Siria, opzione Kosovo in Medio Oriente
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- Date: Tue, 27 Aug 2013 10:00:01 +0200 (CEST)
Manlio Dinucci
Un
uomo sospettato di voler compiere un omicidio, per
metterlo in pratica sceglie il momento in cui gli entra in
casa la polizia. Lo stesso avrebbe fatto il presidente
Assad, sferrando l’attacco chimico nel momento in cui
arrivano gli ispettori Onu per effettuare l’indagine
sull’uso di armi chimiche in Siria. Le «prove» sono state
esibite dai «ribelli», il cui centro propaganda a
Istanbul, organizzato dal Dipartimento di stato Usa,
confeziona i video forniti ai media mondiali.
Avendo ormai «ben pochi dubbi» che è Assad il colpevole e
ritenendo «tardiva per essere credibile» l’indagine Onu,
il presidente Obama sta valutando una «risposta» analoga a
quella del Kosovo, ossia alla guerra aerea lanciata senza
mandato Onu dalla Nato nel 1999 contro la Iugoslavia,
accusata di «pulizia etnica» in Kosovo.
A tal fine il Pentagono ha convocato in Giordania, il
25-27 agosto, i capi di stato maggiore di Canada, Gran
Bretagna, Francia, Germania, Italia, Turchia, Arabia
Saudita e Qatar.
In Giordania gli Usa hanno dislocato caccia F-16, missili terra-aria
Patriot e circa 1.000 militari, che addestrano gruppi
armati per la «guerra
coperta» in Siria.
Secondo informazioni raccolte da «Le Figaro», un contingente
di 300 uomini, «senza dubbio spalleggiato da commandos
israeliani», è stato infiltrato dalla Giordania in Siria
il 17 agosto, seguito da un altro due giorni dopo. Si
aggiungono ai molti già addestrati in Turchia. In
maggioranza non-siriani, provenienti da Afghanistan,
Bosnia, Cecenia, Libia e altri paesi, appartenenti in
genere a gruppi islamici tra cui alcuni classificati a
Washington come terroristi. Riforniti di armi, provenienti
anche dalla Croazia, attraverso una rete internazionale
organizzata dalla Cia.
Sotto la cappa della «guerra coperta» niente di più facile
che dotare qualche gruppo di testate chimiche, da lanciare
con razzi sui civili per poi filmare la strage
attribuendola alle forze governative. Creando così il
casus belli che giustifichi una ulteriore escalation, fino
alla guerra aerea, visto che la guerra condotta
all’interno non riesce a far crollare lo stato siriano.
Tale opzione, motivata dall’imposizione di una «no-fly
zone», prevede un massiccio lancio di missili cruise,
oltre 70 solo nella prima notte, unito a ondate di aerei
che sganciano bombe a guida satellitare restando fuori
dallo spazio aereo siriano. I preparativi sono iniziati
non dopo, ma prima del presunto attacco chimico. A luglio
è stato dispiegato il gruppo d’attacco della portaerei
Harry Truman, comprendente due incrociatori e due
cacciatorpediniere lanciamissili con a bordo unità dei
marines, che opera nelle aree della Sesta e Quinta Flotta.
Un altro cacciatorpediniere lanciamissili, il Mahan,
invece di rientrare in Virginia, è rimasto nel
Mediterraneo agli ordini della Sesta flotta. Solo la U.S.
Navy ha quindi già schierate cinque unità navali, più
alcuni sottomarini, in grado di lanciare sulla Siria
centinaia di missili cruise. I cacciabombardieri sono
pronti al decollo anche dalle basi in Italia e in Medio
Oriente. Alle forze aeronavali Usa si unirebbero, sempre
sotto comando del Pentagono, quelle dei partecipanti alla
riunione in Giordania (Italia compresa) e di altri paesi.
La Siria dispone però di un potenziale militare che non
avevano la Iugoslavia e la Libia, tra cui oltre 600
istallazioni antiaeree e missili con gittata fino a 300
km. La guerra si estenderebbe al Libano e ad altri paesi
mediorientali, già coinvolti, e complicherebbe
ulteriormente i rapporti di Washington con Mosca. Su
questo stanno riflettendo a Washington, mentre a Roma
attendono gli ordini.
(il manifesto, 27 agosto 2013)
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