[Disarmo] Su Curdi, Daesh, Usa-NATO, Turchia in M.O. e Nord Africa
- Subject: [Disarmo] Su Curdi, Daesh, Usa-NATO, Turchia in M.O. e Nord Africa
- From: Jure Ellero LT <glry at ngi.it>
- Date: Tue, 6 Sep 2016 22:35:25 +0200
Curdi buoni e Turchi cattivi? Tutto chiaro e limpido? Oppure la Turchia cerca di evitare la creazione ai suoi confini
di uno Stato curdo filooccidentale ricavato dallo smembramento
della Siria su modello Iraq (o modello Kosovo - Jugoslavia), col
rischio poi di vederselo estendere in 'casa propria'? Può essere
che a Washinton abbiano detto a Daesh, loro 'mano sporca', di
starsene ora calmini e di andarsene da qualche altra parte, poichè
i tempi stringono e serve impiantare una No fly zone targata NATO,
loro 'mano buona', nel 'libero' Rojava, dall'Eufrate al
Mediteraneo, prima che Assad e i Russi possano riuscire ad
impedirlo, liberando dai tagliagole 'islamici' il Nord Siria da
Aleppo a Jarabulus? Dopotutto, parliamo di territorio siriano: o
sbaglio? Che ci fanno i curdi in città arabe siriane? Da quale
parte stanno i pacifisti? con i distruttori di Stati e popoli e i
creatori del grande Caos produttore di profitto mediante rapine di
risorse e spese militari? o comprendono le ragioni di chi prova a
difendersi cercando alleati altrove che a Washington? Cerchiamo di
capire cosa sta succedendo: dopo la Siria c'è l'Iran e il Caucaso
e Baku, e più in là India Russia e Cina. E la guerrafondaia
Clinton da Gennaio 2017 sarà alla Casa bianca. Non che sia tutto bianco e nero, ci sono molti grigi. Propongo
semplicemente di ragionare. Ricordando che i fondatori della
nostra Repubblica democratica, cito a memoria, una volta vinta la
guerra di Liberazione dovettero ammettere: "non potemmo essere
buoni". Non cito i nomi, li conoscete. Allego due articoli di M. Dinucci, a mio avviso molto pacifisti.
Jure Ellero
L’arte della guerra
Le macerie della democrazia
Manlio Dinucci
Libia, la grande spartizione Alla «pace e sicurezza in Libia» ci stanno pensando a Washington, Parigi, Londra e Roma gli stessi che, dopo aver destabilizzato e frantumato con la guerra lo Stato libico, vanno a raccogliere i cocci con la «missione di assistenza internazionale alla Libia». L’idea che hanno traspare attraverso autorevoli voci. Paolo Scaroni, che a capo dell’Eni ha manovrato in Libia tra fazioni e mercenari ed è oggi vicepresidente della Banca Rothschild, ha dichiarato al Corriere della Sera che «occorre finirla con la finzione della Libia», «paese inventato» dal colonialismo italiano. Si deve «favorire la nascita di un governo in Tripolitania, che faccia appello a forze straniere che lo aiutino a stare in piedi», spingendo Cirenaica e Fezzan a creare propri governi regionali, eventualmente con l’obiettivo di federarsi nel lungo periodo. Intanto «ognuno gestirebbe le sue fonti energetiche», presenti in Tripolitania e Cirenaica. È la vecchia politica del colonialismo ottocentesco, aggiornata in funzione neocoloniale dalla strategia Usa/Nato, che ha demolito interi Stati nazionali (Jugoslavia, Libia) e frazionato altri (Iraq, Siria), per controllare i loro territori e le loro risorse. La Libia possiede quasi il 40% del petrolio africano, prezioso per l’alta qualità e il basso costo di estrazione, e grosse riserve di gas naturale, dal cui sfruttamento le multinazionali statunitensi ed europee possono ricavare oggi profitti di gran lunga superiori a quelli che ottenevano prima dallo Stato libico. Per di più, eliminando lo Stato nazionale e trattando separatamente con gruppi al potere in Tripolitania e Cirenaica, possono ottenere la privatizzazione delle riserve energetiche statali e quindi il loro diretto controllo. Oltre che dell’oro nero, le multinazionali statunitensi ed europee vogliono impadronirsi dell’oro bianco: l’immensa riserva di acqua fossile della falda nubiana, che si estende sotto Libia, Egitto, Sudan e Ciad. Quali possibilità essa offra lo aveva dimostrato lo Stato libico, costruendo acquedotti che trasportavano acqua potabile e per l’irrigazione, milioni di metri cubi al giorno estratti da 1300 pozzi nel deserto, per 1600 km fino alle città costiere, rendendo fertili terre desertiche. Agli odierni raid aerei Usa in Libia partecipano sia cacciabombardieri che decollano da portaerei nel Mediterraneo e probabilmente da basi in Giordania, sia droni Predator armati di missili Hellfire che decollano da Sigonella. Recitando la parte di Stato sovrano, il governo Renzi «autorizza caso per caso» la partenza di droni armati Usa da Sigonella, mentre il ministro degli esteri Gentiloni precisa che «l'utilizzo delle basi non richiede una specifica comunicazione al parlamento», assicurando che ciò «non è preludio a un intervento militare» in Libia. Quando in realtà l’intervento è già iniziato: forze speciali statunitensi, britanniche e francesi – confermano il Telegraph e Le Monde – operano da tempo segretamente in Libia per sostenere «il governo di unità nazionale del premier Sarraj». Sbarcando prima o poi ufficialmente in Libia con la motivazione di liberarla dalla presenza dell’Isis, gli Usa e le maggiori potenze europee possono anche riaprire le loro basi militari, chiuse da Gheddafi nel 1970, in una importante posizione geostrategica all’intersezione tra Mediterraneo, Africa e Medio Oriente. Infine, con la «missione di assistenza alla Libia», gli Usa e le maggiori potenze europee si spartiscono il bottino della più grande rapina del secolo: 150 miliardi di dollari di fondi sovrani libici confiscati nel 2011, che potrebbero quadruplicarsi se l’export energetico libico tornasse ai livelli precedenti. Parte dei fondi sovrani, all’epoca di Gheddafi, venne investita per creare una moneta e organismi finanziari autonomi dell’Unione Africana. Usa e Francia – provano le mail di Hillary Clinton – decisero di bloccare «il piano di Gheddafi di creare una moneta africana», in alternativa al dollaro e al franco Cfa. Fu Hillary Clinton – documenta il New York Times – a convincere Obama a rompere gli indugi. «Il Presidente firmò un documento segreto, che autorizzava una operazione coperta in Libia e la fornitura di armi ai ribelli», compresi gruppi fino a poco prima classificati come terroristi, mentre il Dipartimento di stato diretto dalla Clinton li riconosceva come «legittimo governo della Libia». Contemporaneamente la Nato sotto comando Usa effettuava l’attacco aeronavale con decine di migliaia di bombe e missili, smantellando lo Stato libico, attaccato allo stesso tempo dall’interno con forze speciali anche del Qatar (grande amico dell’Italia). Il conseguente disastro sociale, che ha fatto più vittime della guerra stessa soprattutto tra i migranti, ha aperto la strada alla riconquista e spartizione della Libia. (il manifesto, 3 agosto 2016) |
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