E vero,il movimento contro la guerra e
morto con l'intervento in Libia,la demolizione della costituzione come dice
Rossana va ben oltre l'art.11,viene assunto il modello sociale USA,dove
l'economia e le imprese(art.41 l'iniziativa privata non può svolgersi in
contrasto con l'utilità sociale o recare danno alla sicurezza,alla libertà,alla
dignità umana)non sono più il mezzo per l'emancipazione,ma il fine,e il lavoro
ne diventa la variabile dipendente.La maggiore responsabilità di questo
processo eversivo la porta il presidente della rep.in qualità non solo di
mancato garante della costituzione,ma per il ruolo straordinariamente
attivo che ha assunto,credo che si debbano concentrare le accuse,su questa
figura.
----- Original Message -----
Sent: Thursday, April 12, 2012 6:26
PM
Subject: R: Re: La «riforma»
dell’Articolo 11
detto
in poche parole: il movimento contro la guerra non esiste più.
Vi
sono qui e là azioni su questo (F-35) o quel tema (spese militari) che però
non intaccano alcunchè.
La
situazione in generale è dramatica. La riforma del lavoro, scritta sulla pelle
dei precari e dei lavoratori, non bada alle lotte che si moltiplicano sui
territori, tace sui suicidi che si susseguono.
Qualcuno
di noi pensa che questo governo assuma la democrazia come forma della propria
governance? I partiti mirano semplicemente alla loro sopravvivenza.
Monti
quando va in giro per il mondo veste il ruolo di piazzista d'armi, e certo non
si vendono armi pensando all'ar.11.
E'
tutto da ripensare.
----Messaggio originale---- Da: elbano9 at yahoo.it Data:
11/04/2012 8.22 A:
"disarmo at peacelink.it"<disarmo at peacelink.it> Ogg: Re: La «riforma»
dell’Articolo 11
Si, anch' io penso che
una iniziativa colletiva su questa riforma potremmo farla, magari una
lettera al ministro mandata da ognuno di noi. potremmo fornire gli indirizzi
e un testo per chi ha meno tempo o meno voglia di scrivere due
righe..
Ci sono molte questioni
importanti aperte in questo momento, pero' con la crisi che si
aggrava
piu' soldi per le armi
(perche' di questo si tratta) e meno lavoro, dovrebbe suscitare qualche
protesta.
Anche la campagna contro
il programma degli F-35 e' stata fatta , secondo me, con il freno a mano
tirato per non disturbare troppo il governo Monti.
Perche' se e' vero che Di
Paola fa come gli pare, qualcuno ha dato e sta
dando all' Ammiraglio tutto questo potere.
Da:
farabir.fb <farabir at iii.it> A: disarmo at peacelink.it
Inviato: Mercoledì 11 Aprile 2012
6:54 Oggetto: Re: La «riforma»
dell’Articolo 11
Grazie, Rossana.
questo è un tema sul quale dobbiamo batterci
giorno per giorno. Intanto faccio girare il tuo messaggio tra gli amici e ne
mando copia - con mio commento - al Ministro Di Paola, per posta, così
sarà protocollata. Spero che anche altri lo facciano.
Ma i grandi e famosi costituzionalisti che
fanno, dormono ?
Buona giornata, Franco
----------------------------------------- Franco BORGHI Via
Frescobaldi 13 - 44042 CENTO Tel.051.6836715 -Fax 051.18895462 Skype:
fbfarabir Cell.348.3802633 Reply to: xenos at iii.it - farabir at iii.it
----- Original
Message -----
Sent:
Tuesday, April 10, 2012 6:06 PM
Subject:
La «riforma» dell’Articolo 11
di Manlio Dinucci da il Manifesto
Una «riforma strutturale
profonda»: così il ministro Di Paola definisce la revisione dello
strumento militare, presentata dal governo Monti su sua proposta. Che sia
profonda non c’è dubbio. Da oltre vent’anni talpe bipartisan stanno
scavando sotto l’Art. 11 della Costituzione, che «ripudia la guerra come
strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di
risoluzione delle controversie internazionali».
I lavori in
galleria iniziano nel 1991, dopo che la Repubblica italiana ha combattuto
la sua prima guerra, quella lanciata dagli Usa in Iraq. Sotto dettatura
del Pentagono, il governo Andreotti redige il «nuovo modello di difesa»
che stabilisce, quale compito delle forze armate, non solo la difesa della
patria (art. 52), ma la «tutela degli interessi nazionali ovunque sia
necessario».
Nel 1993 – mentre l’Italia partecipa
all’operazione militare lanciata dagli Usa in Somalia, e al governo Amato
subentra quello Ciampi – si dichiara che «occorre essere pronti a
proiettarsi a lungo raggio» al fine di «garantire il benessere nazionale
mantenendo la disponibilità delle fonti e vie di rifornimento dei prodotti
energetici e strategici».
Nel 1995, durante il governo Dini, si
afferma che «la funzione delle forze armate trascende lo stretto ambito
militare per assurgere a misura dello status del paese nel contesto
internazionale». Nel 1996, durante il governo Prodi, si sostiene che
quello militare deve essere «uno strumento della politica
estera».
Nel 1999 – dopo che il governo D’Alema ha fatto
partecipare l’Italia, sotto comando Usa, alla guerra contro la Jugoslavia
– si enuncia «la necessità di trasformare lo strumento militare dalla sua
configurazione statica ad una più dinamica di proiezione esterna», compito
per cui è adatto «il modello interamente volontario». ossia l’esercito di
professionisti della guerra. Che si rivela prezioso per gli interventi
militari in Afghanistan e Iraq, sotto il governo Berlusconi.
Qui si
innesta il concetto strategico pentagoniano enunciato nel 2005 da Di
Paola, in veste di capo di stato maggiore. Di fronte alla «minaccia
globale del terrorismo», occorre «sviluppare capacità di intervento
efficace e tempestivo anche a grande distanza dalla madrepatria». Le forze
armate italiane devono operare nelle zone di «interesse strategico» che
comprendono i Balcani, l’Europa orientale, il Caucaso, l’Africa
settentrionale, il Corno d’Africa, il vicino e medio Oriente e il Golfo
persico.
La guerra contro la Libia, di cui Di Paola è nel 2011 uno
degli artefici quale presidente del comitato militare Nato, conferma la
necessità che l’Italia costruisca uno «strumento proiettabile», con
spiccata capacità «expeditionary», attraverso una organica pianificazione.
Quella che Di Paola vuole ora istituzionalizzare con il decreto legge, per
creare forze armate più piccole ma più efficienti, con mezzi
tecnologicamente più avanzati (tra cui l’F-35) e più risorse per
l’operatività.
Ciò è dovuto non alla «necessità di contenere i
costi» a causa della crisi finanziaria, ma, come per l’Art. 18, alla
necessità delle oligarchie economiche e finanziarie, artefici della crisi,
di rafforzare i loro strumenti di dominio. Con l’aggravante che si vuole
smantellare, insieme a uno dei cardini dello Statuto dei lavoratori, uno
dei principi fondamentali della Costituzione.
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