[Disarmo] Petrolio, uranio e basi militari. Il grande gioco africano



 Claudio Magliulo

La Francia ha inviato venerdi i primi 400 soldati nella Repubblica 
Centrafricana, dove sono già dispiegare truppe dell'Unione africana. E' la 
quarta missione di peace-keeping francese in Africa occidentale in tre anni. 
Disinteressato impegno umanitario o piuttosto il segnale che il nuovo Grande 
Gioco per il controllo delle risorse del continente sta entrando nel vivo?

I soldati francesi sono sbarcati ieri nella capitale centrafricana Bangui, 
dove oggi hanno avviato operazioni per disarmare le milizie che seminano il 
terrore nel paese.  La crisi in Repubblica Centrafricana non accenna a 
risolversi e ancora una volta la Francia interviene, ufficialmente per evitare 
"un altro Ruanda": è  la quarta volta nel giro di tre anni in un Paese 
africano.

Francia gendarme d'Africa

Nel marzo 2011 il presidente Sarkozy promuove e ordina la partecipazione delle 
forze armate francesi all'intervento Nato in Libia, con gran dispiego di mezzi. 
Come per gli altri paesi coinvolti nell'intervento, la Francia aveva ed ha 
interessi nell'estrazione del petrolio e del gas libici tramite il colosso 
degli idrocarburi Total.

Giorni dopo l'inizio dell'intervento in Libia, le forze francesi stazionate in 
Costa d'Avorio dal 2002 e il contingente Onu vengono trascinati in una guerra 
civile lampo tra i lealisti del presidente Laurent Gbagbo, appena sconfitto in 
elezioni disputate (la Commissione elettorale ne decreta la sconfitta, ma la 
Corte Suprema ribalta il risultato), e i sostenitori del neo-eletto Alassane 
Ouattara, appoggiato da Parigi e comunità internazionale. Dopo giorni di 
scontri, le forze speciali francesi schiacciano le ultime difese di Gabgbo e ne 
consentono l'arresto.

Nel gennaio 2012, pochi mesi dopo la morte di Muammar Gheddafi e la fine delle 
operazioni Nato in Libia, alcuni gruppi di separatisti e ribelli nel nord del 
Mali avviano una campagna contro il governo. L'organizzazione più rilevante è 
il Movimento nazionale per la liberazione dell'Azawad, regione settentrionale 
arida ma ricca di risorse, in particolare oro nella zona di Kidali e petrolio a 
nord di Timbuctu, dove si trova il vasto giacimento petrolifero di Toudeni. 
Progressivamente, però, gruppi jihadisti vicini ad al-Qaeda nel Maghreb 
Islamico (Aqmi) si uniscono alla sollevazione e infine ne assumono il controllo 
sostanziale, decisi ad applicare la sharia nella zona "liberata". Nel frattempo 
il governo viene rovesciato da un colpo di Stato militare ad un mese dalle 
elezioni. Ma anche la giunta militare non riesce ad impedire la presa di alcune 
delle principali città, inclusa Gao.

Ad ottobre 2012 viene chiesto aiuto alla comunità internazionale. Una 
risoluzione Onu approva l'invio di un contingente guidato da forze dell'Unione 
Africana, ma la reazione alla crisi da parte dei governi africani è molto 
lenta. I qaedisti respingono i tuareg dell'Mnla (nel frattempo alleatesi con il 
governo contro la minaccia jihadista e in cambio di autonomia per l'Azawad) e 
avanzano pericolosamente verso sud. I francesi intervengono il giorno 
successivo, progressivamente respingendo i ribelli sempre più a nord con 
l'aiuto dell'esercito ciadiano. Malgrado le forze qaediste siano state in larga 
parte sconfitte, il paese resta sull'orlo della crisi.

Nell'autunno-inverno 2013-2014, infine, la crisi in Repubblica Centrafricana 
esplode in tutta la sua virulenza, conducendo all'ennesimo intervento francese 
nel paese, legato all'ex-potenza coloniale da un trattato di difesa.

Al momento le forze francesi in Africa ammontano ad oltre 10mila uomini (tre 
quarti dei militari in missione all'estero), duemila dei quali di stanza nella 
grande base di Gibuti e gli altri divisi in vari contingenti dal Senegal, al 
Mali, al Ciad, al Camerun, alla Costa d'Avorio e, ora, in Repubblica 
Centrafricana.

La mappa degli interventi militari francesi, tuttavia, e quella delle risorse 
naturali (principalmente uranio e petrolio) considerate strategiche per la 
sicurezza energetica di Parigi si sovrappongono con una precisione che non 
lascia spazio a dubbi circa le motivazioni strategiche e geopolitiche del 
rinnovato interesse dell'ex potenza coloniale per la Françafrique.

I francesi producono il 75% della propria energia da centrali nucleari 
alimentate ad uranio prevalentemente africano. Areva, gigante del nucleare 
francese, estrae dal Niger il 20% del suo uranio, ma ha importanti interessi 
anche in Repubblica Centrafricana e Gabon. Total, la principale compagnia 
petrolifera francese, ha interessi nel vasto giacimento di Toudeni, nel nord 
del Mali.

La conquista cinese dell'Africa

I francesi non sono i soli ad avere interessi strategici in Africa. In questo 
momento la vera protagonista del gioco è la Cina, che da oltre quindici anni ha 
avviato una aggressiva quanto discreta campagna acquisti nel continente. 
Nell'ultimo decennio gli scambi commerciali tra Africa e Cina sono passati dai 
9 miliardi di dollari del 2000 ai 160 del 2011. Gli interessi della nuova 
potenza in ascesa vanno dalle miniere di uranio, oro, diamanti e altre pietre 
preziose ai pozzi petroliferi, alle infrastrutture, al legno delle foreste 
congolesi e gabonesi al rame ed altri metalli. Al momento la Cina ricava oltre 
un terzo del suo petrolio dall'Africa, principalmente da Angola e Sudan 
(principalmente Sud) e le diverse compagnie di Stato cinesi (CNOOC e Sinopec, 
in particolare) stanno scalzando le grandi multinazionali occidentali un barile 
alla volta.

I cinesi, d'altronde, hanno molto da offrire rispetto ai competitor americani 
ed europei. Intanto un potenziale afflusso di liquidi e prestiti a tassi 
praticamente inesistenti (l'Angola, ad esempio, ha ricevuto almeno 10 miliardi 
di dollari dal 2005 ad oggi) e senza richiedere onerosi aggiustamenti 
strutturali, come è prassi della Banca Mondiale. In secondo luogo i cinesi 
costruiscono strade, porti, aeroporti, edifici governativi, in parte per 
facilitare il trasferimento delle risorse estratte, in parte come partita di 
giro nell'ambito degli accordi di sfruttamento. Infine, la Cina non si 
intromette negli affari interni dell'Africa e dei regimi con cui tratta.

La Cina sta cercando attivamente di allontanare il punto di sbocco delle 
risorse dal golfo di Guinea, ancora dominato da Francia, Regno Unito e Stati 
Uniti, in favore della costa kenyana. In ballo anche la costruzione di due 
grandi oleodotti, uno dall'Angola, l'altro dal Sudan, che convoglierebbero 
l'oro nero nell'hub di Lamu (un progetto da 25 miliardi di dollari, tre 
aeroporti internazionali, 32 moli, una raffineria e 1.500 km di strada ferrata 
avviato dal governo kenyano e di cui la Cina si è già aggiudicata la fetta più 
consistente).

Gli Usa scaldano i droni

Gli Stati Uniti, intanto, distratti per dieci anni dalle due guerre in Iraq e 
Afghanistan, stanno lentamente realizzando che i mandarini di Pechino hanno 
riempito tutti buchi della strategia Usa, fino a minacciarne progressivamente 
l'egemonia non solo nel Pacifico (dove è ormai in atto un confronto a bassa 
intensità e a distanza tra i due dirimpettai) ma anche in America Latina e in 
Africa.

A differenza della Francia, gli Stati Uniti non hanno un grande dispiegamento 
di forze sul terreno, fatta eccezione per i militari di stanza nella base ex 
francese di Camp Lemonnier a Gibuti (circa 3mila) e alcuni piccoli contingenti 
di forze speciali tra la Repubblica Centrafricana e la Repubblica Democratica 
del Congo, ufficialmente dispiegati per dare la caccia a Joseph Kony, il 
sanguinario leader del Lord Resistance Army. Il comando centrale delle forze 
americane in Africa è a Stoccarda, Germania.

Ma se la retorica ufficiale è ancora quella della caccia ai terroristi di al-
Qaeda, nelle stanze del Dipartimento di Stato si sta facendo strada la 
consapevolezza che bisogna mettere in campo qualche pedina in più, se si vuole 
«rientrare nel gioco», per usare le parole del segretario di Stato John Kerry. 
Da qui la creazione, in tutta la fascia equatoriale africana, di una 
costellazione di minuscole e semi-nascoste basi, molte delle quali ospitano 
droni che possono servire a monitorare il Sahel dove si nascondono i terroristi 
di Aqmi, ma anche a tenere sotto controllo i progressi cinesi e ad esercitare 
un ruolo chiave nei conflitti presenti e future che dilaniano il continente. 
Basteranno questi timidi dispiegamenti di forze, che vanno ad aggiungersi ai 
numerosi accordi di cooperazione tecnica e militare con quasi tutti gli Stati 
dell'Africa centrale e occidentale, per fare lo sgambetto alla Cina? La nuova 
fase del Grande Gioco è appena iniziata.
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