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Re: [Disarmo] Moni Ovadia oggi sul Fatto Quotidiano
- Subject: Re: [Disarmo] Moni Ovadia oggi sul Fatto Quotidiano
- From: Jure Ellero LT <glry at ngi.it>
- Date: Sat, 30 Aug 2014 01:38:34 +0200
Ultimamente si esprime bene sulla recente politica coloniale sionista. Ma cade spesso in errori forse non voluti, con il rischio di far passare l'idea dell''Ebreo buono', se non del 'Sionista moderato'. Su questo, commento nel testo proposto da Davide, qui sotto. Inoltre su Ovadia permane la 'macchiolina' dell'implicita adesione all'intervento in Libia, nella sottoscrizione all'appellp 'umanitario' proposto nel 2011 da Tavola della pace e altri pacifinti, adesione mai più commentata e/o ritrattata.
Jure Il 29/08/2014 23:28, Davide Bertok ha scritto:
Grande Moni in questo articolo! Davide Io, ebreo e i diritti dei palestinesi di Moni Ovadia in “il Fatto Quotidiano” del 29 agosto 2014 Il conflitto israelo-palestinese è uno dei problemi centrali del nostro tempo sul piano reale ma ancor di più sul piano della percezione simbolica, anche se tutto sommato riguarda un numero limitato di persone rispetto alle moltitudini dei grandi scacchieri incandescenti. Perché è tanto importante? A mio parere perché, oltre alle ragioni fattuali che lo definiscono, evoca ripetutamente nella dimensione fantasmatica, lo spettro dell’antisemitismo, quello del suo esito catastrofico, la Shoah, ma anche quello del suo doppio negativo, la vittima che diventa carnefice. La Shoah non solo ha espresso in sé il male assoluto, ma ha cambiato definitivamente la nostra visione antropologica del mondo e ha sconvolto le categorie del pensiero e del linguaggio. Oggi, la memoria della Shoah entra nel conflitto sul piano dell’immaginario producendo rebound psicopatologici che mettono in scacco non solo il dialogo fra posizioni diverse, ma la possibilità stessa di elaborare un approccio critico senza provocare reazioni isteriche o furiose. Molti ebrei in Israele e nella diaspora, reagiscono psicologicamente a ogni riflessione severa come se, invece di vivere a Tel Aviv o a Parigi nel 2014, vivessero a Berlino nel 1935. Ora, essendo ebreo anch’io, per dovere di onestà intellettuale è giusto che dichiari la mia posizione perché essa è tutt’altro che neutrale. Sostengo con piena adesione i diritti del popolo Palestinese, non contro Israele, ma perché il loro riconoscimento è, a mio parere, precondizione per ogni trattativa che porti alla pace. Ritengo che la responsabilità principale (non unica) dell’attuale disastro, abbia origine nella cinquantennale occupazione da parte dell’esercito e dell’Autorità israeliana e la relativa illegittima colonizzazione delle terre che appartengono ai palestinesi secondo i decreti della legalità internazionale.
Cinquantennale? La Nakba (non so se scrivo bene, in ogni caso sta per 'il disastro', in arabo) per il popolo palestinese risale al 1948, e fanno 70 annii e non 50, data della nascita per autoproclamazione dello Stato ebraico e la cacciata manu militare di oltre 1.000.000 di palestinesi dalla loro terra, contemporaneamente al disimpegno dell'esercito inglese occupante, e garante fino allora, assieme a tutte le potenze coloniali mondiali pre-II guerra mondiale, del Sionismo in Palestina. Ma l'invasione era iniziata ben prima, prima del '39, anche con la collaborazione e il finanziamento nazista. Ovadia pospone tutto, come se tutto fosse iniziato nel dopoguerra, tirando in ballo i sensi di colpa 'occidentali' ciechi o co-promotori della Shoa. Supportando così, forse involontariamente, la comoda e legittimante tesi corrente che Israele sia nata come risposta allo sterminio nazista (fascista no?) e sostenuta dai sensi di colpa suddetti. Ma le cose non stanno così. Parlare poi in questo contesto di 'decreti della legalità internazionale' è del tutto fuori luogo, visto il ruolo giocato in M.O. all'epoca dalla Società delle Nazioni e dalle potenze coloniali che la esprimevano, a partire dal primo dopoguerra - pur se il sionismo nasce ancor prima dell''inutile strage'. Poi nel II dopoguerra, riformata come ONU secondo le regole imposte dai vincitori, la SdN si è comportata come le tre scimmiette: lo Stato palestinese pur da essa concesso formalmente non è mai potuto nascere, lasciando trascinare la questione fino al disastro attuale, con Israele sempre pronta e libera di porre l'Onu man mano davanti all'ennesimo 'fatto computo' (cui fa cenno qui sotto pure M. Ovadia). Avete mai visto l'Onu intervenire direttamente, dal '48 ad oggi, in difesa dei diritti dei popoli palestinesi? Di quale 'legalità internazionale' andiamo cianciando?
Su Gaza, l’“occupazione” è esercitata sempre da parte dell’autorità civile e militare di Israele con un ininterrotto assedio e comporta il totale controllo dell’entrata e uscita delle merci e delle persone, dello spazio aereo, marittimo, delle risorse idriche, energetiche e persino dell'anagrafe. I tunnel, in qualche misura, sono una risposta a questo stato di cose. I missili lanciati contro la popolazione civile di Israele sono atto di guerra illegale secondo le convenzioni internazionali, ma non si può far finta di dimenticare che un assedio è esso stesso atto di guerra. È stata pratica sistematica degli ultimi governi israeliani il mantenimento dello status quo attraverso la politica dei fatti compiuti e il mantenimento dello status quo impedisce, de facto, ogni altro sbocco come quello della trattativa. Lo dimostra il reiterato nulla di fatto con Abu Mazen che, in cambio della sua superdisponibilità a trattare, ha ricevuto solo umiliazioni anche dal finto mediatore statunitense. Ora, la politica dello status quo significa contestualmente il suo peggioramento e l’ineludibile scoppio dei ciclici conflitti con Hamas che terminano con la devastazione di Gaza, una micidiale conta di vittime civili palestinesi e, fortunatamente sul piano umanitario, un esiguo numero di vittime israeliane, soprattutto militari. Ciò non significa che non siano vittime e che la loro morte non sia un lutto. GLI ZELOTI pro israeliani quando ascoltano o leggono queste mie opinioni critiche, reagiscono immancabilmente con insulti, maledizioni e invettive. Il genere è: “Sei un rinnegato, nemico del popolo ebraico, ebreo antisemita o ebreo che odia se stesso”. La critica da parte di un ebreo della diaspora alla politica di governi israeliani può essere considerata tradimento, antisemitismo od odio verso se stessi solo se collocata nel quadro di un’identificazione nazionalista di ebreo, israeliano, popolo ebraico, popolo d’Israele, Stato d'Israele, suo governo e “terra promessa”. Ma se qualcuno osa fare notare, da posizioni critiche, tale pericolosa identificazione, ecco arrivare addosso all’incauto le accuse infamanti di antisemita o antisionista, che, per molti “amici di Israele” – anche persone di indiscutibile livello culturale –, sono la stessa cosa. Il carattere fantasmatico della percezione della critica come minaccia innesca irrazionali reazioni furiose che producono alluvioni di tweet, di email rivolte agli organi di stampa e di esternazioni su Facebook dove il diritto all’incontinenza mentale è garantita dell’indipendenza della Rete. L’ossessione della nuova Shoah dietro la porta scatena processi di permanente vittimizzazione che si sinergizzano con i complessi di colpa occidentali, legittimando un’“industria dell’Olocausto” che fa un uso strumentale e ricattatorio della memoria dell’immane catastrofe per fini di propaganda, come bene spiega un saggio fondamentale di Norman Finkielstein, uno scrittore ebreo statunitense. Questa, a mio parere, è una delle derive più allarmanti e ciniche della memoria stessa a cui si prestano non pochi politici europei reazionari o ex-post fascisti, magari facendosi intervistare all’uscita da una visita al memoriale di un lager nazista per dichiarare: “Mi sento israeliano!”. Questo è un modo per trarre “profitto” dall’orrore a vantaggio degli eredi delle classi politiche europee che non si opposero allora al nazismo e all’antisemitismo e oggi lasciano sguazzare indisturbati, nell’Europa comunitaria, neonazisti di ogni risma. L’infame Europa del mainstream delle sue classi dirigenti conservatrici allora stette a guardare lo sporco lavoro dei nazisti collaborando o, nel migliore dei casi, rimanendo indifferenti. Dopo la guerra questi signori hanno progressivamente trattato “il problema ebraico” “esportandolo” con piglio colonialista in medioriente. Oggi cercano credibilità e verginità israelianizzando tout court l’ebreo con una mortificante omologazione. A questa operazione si prestano purtroppo le dirigenze della gran parte delle istituzioni ebraiche, come ha dimostrato il caso della cantante Noa. L’artista israeliana doveva tenere un concerto a Milano organizzato dall’Adei Wizo, un’organizzazione femminile ebraica. Ma Noa, per il solo fatto di avere espresso l’opinione che la colpa dell’ultimo conflitto di Gaza era degli estremisti delle due parti,
Qua Ovadia raggiunge il climax dell'ebreo buono: la colpa della guerra (??? Quale guerra? Mortaretti contro Mekava ed F18???) non è dell'occupazione e della politica coloniale israeliana sostenuta, nei fatti, da tutto l'Occidente, bensì 'degli estremisti delle due parti!!! Alla faccia della 'dichiarazione equilibrata'! Complimenti, Ovadia!
si è vista cancellare il concerto. Questo episodio dimostra che neppure una dichiarazione equilibrata, neanche se fatta da una cittadina israeliana, sia accettabile per chi vuole omologare l’ebreo all’israeliano, salvo poi infuriarsi indignato con chi smaschera l’intento. Dall’altra parte, > ultras “filopalestinesi” si esercitano nella gratificante impresa di fare di Auschwitz, del nazismo e della svastica, oggetti contundenti da scagliare contro l’ebreo in Israele e spesso contro l’ebreo tout court, ma soprattutto contro il vagheggiato ebreo onnipotente della mitica lobby ebraica. L’intento è quello di dimostrare che Israele è come la Germania di Hitler e che ebrei si comportano come SS. Sotto sotto c’è la vocazione impossibile e sconcia di pareggiare i conti per neutralizzare il deterrente della Memoria. Ma questa sottocultura pseudopolitica, prima di scandalizzare, colpisce per la sua deprimente rozzezza. Sarebbe facile dimostrare l’assurdità di simili farneticazioni, inoltre finisce sempre per rivelarsi una sorta di boomerang che danneggia la causa palestinese. Tutto ciò poco interessa a chi deve placare il proprio narcisismo militante, inoltre, questo tipo di militanza che si esprime con slogan di “estrema sinistra” e di roghi di bandiere ha inquietanti punti di contatto con quella dei neonazisti che, pur di soddisfare la loro inestinguibile sete di antisemitismo, si iscrivono fra gli ultras filopalestinesi.
Qui se non altro Ovadia spiega bene a cosa serve l'infiltrazione 'rossobruna' o decisamente nazifascista nel movimento di sostegno alla causa palestinese, e per estensione ad iniziative su altri scenari, ad esempio il Donbass.
Per denunciare l’oppressione del popolo palestinese ci sono un linguaggio puntuale e concetti giuridici elaborati dal diritto internazionale. È dissennato proiettare l’immaginario della memoria della Shoah in paragoni inaccettabili. Anche i proclami di antisionismo sono poco sensati, poco centrati e non tengono conto delle articolazioni del fenomeno. A mio parere, il sionismo in quanto tale si è estinto da un pezzo. Anche di esso sono rimaste proiezioni fantasmatiche mentre nella realtà l’ideologia della destra reazionaria dominante in Israele è un ultranazionalismo del “grande Israele” compromesso con il fanatismo religioso. Del sionismo è rimasto lo spirito dell’equivoco slogan delle origini: “Un popolo senza terra per una terra senza popolo”.
Qui si ha l'impressione, ma andrebbe chiesto direttamente a Ovadia perchè è poco chiaro, di una accettazione del, se non adesione al, principio sionista, poi divenuto progetto portato a termine, del ritorno degli Ebrei nella Terra promessa, esposto come dato 'lecito', comprensibile, praticabile, e forse perfino condivisibile e 'giusto'. Mentre il disastro conseguente, Nakba compresa, guerre passate e attuali (notare: guerra tra Hamas e Israele, non tra Israele e Palestinesi, scrive Ovadia) andrebbe imputato non al sionismo in sé, ma all''ultranazionalismo della destra dominante', come se esso non fosse la conseguenza pratica del protervo e criminale disegno originale di Herzl. A parte il rimasuglio, oggi mal praticato dall'ultradestra, del 'popolo senza terra', sembra dire Ovadia, il resto del progetto sionista delle origini non era malaccio... Mi par di sentire i neofascisti che se ne escono col 'in fondo, all'inizio, il fascismo delle origini aveva delle buone idee e delle buone intenzioni, poi purtroppo sono arrivati i gerarchi, e gli estremisti... Come, di nuovo, le condizioni iniziali non potessero far capire dove poi si sarebbe andati a parare, così come è avvenuto con il sionismo.
La finisco qui e vi saluto Jure
Ancora oggi, a distanza di più di un secolo, la destra reazionaria di Netanyahu ha re- imbracciato quella miopia militante che vorrebbe cancellare nei palestinesi lo status di nazione e di popolo. Ma in questi ultimi giorni perfino il falco Bibi, mettendo la mordacchia ai più falchi di lui nel suo governo, ha intuito che nella sanguinosa polveriera mediorientale una tregua “duratura e permanente” con Hamas è più auspicabile che far scempio di civili innocenti. Secondo me, ciò di cui c’è vitale bisogno in Israele è che la sua classe dirigente si armi di coscienza critica e di lungimirante pragmatismo per dismettere vittimizzazione e propaganda e ascoltare anche le critiche più dure come un contributo e non come un pericolo. Certo, una tregua non fa primavera né la fa una manifestazione della fragile opposizione che in giorni recenti è coraggiosamente tornata a mostrarsi in piazza Rabin per fare ascoltare una lingua diversa da quella dello sciovinismo militare. Ma sono barlumi di una possibile alternativa all’asfissia della guerra. Lista Disarmo Per iscriversi o cancellarsi dalla lista: http://www.peacelink.it/mailing_admin.html
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- [Disarmo] Moni Ovadia oggi sul Fatto Quotidiano
- From: Davide Bertok <davide at bertok.it>
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