[Disarmo] Vendetta siriana: se arabi e turchi non comprano piu' armi occidentali



L'intesa tra Washington e Mosca che ha portato il regime siriano a consegnare 
le armi chimiche in cambio della rinuncia di statunitensi e alleati a lanciare 
un attacco militare a Damasco non è stata ancora digerita dai Paesi sponsor dei 
ribelli siriani che puntavano sul rapido rovesciamento di Assad. I segnali sono 
visibili innanzitutto sul campo di battaglia siriano dove i sauditi hanno 
patrocinato la nascita del nuovo "Esercito dell'Islam" che raggruppa sotto la 
bandiera salafita una cinquantina di milizie distaccatesi dalla Coalizione 
Nazionale Siriana che raccoglie i movimenti laici o islamici moderati. Il 
ministro degli Esteri saudita Saud al-Faisal ha criticato aspramente la 
risoluzione dell'Onu sostenendo che Assad ora avrà più tempo ''per continuare a 
uccidere e torturare la sua gente" e per questo l'Arabia Saudita vuole 
"intensificare il sostegno politico, economico e militare all'opposizione 
siriana, per modificare gli equilibri di potere sul terreno".

In Europa e negli Stati Uniti sta invece prendendo piede il timore che Turchia 
e monarchie del Golfo possano attuare rappresaglie commerciali nei confronti 
degli occidentali rei di aver ceduto alle pressioni di Mosca risparmiando 
Bashar Assad. Le prime avvisaglie del boicottaggio dei prodotti occidentali in 
Paesi tradizionalmente grandi acquirenti di armamenti statunitensi ed europei 
sembra giungere proprio da Ankara. Con tempismo perfetto, pochi giorni dopo la 
risoluzione dell'Onu sul disarmo chimico siriano la Turchia ha annunciato 
provocatoriamente che acquisterà un sistema antimissile cinese, l'FD-2000 
invece dei Patriot americani o degli Aster franco-italiani. La notizia ha 
destato molta sorpresa sia perché è la prima volta che in Paese della Nato 
acquista armi cinesi sia perché il sistema antimissile di Pechino non potrà mai 
essere integrato nella rete di difesa aerea dell'Alleanza Atlantica per ragioni 
tecnologiche e di sicurezza. Difficile dire se la decisione turca rappresenti 
il primo passo verso un distacco di Ankara dalla Nato ma certo si tratta di una 
scelta politica (i militari turchi avrebbero preferito il sistema italo-
francese Samp-T con missile Aster 30 prodotto di Mbda) tesa a dare uno schiaffo 
a quei Paesi rivelatesi nei fatti titubanti di fronte alla possibilità di 
attaccare Damasco.

Per questo ora molti temono la "vendetta" di Arabia Saudita ed emirati del 
Golfo che potrebbero mettere in forse ordini in Europa e USA previsti per un 
valore di quasi 200 miliardi dollari in armamenti. Soprattutto Londra, il cui 
Parlamento aveva bloccato l'iniziativa bellica del governo ben prima della 
Risoluzione dell'Onu, teme rappresaglie sulle previste commesse per 
cacciabombardieri Typhoon da sauditi, Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Kuwait per 
i quali il premier David Cameron si è prodigato in più occasioni. A fine 
settembre il quotidiano Kuwait Times ha raccontato le tensioni negli ambienti 
politici e industriali britannici che temono di veder svanire contratti 
importanti tenuto conto che l'export militare verso la sola Arabia Saudita è in 
crescita quest'anno del 26 per cento. "Ci aspettiamo che la crescita continui - 
ha fatto sapere l'ambasciata britannica a Riad precisando che – non abbiamo 
ragioni di ritenere che la decisione del Parlamento sulla Siria abbia un 
impatto sulle nostre relazioni commerciali e gli investimenti in Arabia 
Saudita" .

Tutti gli Stati del Gulf Cooperation Council (la "piccola Nato" del Golfo 
guidata dai sauditi) sono contrari alla risoluzione dell'Onu che ha salvato il 
regime siriano anche se "non ci sarà alcuna decisione formale da uno qualsiasi 
dei paesi del GCC contro la Gran Bretagna", ha detto un funzionario 
evidenziando però come le monarchie arabe "hanno modo di puntare i piedi quando 
vogliono mostrare disappunto". Un evidente riferimento agli affari relativi non 
solo a commesse militari ma anche a concessioni per i giacimenti di gas e 
petrolio. Anche gli Stati Uniti risultano vulnerabili sul fronte delle 
rappresaglie commerciali tenuto conto che solo con l'Arabia Saudita hanno in 
ballo contratti potenziali fino a 60 miliardi di dollari in armi che salgono a 
120 considerando tutti i Paesi del GCC. Oltre all'accordo con i russi sulla 
Siria, l'Amministrazione Obama viene guardata con crescente sospetto a Riad, 
Doha e Abu Dhabi per le inattese aperture all'Iran e il dialogo aperto con il 
neo presidente Hassan Rohani.

Secondo l'analista di sicurezza Mustafa Al Ani, del Gulf Research Center , i 
sauditi ritengono che l'amministrazione Obama stia ignorando le preoccupazioni 
di Riad su Iran e Siria e risponderanno di conseguenza ignorando "gli 
interessi, i desideri e i problemi degli Stati Uniti" in Siria. Il Wall Street 
Journal ha registrato i crescenti sentimenti anti-americani riscontrabili in 
Arabia Saudita. "L'attuale farsa del controllo internazionale sull'arsenale 
chimico di Assad sarebbe divertente se non fosse così palesemente perfida e 
progettata per dare a Obama l'opportunità di fare marcia indietro, ma anche per 
aiutare Assad a macellare il suo popolo", ha detto l'ex diplomatico saudita 
Turki al-Faisal, secondo cui i leader iraniani devono affrontare un processo 
per crimini di guerra per aver sostenuto il regime di Assad.

Il timore delle monarchie del Golfo è che la distensione tra Stati Uniti e 
Iran faccia guadagnare a Teheran il tempo sufficiente per ultimare la corsa 
alla bomba nucleare, un timore che accomuna Riad a Israele che ha già ribadito 
di essere pronto ad agire da solo contro il programma nucleare iraniano. 
L'aspetto paradossale di eventuali rappresaglie sulle commesse militari è che 
gli unici fornitori di sistemi hi-tech competitivi con quelli occidentali sono 
Russia e Cina che sono anche i migliori alleati di Siria e Iran. 
http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-10-05/vendetta-siriana-arabi-
turchi-202512.shtml?uuid=AbWtMAmI