Fin o meccanica? Credito di 2,4 miliardi di euro dalle banche italiane ed estere: ecco i nomi di chi finanzia il colosso armiero italiano
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- From: Francesco Vignarca <francesco at vignarca.net>
- Date: Fri, 21 Jan 2011 20:33:24 +0100
http://www.altreconomia.it/site/fr_contenuto_detail.php?intId=2632 Fin o meccanica? Credito di 2,4 miliardi di euro dalle banche italiane ed estere: ecco i nomi di chi finanzia il colosso armiero italiano “E' inutile che si cerchi ancora di raccontare il contrario: ormai in Finmeccanica la 'FIN' – cioè la parte finanziaria – conta molti di più della 'MECCANICA'. L'anima industriale si è persa e sono differenti le logiche che muovono la strategia di questo colosso”. L'affermazione perentoria arriva da una fonte più che autorevole: il generale a riposo Fabio Mini, già comandante della forza internazionale KFOR in Kosovo e tra i maggiori analisti di questioni militari. “E tra gli interessi e vantaggi che il loro giro di affari miliardario garantisce non vi sono certo quelli per lo Stato, come invece sbandierato spesso ai quattro venti per giustificare appoggi e commesse”. Se è vero infatti che la holding italiana delle armi è controllata (per legge) al 30% dal Ministero del Tesoro che ne sceglie i massimi vertici, l'automatico corollario è che circa il 70% delle azioni è invece disponibile sul mercato ad entità di natura non pubblica. Tra di essi ci sono anche dei privati individui (circa il 23% del pacchetto azionario) ma lo zoccolo duro – il 47% restante delle azioni - è composto dai cosiddetti investitori “istituzionali” (fondi, banche, operatori di borsa) che solo per il 12,7% sono italiani. La maggioranza di essi proviene invece dal Nord America, da Regno Unito e Irlanda e poi dal resto d'Europa: quali interessi “nazionali” possono avere o cercare di difendere? Forse
tutti questi azionisti sono più interessati alla remunerazione del loro
capitale che Finmeccanica, forte di oltre 700 milioni di utile netto di
gruppo, è stata in grado di garantire anche nel 2009 con un dividendo
per azione di 0,41 euro. Degli utili del gruppo redistribuiti, circa
107 milioni di euro hanno preso strade al di fuori dei nostri confini.
Difficile giustificare quindi con ragioni di “vantaggio nazionale”
tutto il lavoro svolto a vantaggio dell'industria a produzione militare
(nel suo complesso) da vari pezzi dello Stato, sia politici che di
amministrazione. Inoltre le operazioni di natura finanziaria, che tanto
preponderanti stanno diventando nelle dinamiche dell'azienda, sono
anche più permeabili ad una gestione meno trasparente e in alcuni casi
illegale come dimostrano i
recenti scandali
che stanno toccando i vertici del gruppo. Anche perché pure in questo
caso vengono utilizzati i classici artifici per ridurre i controlli e
gli impatti fiscali: praticamente tutti i prestiti obbligazionari
emessi dalla holding sono collocati dalla controllata lussemburghese
Finmeccanica Finance SA sulla Borsa del Lussemburgo. Rimangono esclusi
solo quelli ereditati con l'acquisizione dell'americana DRS
Technologies (ovviamente emessi negli USA) ed alcune operazioni
connesse proprio con questo acquisto, che si stanno però via via
chiudendo.
La
gestione finanziaria di un colosso di queste dimensioni – e che
dichiara di svolgere circa 2/3 delle sue attività in campo militare e
della difesa - è complessa ed anche per questo motivo, oltre che per
una riduzione degli oneri di interesse finanziario spinta dalla cattiva
situazione creditizia, a fine Settembre 2010 Finmeccanica ha
rinegoziato con un pool di primarie banche italiane e straniere una
serie di linee di credito a scadenza prevista nei prossimi anni. Tutte
raggruppate in un credito “revolving” (in pratica un fido di
cassa per far fronte agli andamenti stagionali) del valore complessivo
di 2,4 miliardi di euro, con scadenza finale a settembre 2015.
Un'operazione facile da condurre a termine per chi, come commentano
proprio dal gruppo di via Monte Grappa, ha le spalle coperte dalle
commesse statali del settore più blindato che esista (oltre che dalla
proprietà pubblica di base); tanto è vero che le banche interpellate
erano pronte a fornire credito per complessivi 3,8 miliardi, molto di
più quindi di quanto richiesto dall'azienda. Tra di esse – in compagnia
di 14 banche estere - troviamo tutti i “nomi buoni” del comparto
bancario di casa nostra: da BNP Paribas, che ha coordinato la
fase di contrattazione, a Unicredit che svolgerà il ruolo di “Agent
Bank” per tutta la durata della linea di credito senza tralasciare BNL,
IntesaSanPaolo e Monte dei Paschi di Siena. Ma anche
coinvolgendo attori come Credito Bergamasco, Banca Popolare
di Sondrio, Carige, Centrobanca del gruppo UBI
e Banco di Sardegna,
oppure banche che sul “capitolo armi” avevano con assunto posizioni di
non coinvolgimento (anche per la pressione esercitata da Banca Etica)
come Banca Popolare di Milano e Banca Popolare dell'Emilia
Romagna.
Da fonti interne bancarie sappiamo che i
primi dieci istituti di credito hanno contribuito con 150 milioni di
euro ciascuno, ma non sappiamo se gli accordi sottoscritti permettano
di rivendere tali crediti ad altri operatori o peggio al mercato del
risparmio. Ma il pericolo
è forte. Infine, non va dimenticato che per la gestione del gruppo vengono utilizzate tutta una serie di scatole aziendali di controllo con sede estera: metodo anche di elusione fiscale purtroppo ormai diffuso tra le aziende a partecipazione statale (si pensi ad Eni ed Enel) che, pur se pienamente legale, mal si concilia con imprese che non dovrebbero vedere come “nemico” il proprio padrone pubblico. Quasi l'80% delle aziende consolidate nel gruppo, a controllo diretto o indiretto, non ha sede in Italia, ed anche la tanto celebrata AgustaWestland con i suoi elicotteri prodotti in provincia di Varese fa parte della famiglia Finmeccanica solo “inscatolata” in due diverse holding con sede ad Amsterdam. Ancora una volta la domanda sorge spontanea: quali dovrebbero essere gli interessi nazionali per cui tanto bisogna lavorare e spendere (dei soldi di tutti)?
ECCO GLI ISTITUTI DI CREDITO COINVOLTI NEL FINANZIAMENTO
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