[Disarmo] L'Italia torna in guerra in Iraq - Manlio Dinucci




L’Italia torna in guerra in Iraq

Manlio Dinucci


L’Italia invierà armi e militari nella regione di Erbil in Iraq, per
rafforzare «le capacità di autodifesa dei curdi» contro l’avanzata
dell’Isis: lo annuncia la ministra della difesa, Roberta Pinotti, alle
commissioni riunite Esteri e Difesa di Camera e Senato.

Non a caso l'annuncio viene dato due giorni dopo che il capo di stato
maggiore della difesa, l’ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, ha
partecipato in rappresentanza dell’Italia alla riunione, nella base
militare di Andrews presso Washington,delle massime autorità militari
dei 22 paesi della coalizione la cui missione ufficiale è «degradare e
distruggere l’Isis». All’incontro – presieduto dal generale Martin
Dempsey, capo dello stato maggiore congiunto degli Stati uniti – è
intervenuto il presidente Obama, sottolineando che gli Usa
intensificheranno «l’azione contro obiettivi sia in Iraq che in Siria»,
nel quadro di una coalizione internazionale. Gli alleati degli Usa,
oltre a effettuare attacchi aerei in ambedue i paesi, forniscono «armi e
assistenza alle forze irachene e all’opposizione siriana» (contro Assad)
e «miliardi di dollari di aiuti», definiti «umanitari».

In ambienti vicini alla Casa Bianca si ritiene che, nonostante l’impegno
ufficiale di Obama di non impiegare soldati in missioni di combattimento
in Iraq e Siria, gli Stati uniti stiano preparando l’invio di forze
speciali (Berretti Verdi, Delta Force, Navy Seals), che si aggiungeranno
ai «consiglieri» e agli  «addestratori» già sul terreno, con il compito
di effettuare azioni coperte. Contemporaneamente Washington preme perché
gli alleati si assumano maggiori compiti, comprese operazioni terrestri.

Non è dato sapere quali impegni abbia assunto per l’Italia, a Andrews,
il capo di stato maggiore. Lo si può però dedurre dall’annuncio della
Pinotti.  L’Italia non solo fornirà «ulteriori stock di munizioni di
modello ex-sovietico, provenienti dal materiale confiscato nel 1994», ma
anche «armi e munizioni controcarro in uso all’Esercito italiano», più
un aereo KC-767 per il rifornimento in volo dei cacciabombardieri e due
velivoli Predator a pilotaggio remoto, presto affiancati da «altri
assetti pilotati per la ricognizione aerea».

L’Italia invierà inoltre 280 militari per l’addestramento e la
formazione di forze curde e, fatto ancora più importante, «una cellula
di ufficiali per le attività di pianificazione». Si tratta, in altre
parole, di un comando avanzato per ulteriori operazioni militari
effettuate in modo coperto da forze speciali italiane, oggi potenziate
con la nascita del nuovo comando unificato istituito alla caserma della
Folgore a Pisa.

L’intervento militare italiano in Iraq rientra nella strategia
statunitense. I curdi che l’Italia va a sostenere sono quelli della
Regione autonoma  del Kurdistan, centro petrolifero in grande ascesa e
sede di decine di compagnie Usa e occidentali, sotto la presidenza di
Masoud Barzani, capo del Partito democratico del Kurdistan, fedelissimo
degli Stati uniti.

Non a caso, mentre colpisce le forze dell’Isis che minacciano la regione
in cui è al potere Barzani, l’aviazione statunitense e alleata fa
cilecca quando si tratta di colpire l’Isis che attacca la zona del Pkk,
le cui forze (che sono quelle che combattono realmente l’Isis sul fronte
del confine siriano) vengono per di più bombardate dall’aviazione turca.
Significativo è che all’incontro di Andrews abbia partecipato il capo di
stato maggiore della Turchia e che la Casa Bianca abbia minimizzato gli
attacchi aerei turchi contro i curdi del Pkk, assicurando che sono in
corso colloqui su «ulteriori impegni» di Ankara.

Lo stesso avviene in Siria, dove gli attacchi aeronavali Usa stanno
demolendo non l’Isis, ma le installazioni petrolifere siriane per far
crollare il governo di Damasco.

Obama, dopo l’incontro di Andrews, ha rimarcato che «distruggere l’Isis
resta una missione difficile» e che «siamo appena agli inizi di una
campagna a lungo termine». Non c’è dubbio, dato che l’Isis – costruito
dai Paesi sunniti del Golfo a partire dall’Arabia saudita e dal fronte
degli «Amici della Siria» , tra cui Usa, Turchia, Gran Bretagna – è
funzionale alla strategia statunitense che, dopo aver demolito con la
guerra lo Stato libico e aver quasi demolito quello siriano, mira alla
balcanizzazione dell’Iraq, smembrandolo in tre regioni semi-autonome
(curda, sunnita, sciita) o in tre distinti Stati.

In questa lunga e costosa guerra viene portata l’Italia. I soldi non
mancano: nella legge di stabilità, quelle per le «missioni
internazionali di pace» (leggi missioni di guerra) vengono definite
«spese indifferibili».

(il manifesto, 18 ottobre 2014)


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