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[Disarmo] L'Italia torna in guerra in Iraq - Manlio Dinucci
- Subject: [Disarmo] L'Italia torna in guerra in Iraq - Manlio Dinucci
- From: Jure Ellero LT <glry at ngi.it>
- Date: Sat, 18 Oct 2014 15:13:15 +0200
L’Italia torna in guerra in Iraq Manlio Dinucci L’Italia invierà armi e militari nella regione di Erbil in Iraq, per rafforzare «le capacità di autodifesa dei curdi» contro l’avanzata dell’Isis: lo annuncia la ministra della difesa, Roberta Pinotti, alle commissioni riunite Esteri e Difesa di Camera e Senato. Non a caso l'annuncio viene dato due giorni dopo che il capo di stato maggiore della difesa, l’ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, ha partecipato in rappresentanza dell’Italia alla riunione, nella base militare di Andrews presso Washington,delle massime autorità militari dei 22 paesi della coalizione la cui missione ufficiale è «degradare e distruggere l’Isis». All’incontro – presieduto dal generale Martin Dempsey, capo dello stato maggiore congiunto degli Stati uniti – è intervenuto il presidente Obama, sottolineando che gli Usa intensificheranno «l’azione contro obiettivi sia in Iraq che in Siria», nel quadro di una coalizione internazionale. Gli alleati degli Usa, oltre a effettuare attacchi aerei in ambedue i paesi, forniscono «armi e assistenza alle forze irachene e all’opposizione siriana» (contro Assad) e «miliardi di dollari di aiuti», definiti «umanitari». In ambienti vicini alla Casa Bianca si ritiene che, nonostante l’impegno ufficiale di Obama di non impiegare soldati in missioni di combattimento in Iraq e Siria, gli Stati uniti stiano preparando l’invio di forze speciali (Berretti Verdi, Delta Force, Navy Seals), che si aggiungeranno ai «consiglieri» e agli «addestratori» già sul terreno, con il compito di effettuare azioni coperte. Contemporaneamente Washington preme perché gli alleati si assumano maggiori compiti, comprese operazioni terrestri. Non è dato sapere quali impegni abbia assunto per l’Italia, a Andrews, il capo di stato maggiore. Lo si può però dedurre dall’annuncio della Pinotti. L’Italia non solo fornirà «ulteriori stock di munizioni di modello ex-sovietico, provenienti dal materiale confiscato nel 1994», ma anche «armi e munizioni controcarro in uso all’Esercito italiano», più un aereo KC-767 per il rifornimento in volo dei cacciabombardieri e due velivoli Predator a pilotaggio remoto, presto affiancati da «altri assetti pilotati per la ricognizione aerea». L’Italia invierà inoltre 280 militari per l’addestramento e la formazione di forze curde e, fatto ancora più importante, «una cellula di ufficiali per le attività di pianificazione». Si tratta, in altre parole, di un comando avanzato per ulteriori operazioni militari effettuate in modo coperto da forze speciali italiane, oggi potenziate con la nascita del nuovo comando unificato istituito alla caserma della Folgore a Pisa. L’intervento militare italiano in Iraq rientra nella strategia statunitense. I curdi che l’Italia va a sostenere sono quelli della Regione autonoma del Kurdistan, centro petrolifero in grande ascesa e sede di decine di compagnie Usa e occidentali, sotto la presidenza di Masoud Barzani, capo del Partito democratico del Kurdistan, fedelissimo degli Stati uniti. Non a caso, mentre colpisce le forze dell’Isis che minacciano la regione in cui è al potere Barzani, l’aviazione statunitense e alleata fa cilecca quando si tratta di colpire l’Isis che attacca la zona del Pkk, le cui forze (che sono quelle che combattono realmente l’Isis sul fronte del confine siriano) vengono per di più bombardate dall’aviazione turca. Significativo è che all’incontro di Andrews abbia partecipato il capo di stato maggiore della Turchia e che la Casa Bianca abbia minimizzato gli attacchi aerei turchi contro i curdi del Pkk, assicurando che sono in corso colloqui su «ulteriori impegni» di Ankara. Lo stesso avviene in Siria, dove gli attacchi aeronavali Usa stanno demolendo non l’Isis, ma le installazioni petrolifere siriane per far crollare il governo di Damasco. Obama, dopo l’incontro di Andrews, ha rimarcato che «distruggere l’Isis resta una missione difficile» e che «siamo appena agli inizi di una campagna a lungo termine». Non c’è dubbio, dato che l’Isis – costruito dai Paesi sunniti del Golfo a partire dall’Arabia saudita e dal fronte degli «Amici della Siria» , tra cui Usa, Turchia, Gran Bretagna – è funzionale alla strategia statunitense che, dopo aver demolito con la guerra lo Stato libico e aver quasi demolito quello siriano, mira alla balcanizzazione dell’Iraq, smembrandolo in tre regioni semi-autonome (curda, sunnita, sciita) o in tre distinti Stati. In questa lunga e costosa guerra viene portata l’Italia. I soldi non mancano: nella legge di stabilità, quelle per le «missioni internazionali di pace» (leggi missioni di guerra) vengono definite «spese indifferibili». (il manifesto, 18 ottobre 2014) ---------------------
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