COMUNICATO - La verità sui caccia F-35 non può venire dal Ministero della Difesa



Roma, 7 febbraio 2012 – COMUNICATO AI MEDIA
Comunicato della campagna “Taglia le ali alle armi”
La verità sui caccia F-35 non può venire dal Ministero della Difesa
Ancora una volta i fautori del programma JSF in Italia continuano a diffondere 
dati e considerazioni non corrispondenti alla realtà sulla situazione e i costi 
del programma. Le puntualizzazioni della campagna “Taglia le ali alle armi!” in 
seguito all'audizione odierna alla Camera del gen. DeBertolis.



Ancora una volta, dopo l'audizione odierna in Commissione Difesa del Gen. De 
Bertolis (Segretario Generale della Difesa e Direttore Nazionale degli 
Armamenti) la campagna “Taglia le ali alle armi” si dice sconcertata 
dall'opacità dei dati presentati a riguardo del programma Joint Strike Fighter 
dei caccia F-35. Un tipo di comunicazione (sia al Parlamento che all'opinione 
pubblica) inaugurato dal Ministro-Ammiraglio Di Paola con una continua opera di 
“informazione a senso unico” tramite televisioni e giornali.

Continuiamo a ritenere che il Ministero della Difesa e i fautori senza 
ripensamenti dell'F-35 (mentre tutti i partner e perfino gli USA ridimensionano 
le partecipazioni al JSF) non possano essere le fonti principali sui dati 
relativi a questo programma, come ha già dimostrato la questione delle “penali 
inesistenti” e tutta la storia passata di opacità sulla partecipazione italiana 
al programma.

Ancora più grave è che oggi, secondo quanto riferiscono le agenzie diffuse 
dopo l'audizione del Gen. De Bertolis, è caduta la seconda “foglia di fico” a 
supporto del JSF: il ritorno occupazionale. Come considerare altrimenti la 
dichiarazione che “le 10.000 unità impegnate per il programma Joint Strike 
Fighter degli F-35 andranno a rilevare le 11.000 unità per l'Eurofighter. Ma si 
parte da un minimo garantito, sperando che con la prosecuzione dell'attività si 
avrà un indotto superiore anziché inferiore”. Nel momento stesso in cui si 
certifica quanto la nostra campagna dice da anni, cioè che la conseguenza di 
questa scelta non porterà alcun posto di lavoro in più anzi li vedrà diminuire 
(con una spesa dello Stato di miliardi di euro!), si elevano solo “speranze” 
per un maggiore ritorno nell'indotto proprio perché il garantito occupazionale 
è minimo e tutto il resto non è sicuro per niente. 

Per comprendere l'insensatezza di alcuni numeri occorre ricordare (fonti 
sindacali) che gli occupati totali nel settore aeronautico Finmeccanica a fine 
2010 erano 12.604 unità e che pochi mesi fa un accordo aziende-sindacati ha 
previsto una riduzione di ulteriori 747 unità rispetto a fine 2010, portando 
l'intero organico del settore aeronautico a circa 11.900 persone (di cui solo 
1200 stabilmente impegnate per l'Eurofighter). Riportare dati fuorvianti sulla 
situazione attuale e certificabile non fa che gettare cattiva luce su qualsiasi 
tipo di proiezione odierna, peraltro non supportata da alcuna documentazione. 
Va ricordato come oggi l'accordo maggiore è relativo alla partecipazione nella 
costruzione delle sole semi-ali per un totale di 790 aerei. Una cifra già 
ridotta rispetto agli iniziali 1.215 aerei ma che è ancora minore se 
consideriamo i contratti che sono stati effettivamente già firmati 
ufficialmente e che prevedono per Alenia Aeronautica la produzione di 200 ali. 
Il tutto perché il JSF non è un programma come l'Eurofighter che garantisce un 
ritorno in base agli investimenti; il continuo confronto con l'EFA (anche nelle 
dichiarazioni odierne del gen. De Bertolis) dimostra quantomeno una sterzata 
verso co-produzioni con l'industria statunitense e rinnova i alcuni scenari 
inquietanti derivanti dalle affermazioni recenti dell'ex-sottosegretario 
Crosetto (“Mi auguro solo che la sconfitta non sia stata guidata sacrificando 
una parte dell'industria della difesa italiana ad altre logiche ed altri 
interessi”)




Secondo le notizie odierne l'Italia avrebbe già ordinato i primi tre aerei, 
appartenenti al VI lotto di produzione. In realtà secondo quanto risulta alla 
campagna (e per le procedure consolidate di acquisizione del programma) sia il 
contratto d'ordine che la relativa quotazione fatta da Lockheed Martin non 
dovrebbero ancora essere avvenuti e quindi confermare tale acquisto o dare dati 
di costo definitivi è quantomeno esagerato. Anche perché si tratterebbe di un 
acquisto fatto mentre infuria la polemica sull'intera partecipazione e mentre 
in Commissione Difesa si votano risoluzioni a favore di un ripensamento 
integrale della nostra struttura della Difesa e delle Forze armate: una scelta 
quantomeno prematura e dalla tempistica sospetta. Basare le stime di costo 
complessivo solo su questo lotto (per il quale possono esserci accordi 
particolari ed eventuali compensazioni negative per il futuro oppure nel quale 
mancano i costi dei propulsori) è poi un errore che continua a confermare una 
certa opacità ed un certo pressapochismo. 

Come è possibile che si vada a spendere meno degli Stati Uniti? I costi – 
certificati e sicuri – dei primi lotti di produzione USA portavano a fatture di 
130 milioni di euro per velivolo, non di 80 milioni come detto oggi. E ciò vale 
anche per i costi di acquisto a regime che il gen. De Bertolis fissa in 55 
milioni di euro: addirittura inferiori a tutte le stime fatte inizialmente, che 
puntualmente sono cresciute moltissimo per tutti i partner senza smentita. 
Ricordiamo poi che per legge le aziende statunitensi produttrici di armamenti 
non possono vendere agli alleati ad un costo minore di quello previsto per il 
Pentagono.




Ci troviamo di fronte ancora una volta a numeri bizzarri e “creativi” che 
andrebbero confermati con documentazione ufficiale e non solo con comunicazioni 
orali. Nessuno dei numeri forniti dai vari rappresentanti del Ministero della 
Difesa è consistente con gli altri: la scorsa settimana, sempre in audizione 
alla Camera, il direttore degli armamenti aeronautici del Ministero della 
Difesa Generale Esposito aveva identificato (secondo le agenzie) in circa 14 
miliardi di dollari (di cui 6 per la costruzione delle ali) i ritorni 
industriali del programma per l'Italia citando un costo ad aereo di circa 70 
milioni di dollari. Probabilmente nelle accademie militari si insegna strategia 
e non a far di conto perché con questi dati l'Italia avrebbe davvero fatto un 
affarone con la partecipazione al programma: secondo i dati forniti i 131 aerei 
previsti ci costerebbero solo 9,17 miliardi di dollari a fronte di una ricaduta 
in Italia sul piano industriale di ben 14 miliardi di dollari! Un miracolo, 
quindi, che ci permetterebbe di “fatturare” come paese l'equivalente del costo 
complessivo di 200 cacciabombardieri (sempre secondo il listino prezzi del Gen. 
Esposito), realizzando solo l'assemblaggio degli F35 che acquistiamo (131, 
perché gli altri previsti sulla FACO di Cameri sarebbero quelli olandesi 
attualmente sospesi). Da ricordare poi che anche l'Australia, unico paese oltre 
al nostro a dover prendere una decisione nel 2012, ha rimandato la propria 
scelta a causa dei problemi del progetto e dei suoi alti costi.




Riteniamo un problema grave e reiterato quello di fornire al Parlamento (e di 
conseguenza all'opinione pubblica) dei dati non corretti e utili solo a 
magnificare testardamente un programma che negli ultimi due anni ha avuto una 
serie di problemi continua e pesante. Non ci troviamo nel campo delle opinioni 
e chi sta gestendo la partecipazione italiana al Joint Strike Fighter non può 
non conoscere (o peggio occultare ai parlamentari italiani) i dati e le 
informazioni utili ad una scelta consapevole da parte del nostro Parlamento. 
Dati che negli USA sono di assoluto dominio pubblico, così come in altri paesi 
partner (il PBO canadese prevede una spesa di 150 milioni di dollari a 
velivolo, per citare un esempio).




Tutto ciò configura una situazione che riteniamo non più tollerabile perché 
getta solo opacità e poca chiarezza su un programma che per le sue difficoltà e 
il suo enorme costo dovrebbe essere invece analizzato approfonditamente da 
politica ed opinione pubblica. Per questo motivo la campagna “Taglia le ali 
alle armi!” rinnova la sua richiesta di essere ascoltata dalle competenti 
Commissioni parlamentari per riportare in tale sede una serie di dati alquanto 
diversa da quanto affermato dagli esponenti del Ministero della Difesa.




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Tutte le informazioni sulla campagna si possono trovare sui siti delle 
organizzazioni promotrici:




www.perlapace.it (Tavola della Pace) – www.sbilanciamoci.org (Campagna 
Sbilanciamoci!) - www.disarmo.org (Rete Italiana per il Disarmo)




La petizione online (con i dettagli per la raccolta di firme cartacee) è 
invece raggiungibile all'indirizzo www.disarmo.org/nof35








Per contatti stampa







Rete Italiana per il Disarmo: segreteria at disarmo.org – 328/3399267




Tavola della Pace - Amelia Rossi

cell. +39 335 1401733 - tel. +39  075 5734830 Fax +39 075 5739337

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