L' "epidemia invisibile" della guerra in Iraq



“In Iraq c’è il più alto numero di suicidi di tutti i paesi islamici, si registrano tassi di suicidio compresi tra il 3 e il 5 per cento della popolazione, anche se le cifre sono approssimative vista la mancanza di un sistema centralizzato di raccolta dei dati”. Così spiega Lynn Amowitz, docente della Harward Medical School e membro dell’associazione internazionale Physicians for Human Rights.
In Iraq per i civili è impossibile fare i conti, ogni genere di conti.

Secondo Jerry Harben, medico dell’Ufficio Affari Pubblici dell’Esercito USA, nel 2005 i suicidi dei soldati americani impegnati in Iraq sono raddoppiati rispetto al 2004. Spiega che su 1800 soldati tenuti in osservazione negli ultimi mesi, il 13.6% riscontra sintomi di depressione, stress e ansia acuta. La tecnica ampiamente usata dagli psicologi impegnati in zone di guerra è la terapia cognitivo-comportamentale che fa leva sul ruolo del pensiero razionale e i comportamenti dell’individuo. Dopo la tragica esperienza del Vietnam, i vertici militari degli Stati Uniti hanno capito l’importanza di garantire una assistenza sanitaria mentale ai soldati, dopo tutto il “combat stress” può anche danneggiare una intera unità militare compromettendo operazioni importanti. E la guerra in Iraq certo non si può considerare un successo e tanto meno vinta dal più tecnologico esercito del mondo. “Ciao a tutti. Stiamo morendo. Non in un senso filosofico o cronologico, del tipo “prima o poi la fine arriva per tutti”. Proprio nel senso di morire…Pensavamo di aver invertito il corso degli eventi, di aver svoltato l’angolo…Ma loro sono ancora qui. Ancora lottano per vederci crollare. Non è mai stata una lotta equa e non sempre abbiamo rispettato le regole...Cosa dici ai tuoi uomini dopo che avete scrostato via dall’asfalto gli scalpi di una intera famiglia irachena, proprio accanto a dove si trovano i corpi in pezzi dei tuoi soldati, tenuti insieme dai lacci di scarpe, dai giubbotti o dagli elmetti? Stiamo combattendo una guerra giusta? Non credo proprio. Stiamo combattendo e basta. E adesso stiamo morendo...Sto bene mamma, sono solo un po’…scosso, un po’ triste”. Questa lettera è una delle tante testimonianze di un soldato in missione in Iraq raccolte nel libro Black Hawk Down e da cui è stato tratto un film.
http://www.zmag.org/Italy/monbiot_blackhawk_it.htm
Racconta la realtà di una guerra che non ha un “fronte”, il campo di battaglia è dappertutto e buona parte del tempo delle truppe viene passata pattugliando villaggi, facendo da scorta tra le basi operative e cercando ordigni inesplosi. Gli elicotteri Black Hawk sono definiti come utility, nel bilancio del Pentagono 2007 ne sono previsti 38 per 900 milioni di dollari, usati anche come vere e proprie ambulanze volanti per effettuare missioni di salvataggio. Sempre nel bilancio del 2007 vengono destinati 3,7 miliardi di dollari per il Future Combat System, per la protezione della forza fra blindati e giubbetti antiproiettile, spalle, braccia ed elmetti.

Nella guerra asimmetrica un’arma possibile è quella collocata sul ciglio della strada, in gergo militare si chiama “ordigno esplosivo improvvisato”. La sigla sta per “Improvised Esplosive Devicies”, armi che servono per aggirare l’enorme asimmetria che intercorre fra forze insurrezionali ed eserciti tecnologicamente avanzati.

Le lesioni alla testa o agli arti sono le ferite tipiche delle esplosioni di IED, cosicché se la bomba IED è il simbolo dell’arma usata dalla guerriglia, il trauma cranico è la sua eredità più pesante.

http://www.icasualties.org/oif/IED.aspx

Le unità speciali CSC, rassicurano i soldati che gli stati d’animo quali la paura, la rabbia e l’ansia erano prevedibili, insegnano tecniche comportamentali per aiutarli a dormire, l’importanza di esercizi fisici regolari e in alcuni casi fanno cambiare temporaneamente mansione.

La velocità è essenziale per salvare vite umane. I feriti devono essere soccorsi in fretta e inseriti nel sistema medico che li trasferisce dalla prima linea agli ospedali statunitensi, gli ospedali da campo sono stati progettati per essere smontati rapidamente e per poter seguire le azioni sul fronte. Allorché i combattimenti si concentrano in alcune città, allora le unità mobili mediche si insediano in strutture più stabili. Una volta a casa toccherà ai medici e alle famiglie o comunità aiutare i reduci a ricostruire le proprie vite.

Oltre il 20% dei feriti ha subito un trauma cranico, un neuropsicologo, Gorge Zitnay, ha parlato delle lesioni cerebrali come di una “epidemia invisibile” perché pensare alla psiche, alla mente, fa molta paura e sono viste come un marchio infamante. La guerra nel Vietnam è stata emblematica da questo punto di vista, molti reduci finivano in prigione, in ospedale o sulla strada, spesso divorziavano. L’io che subisce un trauma del genere viene frammentato, annichilito, la vittima può soffrire di amnesie o manie, diventare violento. Is there an Iraq war syndrome? Comparison of the health of UK service personnel after the Gulf and Iraq wars
http://www.sciencedirect.com/science?_ob=ArticleURL&_udi=B6T1B-4JYTRWK-1&_coverDate=06%2F02%2F2006&_alid=523840562&_rdoc=1&_fmt=&_orig=search&_qd=1&_cdi=4886&_sort=d&view=c&_acct=C000050221&_version=1&_urlVersion=0&_userid=10&md5=bd5bed360a2788baab40c6c213180ab9

La distruzione fisica della materia cerebrale o l’interruzione della comunicazione tra le cellule del cervello, possono avere gravi conseguenze. Uno dei problemi più gravi è quello che il dottor Warren Lux chiama “disregolazione comportamentale”, i comportamenti cognitivi quali i cambiamenti nel controllo emotivo e nel comportamento sessuale, appaiono più gravi di quelli presentati dal pianificare normali mansioni quotidiane. Un altro effetto nel paziente è il non rendersi conto di aver perso una parte di sé o di essere ferito, e quindi di non riuscire ad usare tutte le capacità perché non sa di doverlo fare.

Il Dipartimento della Difesa ha promosso solo una serie di screening limitati, sebbene esperti abbiano chiesto di sottoporre ad analisi tutti i reduci perché spesso i sintomi compaiono in ritardo, e la mancanza di una diagnosi precisa non permette una veloce riabilitazione impedendo così un probabile recupero.

Ma cosa sono le IED?

Le IED si collocano fra i dispositivi offensivi più letali già usati in contesti quali quelli israelo-palestinesi, Libano, Sri Lanka, Afghanistan, ecc. Costituiscono parte di una triade insieme agli RPG e Kalashnikov, generalmente di fabbricazione artigianale sono realizzati o con adattamenti di munizionamento di origine militare o con l’utilizzo di scarti industriali. Si tratta di bombe o razzi completati con aggiunte di materiale chimico, TNT (possibile anche quello biologico o radioattivo, le cosiddette bombe sporche). Esiste anche un’altra categoria, riconducibile alle autobombe che usano camion, autobus, motociclette, ecc. come “contenitore”. Usate come moltiplicatori di potenza distruttiva sono attivate da un innesco-accenditore che può sfruttare varie modalità, dal sistema radio a quello a pressione o elettrico, ecc. Il ricorso ad un comando a distanza è preferito quando si deve selezionare il momento e l’obiettivo dell’attacco, a meno che non sia fornito di un congegno a tempo. Uno studio statunitense ha individuato almeno 90 metodi di azionamento di tali dispositivi. Sempre negli USA si è costituita una speciale organizzazione per contrastare questa poliedrica minaccia nell’ambito del Dipartimento della Difesa, la Joint IED Defeat Organisation. Una frase del generale John Abizaid (Centcom) può riassumere lo sforzo che vari eserciti, israeliano o della NATO, russo o altro, stanno effettuando come lotta alle IED: - Occorre uno sforzo simile a quello del progetto Manhattam”. Per ora vi sono misure elettroniche di contrasto e sistemi che si avvalgono di fasci di microonde o raggi laser, ma anche sistemi “annusaesplosivi” sino a quello pensato mediante tecnologia stechiometrica.
Ovviamente grande riferimento hanno i sistemi unmanned, ovvero robotici.
Ma, a fronte dei miliardi di dollari spesi, quanto detto da Loren Thompson amministratore delegato del Lexington Institute, un think tank di Arlington, è chiaro: - Il problema di fondo con questo genere di attacchi è che la minaccia cambia forma ogni momento per eludere le soluzioni che via via noi elaboriamo”.
Detto meglio: LA GUERRA E’ UN AFFARE.