Yemen, la strage delle mine antiuomo



Msf (Médecins sans frontières) ha curato 19 vittime nelle ultime quattro
settimane, 11 dei quali erano bambini. Gli ordigni messi al bando da un
Trattato delle Nazioni Unite del 1997.
14/07/2012 

Lo Yemen, oggi. Foto Msf. Nella fotografia di copertina: una seri di mine
antipersona sequestrate e in procinto di essere distrutte (foto Afp/Getty
images).
Una ventina di vittime in neppure un mese. Tante. Troppe. Le mine
antipersona, più comunemente conosciute come mine antiuomo, continuano a
ferire, mutilare, uccidere. L'ultimo appello-denuncia riguarda lo Yemen ed è
stata lanciato da Médecins sans frontières, Medici senza frotniere (Mf):
«Urgono maggiori sforzi da parte delle autorità e delle organizzazioni
specializzate. Nei giorni scorsi, nel nostro centro di chirurgia d’emergenza
ad Aden, abbiamo constatato un forte aumento delle vittime di mine e di
ordigni inesplosi, provenienti dalle città di Jaar e Lawdar. Msf ha curato
19 pazienti in meno di quattro settimane, undici dei quali erano bambini
sotto i 14 anni». 


Il coordinamento dell’associazione medico-umanitaria in Yemen è affidato
all’italiana Claudia Lodesani, che specifica: «Delle 10 vittime del mese
scorso, tre sono morte a causa delle ferite. La scorsa settimana, altri 9
pazienti sono arrivati dal governatorato di Abyan, tutti bambini, e molti
erano in pericolo di vita». Msf, Premio Nobel per la pace nel 1999, lavora
in Yemen dal 1986 con ospedali e presidi mobili e ha potuto osservare
l’escalation di violenza a seguito dei combattimenti nel Sud del Paese, che
negli ultimi mesi hanno costretto 100.000 persone a lasciare le proprie
case. Il 13 giugno scorso, l’Esercito ha riconquistato Zinjibar e Jaar, due
città del governatorato meridionale di Abyan, da circa un anno in mano al
gruppo armato Ansar al Sharia, affiliato ad Al Qaeda. Secondo fonti
governative, prima di ritirarsi, i miliziani avrebbero disseminato l’area di
mine antiuomo.



Lo Yemen, oggi. Foto Msf.
Nonostante le squadre di sminamento abbiano sinora rimosso tremila ordigni,
solo nelle ultime due settimane di giugno le esplosioni avrebbero causato
ben 81 morti. Spiega Medici senza frontiere: «Centinaia di famiglie sfollate
sono tornate nelle loro case dopo la fine dei combattimenti. Molte aree sono
state però contaminate da mine e ordigni inesplosi e non vi è sufficiente
consapevolezza da parte dei residenti circa la necessità di prendere le
giuste precauzioni per evitare nuove vittime». «Questi esplosivi
rappresentano un rischio immediato e una minaccia per la vita delle persone,
in particolare dei bambini che giocano inavvertitamente vicino alle zone
interessate», prosegue Claudia Lodesani. Nel Paese, intanto, la tensione
rimane alta. Mentre nel Sud proseguono gli scontri armati, ieri, nella
capitale Sana’a, un attentato kamikaze ha causato 22 morti. L’esplosione,
avvenuta di fronte all’ingresso dell'Accademia di polizia, è secondo il
Governo attribuibile ai miliziani di Ansar al Sharia.



Mine. Foto Reuters.
Le mine antiuomo (più correttamente definite con un termine inglese
anti-personnel landmines) sono state definitivamente messe al bando da un
Trattato delle Nazioni Unite firmato in canada, ad Ottawa, nel dicembre
1997. Ad oggi gli Stati che l'hanno firmato e ratificato, facendolo
diventare partte integrante dei loro ordinamenti giuridici, sono 160.
All'appello mancano ancora 36 Stati, tra cui Cina, Egitto, India, Israele,
Libano, Pakistan, Russia, Siria, Usa.

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