[Disarmo] ricordiamo Fukushima - 11 marzo 2011




TI RICORDI FUKUSHIMA?

 

DI ALFONSO NAVARRA (www.osmdpn.it)

 

firma la petizione per ESIGERE! IL DISARMO NUCLEARE TOTALE

http://www.petizioni24.com/esigiamo

 

 

Cara amica, caro amico,

 

ti ricordi di Fukushima? E’ stato il peggior disastro nucleare della storia recente, quello le cui immagini in TV ti hanno colpito come un pugno allo stomaco, quello per cui hai votato SI’ al referendum contro i piani di nuove centrali atomiche in Italia; ne ricorre il quarto anniversario (era l’11 marzo 2011). E’ molto probabile che oggi tu sia convinto che la faccenda si sia sostanzialmente chiusa con l’evacuazione di qualche villaggio, che la radioattività sparsa al momento riguardi solo qualche abitante del posto e che gli interventi effettuati abbiano messo tutto sommato in sicurezza la centrale giapponese incidentata in seguito allo tsunami.

La stampa solo sotto l’anniversario (ormai ci siamo!) se ne rioccuperà un po’ in termini folkroristici (c’è, in predicato di diventare star mediatica, un contadino giapponese che è restato, nella zona interdetta, accanto alle sue vacche per evitarne l’abbattimento), e darà spazio a qualche editorialista per lamentarsi dell’”oscurantismo” italiano che rifiuta modernità e progresso, come del resto ha già fatto negli anni passati; ma, sicuramente, come al solito, glisserà sull’essenziale. Qui in Italia vorrebbe – la stampa, dico -, da quanto viene strillato dalle aperture dei TG, che la nostra vita sia appesa alla “grande riforma” del Porcellum, a quale sarà la percentuale di “nominati” in Parlamento dai partiti (quelli che ci hanno accollato oltre 2.100 miliardi di debito pubblico) che potremo avallare con il nostro voto!

Uno dei punti – ci scommetto - su cui i grandi media non si soffermeranno nelle commemorazioni (e talvolta nelle lamentazioni) è il seguente: proprio tu che leggi (ed io che scrivo non ne sono certamente immune) potresti essere una vittima diretta del fallout radioattivo globale dovuto a Fukushima, ma anche a Chernobyl del 1986, a Three Mile Island del 1979, ad una quantità di incidenti minori sconosciuti, e soprattutto – questa proprio era fuori dai tuoi conteggi! - a decenni di test per mettere a punto gli arsenali atomici: non abbiamo avuto solo le esplosioni di Hiroshima e Nagasaki, magari! Abbiamo avuto centinaia di bombe fatte scoppiare soprattutto fino al 1993, il 25% in atmosfera. Il picco lo abbiamo conosciuto negli anni 1961-1962, con oltre la metà del megatonaggio complessivo espresso. Solo i 511 test atmosferici raggiunsero una potenza totale di 438 megatoni, pari a 29.000 bombe come quelle di Hiroshima!

(Il dato lo fornisce Paolo Cortesi in: “Test nucleari, giocare col plutonio”. Vai su: http://www.minerva.unito.it/Chimica&Industria/MonitoraggioAmbientale/A2/TestNucleari.htm).

Una domanda cruciale ce la pone Alberto Burgio, coordinatore nazionale del Comitato scientifico dell’ISDE,  autore di “Scram”, Jaka Book, 2011, con Angelo Baracca e Giorgio Ferrari: quando mai avremo il numero esatto dei morti di Fukushima (e di Chernobyl e dei test nucleari)? La risposta più giusta è “MAI!”. Lui stesso in Scram spiega perché: “Il vero problema è dato proprio dalle piccole quantità di radioisotopi che escono dalle centrali e si concentrano nelle catene alimentari e in particolare nel latte di mucca e in quello materno. E che passano attraverso la placenta al feto interferendo col suo Dna. Incidenti come quello di Chernobyl e di Fukushima, immettono nella biosfera grandi quantità di radioisotopi che permangono nelle catene alimentari per decenni e, per quanto concerne il plutonio, per millenni. A essere esposti e contaminati non saranno dunque soltanto i bambini ucraini o giapponesi ma, col passare del tempo, tutti gli esseri umani e, più in generale, tutti gli esseri viventi”.

 

PERCHE’ ADDITIAMO “LA FOLLIA DEL NUCLEARE”. PERCHE’NON RITENIAMO CHIUSA LA PARTITA. Quattro anni sono passati da Fukushima (11 marzo 2011) e quattro dal referendum antinucleare vinto in Italia (12 e 13 giugno 2011) sull’onda della consapevolezza e dei sentimenti suscitati dal disastro giapponese: da cittadino impegnato nella politica di base e nei saperi critici (mi definisco ironicamente “antigiornalista”), non ho mai dismesso l'opposizione alle lobbies del nucleare, sempre vive e vegete, sia pure ferite, con l’obiettivo di rafforzare le ragioni di un movimento globale contro la “megamacchina atomica”, che, con molti miei amici antimilitaristi ed ecologisti, ritengo del tutto attuale nelle motivazioni e negli scopi; e di importanza letteralmente vitale.

Facciamo un invito alle cittadine ed ai cittadini a rafforzare il movimento antinucleare nella consapevolezza, da parte nostra, che la partita contro l’”atomo” non è affatto chiusa!

“Sfruttiamo”, in senso buono, un anniversario tragico, quello dell’incidente alla centrale giapponese seguito allo tsunami,  non per assecondare il chiacchiericcio superficiale da talk show televisivo che si scatena in queste occasioni, ma per indurre, se possibile, una sensibilizzazione – la più ampia possibile - ed una riflessione – la più profonda possibile - su ciò che più deve preoccupare ed occupare le nostre vite attive, se aspirano ad un futuro collettivo che dia loro senso autentico.

Qui sono in ballo le nostre esistenze, e lo slogan “meglio attivi che radioattivi” è da considerare del tutto appropriato, rigoroso ed esatto!

L’importanza ed attualità del movimento per la denuclearizzazione (chiusura delle centrali atomiche più disarmo nucleare) è strettamente da collegare all’impegno per l’energia rinnovabile di pace: vogliamo, per vari motivi, tra cui spiccano anche istanze di opportunità e di efficacia, abbinare la protesta alla proposta, e questo può avvenire radicando l’opposizione nel concetto di energia “bene comune”, base di una società migliore, di un ecosviluppo pacifico che, da ciascuno di noi, donne ed uomini di buona volontà, può essere costruito concretamente giorno dopo giorno.

La causa è nobile, è radicata nello spirito di sopravvivenza (individuale e collettiva), combina, secondo gli insegnamenti della nonviolenza vincente, quella pragmatica, non quella ideologica, strategie di contestazione con programmi costruttivi.

Il punto che intendiamo chiarire è, nella pars destruens, la sostanziale complementarità dell’immenso pericolo nucleare nelle due forme apparentemente distinte in cui si presenta: quella militare e quella “civile”. E’ questo aspetto trascurato (e rimosso anche dai movimenti “specializzati”) della dipendenza del nucleare “civile” da quello militare che il nostro lavoro, ed il mio in particolare, e non da oggi, da anni, si sforza di mettere in luce.

Le applicazioni militari e civili del nucleare sono strettamente intrecciate e non separabili: siamo di fronte a due fratelli gemelli e assolutamente cooperanti!

(Tra i due il più anziano è anche il “maggiore” nel senso di dominante:  c’è bisogno di precisare quale è? Sì, c’è bisogno!).

Un pericolo, quello nucleare, sia “civile” che militare (insisto, ed insisto con le virgolette per il civile!), sfortunatamente mortale, di entità apocalittica, tra reattori che possono fondere, bombe che possono esplodere e missili che possono partire, persino solo virtualmente, fino a scatenare guerre cataclismatiche (anche solo locali) “per caso o per errore”, di cui l’opinione pubblica ha scarsissima cognizione e che addirittura tende, per meccanismi psicologici profondi, a rimuovere, se non ad “espellere”.

L’”atomo” (tecnologia più apparati industriali e militari) ci minaccia mortalmente e non dobbiamo chiudere gli occhi di fronte all’incendio che può farci crollare la casa addosso, bensì darci da fare per estinguerlo!

 

(l'intervento completo nel file allegato)

 

 



Allegato Rimosso