distruzione, in particolare di civili e
bambini. Vogliamo poter costruire un lavoro che produce
futuro e che si possa raccontare ai propri figli, basato
sulla pace. Chiediamo alle istituzioni di rovesciare la
situazione che si è creata: nel 2001 una fabbrica
esplosivi ad uso civile è stata convertita con soldi
pubblici al militare. Perché non si può fare il percorso
inverso?».
Un punto di domanda ribadito da Alfredo
Scognamiglio del Movimento dei Focolari
Italia che ha chiesto: «perché le istituzioni non
rispondono? Come mai non bastano gli appelli di papa
Francesco? Quante volte deve parlare il papa?
Dobbiamo essere accanto a chi lotta per la riconversione e
dobbiamo stare a loro fianco».
Una domanda che fatica ad essere ascoltata se il giorno
dopo la conferenza solo Luca Liverani su Avvenireriporta
fedelmente la questione che ha, come ha detto Nicoletta
Dentico di Banca Etica, una grande
«valenza simbolica» davanti a «una politica nazionale ed
internazionale che si riempie la bocca con lo “sviluppo
sostenibile” mentre nella realtà si favorisce la
produzione di armi».
Di quanto accade e delle responsabilità italiane «siamo
pochi, pochissimi, a parlarne, cerchiamo di squarciare la
censura dei media mainstream sulla disperazione
silenziosa dello Yemen, ignorato dal mondo. E continueremo
a farlo», afferma Antonella Napoli,
giornalista della presidenza di Articolo
21, che sostiene l’iniziativa. Come
esponente dei “pochissimi” che cercano di dare una
informazione diretta e non condizionata era presenti e
sono intervenuti nella conferenza stampa i direttori di Nigrizia e Città
Nuova, Efrem Tresoldi e Michele
Zanzucchi.
Il disinteresse generale che Riccardo Noury,
portavoce di Amnesty Italia, ha denunciato
davanti ad «un conflitto sporco che va avanti da più di
due anni nel disinteresse generale», si spiega con molte
omissioni fondate su alcune convinzioni diffuse nel
sentire comune, a partire dalla paura per il lavoro
nella Sardegna falcidiata nella crisi.
«Un ricatto che non possiamo accettare», afferma il
comitato per la riconversione economica del Sulcis,
territorio «dove la bellezza è di casa» e può offrire
tante possibilità di lavoro giusto e utile, a cominciare
dalle bonifiche necessarie dalla fine di un industrialismo
maldestro che rischia di lasciare solo il deserto.
Tra i diversi parlamentari presenti sono intervenuti: Giorgio
Zanin del Pd, per confermare
l’impegno ad un’azione trasversale e coerente, Emanuela
Corda del M5S, che ha ribadito il silenzio
complice del governo davanti alle loro interpellanze in
materia e quindi la difficoltà ad un cammino comune con
chi sostiene questo esecutivo, mentre Michele
Piras di Mdp ha affermato che
questa presa di posizione richiesta dalla società civile
è una occasione di unità possibile, a partire proprio
dal territorio sardo da cui proviene.
Ci sarà bisogno di tanto lavoro ostinato. Come dice Angelo
Cremone, storico attivista ambientalista del
Sulcis presente all’iniziativa alla Camera, «nulla può
giustificare la morte di un bambino straziato dalle
bombe», ma la situazione nello Yemen parla anche «di 4,5
milioni di persone che soffrono di malnutrizione», come
afferma Paolo Pezzati di Oxfam, «e di questi
circa 2 milioni sono bambini».
«I destini del mondo si decidono nelle periferie» ha
detto papa Francesco riprendendo le parole
di Primo Mazzolari che, durante il
fascismo, ammoniva la sua Chiesa a non restare per
troppo tempo in silenzio altrimenti «quando riprenderemo
a gridare nessuno ci ascolterà avendoci catalogati tra i
morti». «Non possiamo tacere e restare indifferenti»
ripetono i portavoce del comitato del Sulcis Iglesiente.
Qui il video
della conferenza stampa Camera dei deputati 21 giugno
2017.