Gigantesco piano di aiuti militari NATO
all’Afghanistan
di Antonio
Mazzeo
Quando il 2011 si
concluderà, la NATO avrà speso 20 miliardi di dollari negli ultimi due
anni per addestrare le forze armate afgane e fornire armamenti e
tecnologie di guerra. Mai l’Alleanza atlantica aveva fatto tanto: la cifra
corrisponde approssimativamente a quanto speso in “aiuti militari” dallo
scoppio del conflitto in Afghanistan sino alla fine del 2009. “Il
programma è finalizzato a sviluppare le capacità delle forze di sicurezza
afgane e a pagare le esercitazioni e la fornitura di equipaggiamento e
infrastrutture”, annuncia il generale statunitense William Caldwell, a
capo delle operazioni di addestramento delle forze NATO nel paese
asiatico. Presto avverranno le prime consegne di armamenti: si tratta di
elicotteri ed aerei e di un’ampia gamma di fucili, mortai e visori
notturni.
“Resta ancora
percentualmente alto l’analfabetismo tra gli appartenenti alle forze
armate locali ed è ancora scarsa la presenza di addestratori
specializzati”, aggiunge il generale Caldwell. “Per preparare i militari
afgani a superare gli ostacoli e potere assumere il pieno controllo della
nazione entro il 2014, termine previsto dalla NATO per ritirare le proprie
forze da combattimento, la missione di addestramento alleata resterà in
Afghanistan almeno sino al 2016, quando si concluderà il programma di
sviluppo della forza aerea”.
Con il nuovo piano di
“aiuti”, entro la fine del 2011 verranno incorporate nelle forze armate
afgane 70.000 nuove unità. Oggi sono 149.500 gli uomini in forza
all’esercito, 134.000 i poliziotti e 4.100 gli avieri in guerra contro i
Talibani. Si affiancano ai 131.730 militari della International Security
Assistance Force (ISAF), la forza militare multinazionale sotto comando
NATO dall’agosto del 2003. Al contingente ISAF contribuiscono 48 nazioni,
anche se l’apporto quantitativo e qualitativo determinante è assicurato da
appena 7 paesi, Stati Uniti (90.000 militari), Gran Bretagna (9.500),
Germania (4.887), Francia (3.850), Italia (3.770), Canada (2.913) e
Polonia (2.488). Nonostante le dichiarazioni ufficiali di “disimpegno” e
di “ritiro progressivo” dell’ISAF, è in atto una nuova escalation della
presenza militare straniera in Afghanistan. A fine dicembre il Presidente
Obama ha fatto sapere che gli Stati Uniti sono pronti ad inviare 30.000
militari in più e che i primi rientri in patria non avverranno prima del
luglio 2011. Mille uomini della 26th Marine Expeditionary Unit,
una forza di riserva riattivata nelle acque dell’Oceano Indiano e del
Golfo Persico, hanno raggiunto nei giorni scorsi la provincia meridionale
di Helmand per “rafforzare per tre mesi i progressi raggiunti nella lotta
contro Talibani”, secondo quando dichiarato dall’US Central Command. Sul
fronte NATO, ancora il generale William Caldwell annuncia l’arrivo di 397
nuovi “militari specializzati” per addestrare il personale afgano, mentre
entro la fine di gennaio verranno dislocati a Kabul 450 uomini degli Allied Rapid Reaction Corps
(ARCC), i corpi d’armata di reazione rapida a guida britannica che la NATO ha attivato una
decina di anni fa per condurre missioni fuori-area. Il personale ARCC
supporterà l’International Security Assistance Force nella pianificazione
delle future operazioni alleate in Afghanistan.
“La nostra missione
resta sempre centralizzata alla conduzione delle operazioni di
contro-insorgenza in partnership con le forze nazionali di sicurezza
afgane (ANSF) e al supporto del Governo e della Comunità internazionale
nel settore delle riforme del sistema della sicurezza, incluso la guida,
l’addestramento e il sostegno operativo dell’esercito e della polizia
nazionale”, ha spiegato il 16 dicembre 2010 il Segretario generale della
NATO, Anders Fogh Rasmussen. “Si è però lanciato un processo di
transizione finalizzato a che il governo afgano assuma gradualmente la
leadership nella difesa del paese, provincia per provincia, distretto per
distretto”. Predisposto durante la Conferenza internazionale tenutasi a
Kabul nel luglio 2010, il “piano di transizione” è stato approvato al
recente summit NATO di Lisbona. La sua implementazione è prevista a
partire dalla primavera 2011 per concludersi entro la fine del 2014,
quando l’ISAF dovrebbe ritirare definitivamente buona parte dei suoi
contingenti per limitarsi ad un “ruolo di supporto e di sostegno a lungo
termine” delle forze armate afgane e di quelle del Pakistan.
Al vertice di Lisbona,
l’Alleanza Atlantica ha anche approvato le linee-guida per le missioni da
realizzare a medio termine in Afghanistan. “La NATO deve potenziare le
linee di comunicazione delle rotte stradali esistenti ai confini tra il
Pakistan e l’Afghanistan”, si legge nel documento finale. “La rotta
settentrionale è stata sviluppata nell’ambito degli accordi realizzati con
la Federazione russa relativi al transito terrestre di attrezzature non
letali. Accordi per il transito sono stati firmati pure con Bielorussia,
Kazakistan, Tajikistan, Ucraina ed Uzbekistan. Il primo convoglio NATO
attraverso la rotta settentrionale è partito da Riga, Lettonia il 14
maggio 2010 ed è giunto in Afghanistan il 9 giugno”. La NATO punta a
rafforzare la cooperazione con la Russia anche nel settore
dell’“addestramento anti-droga” del personale afgano e delle forze armate
di altri paesi dell’Asia centrale. “Sin dall’avvio del programma alla fine
del 2005, più di mille ufficiali sono stati formati presso il Centro di
addestramento anti-droga di Domededovo. Al summit di Lisbona, il NATO-Russia Council ha stabilito
l’avvio di un secondo centro addestrativo a San Pietroburgo. Durante il
summit ci si è pure accordati per creare nel 2011 un fondo congiunto
NATO-Russia per la manutenzione degli elicotteri e aiutare le forze armate
afgane ad operare in modo più efficiente con la loro flotta elicotteri”.
La NATO amministrerà inoltre un fondo per “accrescere la sicurezza dei
depositi munizioni dell’esercito nazionale afgano (ANA) e supportare lo
sviluppo delle capacità d’immagazzinamento delle munizioni dell’ANA”. Il
programma sarà finanziato dalle nazioni ISAF e dalla NATO Maintenance and
Supply Agency (NAMSA).
Se
c’è scetticismo sul ritiro definitivo della NATO entro il 2016, è certo
invece che le forze armate degli Stati Uniti d’America si stiano
preparando a una presenza “duratura” in terra afgana. Al Senato è stata
presentata recentemente una mozione che chiede all’amministrazione Obama
di prendere seriamente in considerazione la realizzazione di “basi aeree
permanenti” nel paese. Nel 2009 il Pentagono ha ottenuto dal Congresso lo
stanziamento di 924 milioni di dollari per costruire in Afghanistan “basi
di proiezione avanzata”, alloggi per le truppe, scali aerei operativi,
depositi di munizioni e carburante. Buona parte dei fondi (560 milioni di
dollari) è stata destinata al potenziamento di Camp Bastion, la grande
base aerea aperta nel 2006 in un’area semi-desertica della provincia
nord-occidentale di Helmand. I lavori prevedono la costruzione di un
centro di comando e controllo, numerose palazzine-alloggio per il
personale militare USA, britannico e afgano, un grande ospedale, piste
aree e hangar per accogliere caccia, elicotteri “Apache” e “Chinook”,
aerei da trasporto C-17 e C-130. Uno stanziamento di oltre 37 milioni di
dollari è stato previsto invece per l’espansione della base ISAF-USA di
Camp Phoenix, nei pressi dell’aeroporto internazionale di Kabul.
L’infrastruttura è attualmente sede dell’855° Squadrone di trasporto aereo
dell’US Air Force.
Sul bilancio per
l’anno fiscale 2011, il Pentagono è riuscito a strappare ben 604 milioni
di dollari per vecchie e nuove basi militari in Afghanistan. Tra gli
interventi d’eccellenza, ancora Camp Bastion (46,8 milioni di dollari), lo scalo
militare di Kabul (126,8 milioni), Camp Scorpion (13 milioni), il
“Sia Sang Intelligence School training center” (10 milioni), l’Università
della Difesa di Qargah-Kabul (60 milioni), la base aerea di Bagram (43
milioni). Bagram, in particolare, è tra le candidate più accreditate per
divenire una delle maggiori basi operative “permanenti” degli Stati Uniti
in Afghanistan. Lo scalo, a una decina di chilometri dalla città di
Charikar (provincia di Parwan), è oggi sede della 101^ divisione
aviotrasportata dell’US Army e del 455 Air Expeditionary Wing dell’US Air
Force che opera in missioni di combattimento, trasporto e rifornimento
aereo, intelligence, sorveglianza e riconoscimento.
Secondo il General
Accountability Office (GAO) degli Stati Uniti d’America, al febbraio del
2009 erano già stati spesi per la ricostruzione delle infrastrutture in
Afghanistan più di 38 miliardi di dollari. “Ciononostante – ha denunciato
il GAO – la sicurezza in Afghanistan è significativamente peggiorata negli
ultimi tre anni, impedendo agli Stati Uniti e ai suoi partner
internazionali di ottenere successi nella ricostruzione del paese”. Ad
analoghe amare conclusioni sono giunte pure 29 organizzazioni umanitarie
afgane ed internazionali (tra esse Oxfam, Afghanaid, la Afghan Independent
Human Rights Commission). In un report-appello intitolato “Nowhere To Turn”, pur continuando a
condividere la missione ISAF in Afghanistan, le ONG denunciano gravi
carenze del personale alleato nell’addestramento e nel controllo delle
forze nazionali di sicurezza afgane. “Il passaggio delle responsabilità
per la sicurezza alle forze afgane deve affrontare enormi difficoltà”,
dichiarano gli estensori del documento. “C’è il serio rischio che le forze
nazionali di sicurezza commettano abusi diffusi, dal furto all’estorsione,
dalla tortura all’uccisione indiscriminata di civili. I paesi membri della
NATO, che addestrano, consigliano, finanziano ed equipaggiano queste
forze, condividono la responsabilità di eventuali abusi e devono fare in
modo che ciò non accada. Ma finora, sul campo, si sono viste poche azioni
in questa direzione”.
Le 29 organizzazioni
aggiungono che i soldati e i poliziotti afgani “sono scarsamente
addestrati e che le catene di comando sono deboli” e che “le morti di
civili causate dalle forze afgane non sono investigate o verificate in
modo adeguato”. “La NATO – prosegue il report - deve abbandonare programmi
pericolosi come le cosiddette “iniziative di difesa comunitaria”, che
coinvolgono milizie locali nella lotta contro i Talibani. Le reclute sono
valutate in modo sbrigativo, ricevono pochissimo addestramento e spesso
rispondono solo ai comandanti locali. Ben lungi dall’aiutare a
stabilizzare il paese, queste milizie ne aumenteranno probabilmente
l’instabilità. Le forze internazionali devono immediatamente cessare di
fornire armi a queste milizie comunitarie”. Bruxelles ha scelto la
politica dello struzzo. Per i partner afgani belligeranti sono pronti 20
miliardi di dollari…
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