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Che informazione è ? Re: [pace] TOPO SEVESO e i l racconto di Piera Graffer
- Subject: Che informazione è ? Re: [pace] TOPO SEVESO e i l racconto di Piera Graffer
- From: "Doriana Goracci" <doriana at inventati.org>
- Date: Sat, 14 Apr 2007 18:15:59 +0000
- Bounce-to: "Doriana Goracci" <doriana at inventati.org>
In data 14/4/2007, "Enrico Peyretti" <e.pey at libero.it> ha scritto: >Seriamente interessante e preoccupante, ma come faccio a diffondere una >informazione come questa? >Chi è Piera, senza cognome!?! >Cosa fa nella vita? Come sa queste cose? >A chi e dove Barltrop ha raccontato queste cose? >Possiamo forse fare a meno di un po' di verificabilità, o almeno di una >fonte individuabile, delle notizie? >Grazie, Enrico Peyretti __________________________________________________ Piera Graffer: questo è il nome. Ho scritto a Piera la tua richiesta di fonti e chiarezza , non so quando mi leggerà, intanto se hai la pazienza di aspettare posso dirti che Piera Graffer, cittadina trentina, è un'artista e scrittrice pacifista da sempre impegnata nella lotta per i diritti delle donne. Alcuni libri italiani da lei scritti: Caucasus. The paradise lost , un libro che ha vinto per la narrativa il premio 'Mario Soldati' del 2002. Ars amatoria by Internet Il seme dell'apocalisse Un suo intervento in rete, anche datato pensa un po': "Sono passati appena due anni dalla guerra delle Nato nei Balcani ed ecco che i media scatenano una nuova Santa Crociata: ma l’amico di ieri è diventato nel nemico di oggi. Cosa sapevamo ieri dei serbi che abbiamo annientato? Nulla. Cosa sappiamo oggi degli islamici? Nulla. E dei talebani? Nulla. Avendo dedicato gli ultimi anni della vita a studiare quei popoli mi permetto, se a qualcuno interessasse, due parole sull’Afghanistan. Per migliaia d’anni gli afghani se ne sono stati tranquilli e felici a fare i loro traffici lungo la via della seta, coltivando i loro piccoli paradisi nelle oasi verdi sparpagliate a macchia di leopardo fra i monti e i deserti dell’Asia Centrale. Verso la metà del secolo diciannovesimo venne in mente al Grande Impero inglese una cosa che chiamarono Great Game: il Grande Gioco (non per nulla sono gli inventori dello sport, che è il gioco per eccellenza). In questo Gioco il Leone inglese sfidava l’Orso russo per la conquista di terre i cui abitanti, essendo pacifici e “arretrati”, non venivano considerati esseri umani dotati di dignità propria. Erano solo “selvaggi”, parte del paesaggio un po’ come gli animali o gli alberi. Gli inglesi varcarono il Kyber Pass, e invasero l’Afghanistan. O per lo meno ci provarono. Ma furono ricacciati dagli afghani che si batterono disperatamente per difendere la loro libertà. Verso la metà del secolo ventesimo le parti s’invertirono: fu l’Orso russo a invadere l’Afghanistan, questa volta con lo scopo di assicurare il passaggio all’oleodotto che avrebbe dovuto trasportare il petrolio di cui l’Asia Centrale abbonda, fino al mare, cioè alle navi, che lo avrebbero a loro volta recapitato in occidente, il quale basa la sua vita sui consumi e la sua economia sul petrolio. Anche i russi considerarono gli afghani come parte del paesaggio: volevano la loro terra e andarono a prendersela. Anche questa volta gli afghani combatterono disperatamente e a prezzo di sacrifici inenarrabili salvarono la loro libertà. Ma da questa seconda, tremenda guerra, il Paese uscì diviso in fazioni che (è troppo lungo spiegarlo) si misero a combattersi fra di loro. Oggi l’Afghanistan è a livelli di tragedia, disperazione e miseria impensabili dall’uomo bianco. Di chi è la colpa? Dell’uomo bianco. Chi ha distrutto la pace, e i piccoli giardini incantati dove gli afghani erano vissuti felicemente per millenni lungo la via della seta? Dell’uomo bianco. Quindi l’uomo bianco se vuole fermare la spirale dell’odio non deve arrendersi alla sete di una sia pur giustissima vendetta e spargere altre bombe su popoli che sono già le sue vittime. Così scatenerà solo l’apocalisse." ________________________________________ e per finire dal Giornale Nel nome di Graffer una scuola di vita e di alpinismo di Rolly Marchi Graffer è un nome emblematico nella storia dei monti del Trentino, pareti verticali e neve in egual misura. Il primo della dinastia, Nino, è stato «l'inventore» delle sciovie, il fratello Giorgio, eroico pilota da caccia aerea, è stato un Manolo precursore. Negli anni 30 tornava a Trento per una licenza, lasciava la divisa e si vestiva da scalatore, saliva in Brenta e apriva una nuova via di sesto grado sul campanile basso e anche una di quinto legandosi alla corda la sorella Rita. Poi, ahimè, lasciò la vita durante la guerra nel cielo di Grecia e i suoi amici delle cime vollero onorarlo per sempre dando vita a una Scuola di roccia, la prima in Italia. I promotori avevano nome Nino Menestrina e Guido Viberal, i primi istruttori furono Bruno Detassis, direttore, Sandro Disertori, Vittorio Corradini e Cesare Scotoni. Era l'estate del 1941 e la tradizione è poi sempre continuata, nel Gruppo di Brenta, per i corsi di roccia ma ne esistono altri due per il ghiaccio e lo sci alpinismo. Direttore è Mario Loss e la sede è a Trento nell'austero palazzo della «Madre dell'Alpinismo Tridentino», la SAT. I princìpi fondamentali e i corsi avvengono in rigorosa serietà e si concludono, spero come ai miei tempi, con una notte di grande allegria. Ma quello che più conta è il primo aspetto perché alla scuola si imparano quelli che sono e devono essere i fondamentali, dalla attrezzatura al primo contatto con una parete, dai nodi alle corde doppie. Da come uscire da una nevicata o da tuoni e fulmini di un improvviso temporale. Oggi si affrontano con troppa allegria falesie e brevi strapiombi di sesto grado, poi una nube o un acquazzone coinvolgono una cordata a metà parete di terzo grado e i malcapitati non sanno come cavarsela. No. Alla Graffer si insegna tutto con molto rigore e il nome di Giorgio cui è dedicata ricorre spesso e se ne mostrano anche immagini di lui nei momenti più felici delle sue ascese. Momenti che sono anche eternati adesso in un bellissimo volume dal titolo Il cielo di Giorgio Graffer (Editrice Rendena) che la nipote Piera Graffer, che all'età di quattordici anni annodai alla mia corda per donarle la gioia della cima del Campanile Basso, mi ha consegnato proprio la scorsa settimana al museo Caproni di Trento dove lo zio è perennemente ricordato come merita. Nel libro, che consiglio, ci sono parecchie pagine dedicate non solo alla vita dello scalatore ma anche alla medaglia d'oro della sua audacia aerea. Excelsior! ________________________________________________________________ Piera non è una giovane signora ma ha un cuore assai giovane Enrico, credimi... Spero abbia superato lei e io l'imprudenza del raccontare e non essere note. Doriana >----- Original Message ----- >From: "Doriana Goracci" <doriana at inventati.org> >To: <disarmo at peacelink.it> >Cc: <pace at peacelink.it> >Sent: Saturday, April 14, 2007 12:48 AM >Subject: [pace] TOPO SEVESO e il racconto di Piera > > >> TOPO SEVESO* >> Produzioni di morte, nocività e difesa ipocrita della vita >> >> Il disastro dell'Icmesa del luglio 1976 diede vita a discussioni e >> battaglie sociali su armi chimiche, produzioni nocive e diritto >> d'aborto; e sin da >> allora le parole "nocivo" e "nocività".... >> >> ____________________________________________________________ >> >> Mi ha risposto Piera, questo il suo racconto >> >> >> Racconta Piera, racconta... >> _______________________________________________________ >> >> Il Dr John Barltrop, che lavorava nel laboratorio di Fleming quando >> quest'ultimo scoprì la pennicillina (non ho capito se il Nobel fosse >> andato anche a lui), fotochimico inventore di molecole (è sua infatti >> per esempio quella delle lenti degli occhiali che cambiano colore a >> seconda dell'intensità della luce, e quella dei televisori al plasma, >> che cambia colore in seguito a stimolazioni elettriche) quando era >> Vice-Principal al Brasenose College di Oxford fu invitato dal governo >> italiano a risolvere il problema di Seveso insieme a tre altri >> scienziati: un americano e due vietnamiti (questi ultimi presumibilmente >> a causa della loro familiarità con l'agent orange, scaricato a piene >> mani (o a pieni B52) dagli USA sopra il Viet-Nam. Agent Orange è un >> altro nome della diossina. >> >> John rimase molto stupito che il governo italiano si fosse mosso non >> subito, ma a tre settimane di distanza dallo scoppio dell'ICMESA. >> >> Andarono a prenderlo all'areoporto con una macchina presidenziale con le >> bandierine che sventolavano sui parafanghi. John è un uomo semplice, e >> questo lo lasciò abbastanza allibito. Poi lo trasportarono in un >> albergo, dove fu abbandonato in beata solitudine. Non gli fu comunicato >> dove fossero alloggiati gli altri scienziati, nè gli fu permesso di >> contattarli. Il giorno dopo lo chiamarono e gli dissero che doveva >> presentarsi in televisione a fare uno statement. Prima di sottoporsi >> alle telecamere tentarono di spalmargli del fondotinta sulla faccia, ma >> lui rifiutò. Probabilmente perché quella era la sua prima volta e non >> sapeva che in tv si truccano anche i maschietti. >> >> 'Mi fecero sedere davanti a un magnifico tavolo di radica veneziana del >> '700 e mi dissero di parlare. Ma non mi era stato fornito alcun dato >> sullo scoppio dell'ICMESA. Non avevo la formula chimica del, o dei, >> materiali esplosi, non ne conoscevo la quantità, non sapevo a quale >> temperatura era avvenuto il fatto, non sapevo nulla. Non essendo nelle >> condizioni di capire cosa fosse successo ho fatto un discorsetto >> generico, poi sono tornato a casa. >> >> Se il tuo governo avesse seriamente voluto risolvere il problema >> dell'ICMESA avrebbe dovuto: >> >> 1. Muoversi subito invece di lasciar passare tre settimane >> >> 2. Fornirci tutti i dati possibili nel massimo dettaglio, poi chiudere a >> chiave noi quattro specialisti in una stanza e non lasciarci uscire >> finché non avessimo trovato una soluzione congiunta.' >> >> Anche la soluzione cui arrivarono, e cioè quella di asportare con le >> ruspe il terreno contaminato e sepplellirlo poco distante fu, a detta di >> Barltrop, sbagliata, perché la diossina c'è ancora tutta, con tutto il >> suo potenziale letale ancora intatto: una bomba a orologeria. Secondo >> lui si sarebbe dovuto inventare una molecola che, sollecitata dalla >> luce, si combinasse a quella della diossina, neutralizzandola. Il >> preparato avrebbe dovuto essere spruzzato dovunque, anche per esempio >> sui muri delle case, dove col sistema adottato dal governo la diossina >> rimase indisturbtata. >> >> Un altro errore, o secondo Barltrop una stupidaggine, fu quello di >> recintare la zona contaminata col filo di ferro spinato. >> >> 'Le molecole non si lasciano spaventare dall filo spinato, disse, ce ne >> sono altrettante di qua come di là dal filo. E nei due o tre mesi >> trascorsi dallo scoppio agli inizi dei lavori di bonifica il vento, la >> pioggia, le ruote delle automobili la hanno ormai trasportato in giro >> per tutto il nord Italia fino in Adriatico. >> >> Mi raccomando - concluse - non mangiare a nessun costo pesce >> dell'Adriatico, perché è contaminato. La diossina è cancerogena e >> teratogena.' >> >> Povero John. Non sapeva che il Nord Italia non ha depuratori, e che tutti >> gli scarichi industriali fluiscono felicemente in mare. E allora era il >> '1973, quando gli eroici aviatori della NATO non avevano ancora >> scaricato le bombe all'uranio impoverito, che non erano riusciti a >> sganciare sulla Jugoslavia, in Adriatico e nel Garda. >> >> Nei due decenni e mezzo trascorsi dallo scoppio dell'ICMESA le tragedie >> ecologiche si sono susseguite e si stanno susseguendo a ritmi tali, che >> ormai è diventato un lusso solo il fatto di non vivere in zona di guerra. >> >> Ciao >> >> piera
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