Re: Continuare con Vicenza ...e le Donne



Doriana Goracci ha scritto:
Dal sito della Libreria delle Donne

"Vicenza si oppone al progetto del Pentagono (che i nostri governanti non
hanno saputo contrastare al momento giusto) con una lotta pacifica,
tenace, capillare, libera da politicismi, che vede una forte presenza di
donne e la partecipazione di alcuni cittadini americani.
mah! Quella dei nostri governanti è stata una scelta precisa.

Rosa Luxembourg (se vogliamo rifarci ad una donna) è (secondo me) due, tre spanne, più avanti (in alcuni casi vivere il presente non significa capirne di più).

MILITARISMO, GUERRA E CLASSE OPERAIA

[…]Vengo ora al punto più rilevante dell'accusa. Il procuratore di stato ricava il suo attacco principale, cioè l'affermazione che nel discorso incriminato io avrei incitato i soldati in caso di guerra a non sparare sul nemico contrariamente agli ordini, da una deduzione che gli sembra evidentemente di inconfutabile forza probante e di logica stringente. Egli deduce quanto segue: poiché io facevo dell'agitazione contro il militarismo, poiché io volevo impedire la guerra, non potevo evidentemente seguire altra via, non potevo avere in vista altro mezzo efficace che quello di intimare direttamente ai soldati: se vi si ordina di sparare, non sparate! Davvero signori giudici: quale conclusione convincente, quale logica stringente! Tuttavia mi si permetta di dichiarare: questa logica e questa conclusione risultano dalla concezione del procuratore di stato, non dalla mia, non da quella della socialdemocrazia.

A questo punto li prego di prestare particolare attenzione. Io dico: la conclusione che l'unico mezzo efficace per evitare le guerre consista nel rivolgersi direttamente ai soldati e di incitarli a non sparare - questa conclusione è soltanto l'altra faccia di quella concezione secondo cui, fintantoché il soldato obbedisce agli ordini dei suoi superiori, tutto nello Stato è ben sistemato, secondo cui - per dirla in breve - il fondamento del potere statale e del militarismo è rappresentato dall'obbedienza cadaverica del soldato. Questa concezione del signor pro curatore trova un armonioso completamento ad esempio in quel discorso pubblicato ufficialmente del massimo signore della guerra, secondo il quale il kaiser, ricevendo il re dei greci a Postdam il 6 novembre dello scorso anno, ha detto che la vittoria dell'esercito greco dimostra "che i principi seguiti dal nostro comando generale e dalle nostre truppe, se esattamente applicati, portano sempre alla vittoria". Il comando generale con i suoi "principi" e il soldato con la sua obbedienza cadaverica - ecco le basi della condotta della 1guerra e la garanzia della vittoria.
Ora, noi socialdemocratici non siamo precisamente di questa opinione.
Noi pensiamo piuttosto che per l'insorgere e per l'esito delle guerre non siano decisivi soltanto l'esercito, i "comandi" dall'alto e l'obbedienza cieca in basso, ma che sia la grande massa del popolo lavoratore che decide e che deve decidere. Noi siamo d'opinione che le guerre possono venire condotte solo quando e solo finché la massa del popolo lavoratore o le fa con entusiasmo, perché le ritiene cosa giusta o necessaria, o almeno le sopporta pazientemente. Quando invece la grande maggioranza della popolazione lavoratrice arriva a convincersi - e svegliare in essa questo convincimento, questa coscienza è proprio il compito che ci poniamo noi socialdemocratici - quando, dico, la maggioranza del popolo giunge a convincersi che le guerre sono un fenomeno barbaro, profondamente immorale, reazionario e nemico del popolo, allora le guerre sono diventate impossibili - e il soldato obbedisca pure in principio ai comandi dei superiori ! Secondo il concetto del procuratore di stato la parte che fa la guerra è l'esercito, secondo il nostro, è il popolo. Questo ha da decidere se le guerre vanno fatte o no. E' alla massa degli uomini e delle donne che lavorano, vecchi e giovani, che spetta decidere circa l'essere o non essere del militarismo attuale. non a quella piccola particella di questo popolo che sta nel cosiddetto abito del re. E se ho detto questo, ho contemporaneamente una classica testimonianza in mano, che questa è in realtà la mia, la nostra concezione. Per caso sono in grado di rispondere alla domanda del procuratore di stato di Francoforte: chi avessi inteso allorché là in un mio discorso tenuto a Francoforte, dissi: "noi non facciamo questo".

Il 17 aprile 1910 ho parlato qui, al Circo Shumann, davanti a circa 6.000 persone, sulla lotta per il diritto di voto in Prussia - come sanno, allora la nostra lotta era ai suo apice e trovo nel testo stenografico di quel discorso a p. 10 il seguente passo: "Egregi ascoltatori! Io dico: nell'attuale lotta per il diritto di voto, come in tutte le questioni politiche importanti del progresso in Germania, siamo tutti soli, abbandonati a noi stessi. Ma chi siamo "noi"? "Noi" siamo i milioni di proletari e proletarie di Prussia e Germania. Sì, noi siamo più di un numero. Noi siamo i milioni di coloro del cui lavoro manuale vive la società. E basta che questo semplice fatto metta radici nella coscienza delle più larghe masse del proletariato tedesco. perché venga infine il momento che in Prussia sia dimostrato alla reazione imperante che il mondo può ben fare a meno degli Junker dell'Elba orientale, e anche dei conti del Centro, e dei consiglieri segreti e occorrendo anche dei procuratori di stato (agitazione), ma che non può esistere ventiquattro ore, se gli operai incrociano le braccia".

Loro vedono che io esprimo chiaramente quale sia secondo il nostro modo di vedere il centro di gravità della vita politica e dei destini dello Stato: nella coscienza, nella volontà chiaramente formata, nella decisione della grande massa lavoratrice. E proprio così pure concepiamo la questione del militarismo. Se la classe operaia giunge alla maturità e alla decisione di non permettere più guerre, le guerre sono diventate impossibili.[…]