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news agghiaccianti dalle basi nato in sardegna
- Subject: news agghiaccianti dalle basi nato in sardegna
- From: useppescano at virgilio.it
- Date: Thu, 27 May 2004 16:37:49 +0200
dala nuova sardegna del 25\5\2004 Contaminazione da uranio: altri due deceduti Sospette le morti di Gianni Faedda di Campanedda e Maurizio Serra di Castelsardo CASTELSARDO.Altri due ex militari sardi di leva potrebbero essere morti per sospetta contaminazione da uranio impoverito. Entrambi hanno prestato servizio nel poligono militare di tiro di Capo Frasca (Oristano). Lo denuncia Falco Accame, presidente dell?associazione nazionale italiana assistenza vittime arruolati nelle Forze armate famiglie dei caduti (Anavafaf). Le vittime sono Gianni Faedda di Sassari morto l?8 settembre 2002 all?età di 26 anni e Maurizio Serra di Castelsardo morto nove giorni fa, all?età di 25 anni. I due ragazzi stando al racconto dei familiari sarebbero stati impiegati più di una volta per raccogliere le munizioni utilizzate melle esercitazioni a fuoco. Questi nuovi due casi fanno crescere il numero dei militari morti e tolgono per l?ennesima volta sottoaccusa le esercitazioni militari che si svolgono nei poligoni sardi. «E? assolutamente inaccettabile - sottolinea Falco Accame - che militari svolgono compiti di smaltimento di scorie in poligoni interforze dove operano anche vite civili, che dovrebbero provvedere al recupero dei resti dei loro proiettili e missili e non sfruttare manodopera militare a costo zero». Accame denuncia che militari vengono impiegati nel delicatissimo compito di maneggio di residui di armi senza misure di protezione, come occhiali, maschere, guanti, tute di protezione impermeabili. «Notizie di morti e di malati - dice il presidente dell?Anavafaf- si conoscono solo attraverso ?Radio Fante?, cioè a casuali segnalazioni di privati. Dovrebbero invece essere segnalate alle Camere in base alla disposizioni impartite a suo tempo dal ministro Spadolini, dal Ministero della Difesa. Ad oggi non risulta nessun caso segnalato». Falco Accame ritiene che su una questione così grave come quella dei tanti morti e malati per possibili contaminazioni da uranio impoverito, che sono stati impiegati senza misure di protezione, dovrebbe intervenire il capo dello Stato che è anche il capo delle forze Armate. «Non debbono esistere, poi - sostiene il presidente dell?Anavafaf differenze profonde tra militari che muoiono nell?adempimento del proprio dovere e tra quelli per cui si celebrano funerali di Stato e quelli che si liquidano con una coltre di silenzio, magari per nascondere la responsabilità di chi non li ha protetti». Intanto Angelo Garro e Anna Cremona i referenti del comitato Genitori di militari caduti in tempo di pace esprimono la propria solidarietà alle famiglie delle due vittime e chiedono che venga fatta chiarezza su queste nuove morti. Chiarezza chiede pure la portavoce dell?associazione Gettiamo le basi, Mariella Cao che ribadisce la necessità della messa al bando dell?uranio impoverito e la sospensione di ogni tipo di esercitazione nei poligoni militari della Sardegna fino a quando non sarà chiarita la causa dei tumori e delle malformazioni che colpiscono civili e militari. Giancarlo Bulla Dal caso del maresciallo Giuseppe Pintus di Assemini ai due casi del Sassarese La lista delle vittime è sempre più lunga -------------------------------------------------------------------------------- SASSARI. C?è chi la chiama «sindrome di Quirra» e chi «sindrome di Teulada». Nessuno con precisione sa quanti siano finora i decessi o le patologie che vedono l?uranio impoverito come principale imputato. Linfomi, leucemie, tumori ai testicoli. Oppure alla testa come è successo a Gianni Faedda, 26 anni, di Campanedda o a Maurizio Serra, 26 anni di Castelsardo, morto nove giorni fa. Entrambi avevano fatto i militari nel poligono di Capo Frasca: si erano conosciuti all?Oncologico di Cagliari. Il primo caso di morte di un militare che avesse prestato servizio in un poligono di tiro risale al 1999. E? quello di Giuseppe Pintus di Assemini. Fu il fratello Gianni a collegare la morte di Giuseppe alla sua permanenza nel poligono di Teulada. Poi, via via, vi furono altre denunce, tanto che le famiglie delle vittime da uranio impoverito nel novembre del 1977 decisero di trovarsi ad Aviano per parlare delle strane malattie che colpivano i militari che avevano maneggiato proiettili all?uranio: «Gettiamo le basi» era il titolo del convegno. Lo stesso che dà il nome al coordinamento che si occupa del problema. A loro si deve un lavoro di denuncia del problema e di raccolta dati. «A Quirra- dice Mariella Cao di ?Gettiamo le basi?- contiamo 12 casi tra morti e colpiti da patologia da uranio. Tra questi anche il caso di Fabio Capellone che aveva prestato servizio sia a Quirra che a Teulada. Per quest?ultima base non abbiamo dati precisi. Per Capo Frasca siamo già a tre casi: Serra, Faedda e Falsarone» «Un?odissea che ha segnato le nostre vite» Parlano le famiglie dei due militari morti: «Vogliamo sapere la verità» -------------------------------------------------------------------------------- CASTELSARDO. Due mamme affrante dal dolore chiedono di sapere se la morte dei loro figli possa essere in qualche modo messa in correlazione con l?attività da essi svolta durante il servizio militare. Entrambe sono accomunate da questa sete di verità, per impedire, dicono, che altri ragazzi facciano la fine dei nostri figli. Due storie simili a tante altre, dapprima accettate con rassegnazione, oggi con ottica diversa. «Per i nostri figli non possiamo fare più niente - dicono - ma vogliamo impedire che altre famiglie vivano la nostra tragedia». Giovanna Antonia Baduena di Castelsardo e Mariangela Nonna, di Campenedda, sono oggi rose dal dubbio, vogliono solo sapere la verità. Maurizio Serra di Castelsardo è partito nel 1997 per svolgere il servizio militare nell?Aeronautica. Dopo aver fatto il periodo di addestramento al Centro addestramento reclute di Taranto, è stato trasferito a Capo Frasca. Nonostante lavorasse in cucina veniva impiegato per raccogliere le munizioni durante le esercitazioni. Si è congedato nel mese di febbraio del 1998. «Nel maggio del 1999 - racconta la madre Giovanna Antonia Baduena - Maurizio si è sentito male, ha avuto un attacco epilettico. E? stato ricoverato dapprima nel reparto di Neurologia dell?ospedale di Sassari, poi nell?ospedale di Ozieri dove i medici gli hanno diagnosticato un rarissimo tumore al cervello. Diagnosi confermata alcuni giorni all?ospedale San Raffaele di Milano, dove io e mio marito Antonio lo abbiamo accompagnato. Un tumore rarissimo un astrocitoma fibrillare per il quale non era possibile alcuna cura. I medici del San Raffaele gli hanno prescritto delle cure. Maurizio si è poi sottoposto presso l?ospedale Oncologico di Cagliari ad alcuni cicli di radioterapia. Le condizioni di salute sono peggiorate nel gennaio del 2001. Siamo nuovamente andati al San Raffaele dove gli è stato effettuato un drenaggio al cranio. Rientrato in Sardegna e si è sottoposto a un nuovo ciclo di radioterapia. Facevamo la spola tra il capoluogo sardo, dove alloggiavamo nella casa di accoglienza vicino all?ospedale oncologico e Castelsardo. Durante questo periodo abbiamo conosciuto Gianni Faedda, un ragazzo di Campanedda una frazione di Sassari e i suoi familiari. Maurizio è morto dopo cinque anni di sofferenza il 16 maggio scorso». Simile a quella di Maurizio è la storia di Gianni Faedda. «Gianni - dice la madre Mariangela Nonna - è partito per fare il servizio militare nel 1996; aveva 20 anni. Si era appena diplomato all?istituto tecnico industriale. Dopo aver effettuato il Car a Viterbo è stato trasferito a Capo Frasca. Si è congedato nel 1977. Ha cominciato a sentirsi male nell?agosto del 1999. I primi sintomi sono stati febbre altissima. Nel mese di settembre è stato ricoverato all?ospedale di Sassari. I medici gli hanno diagnosticato un?infiammazione al cervello. Lo abbiamo quindi accompagnato al San Raffaele poi al Carlo Besta di Milano. Nel gennaio del 2000 le condizioni di Gianni si sono aggravate. Mio figlio è stato ricoverato a Sassari, nel reparto di neurologia e poi nuovamente al San Raffaele e al Carlo Besta di Milano. Per lui non c?è stato niente da fare. E? morto l?8 settembre del 2002». (g.bu.) Armato solo del suo sorriso per la battaglia più difficile -------------------------------------------------------------------------------- SASSARI. Nessuno, al momento del decesso, il 9 settembre del 2002, ha pensato a una relazione tra la malattia di Gianni Faedda (nella fot) e la vita militare. La sua morte destò profonda impressione. Una vita breve, ma vissuta con intensità e intelligenza, animata da una fede straordinaria che gli ha consentito di affrontare la malattia in modo esemplare. Quella di Gianni Faedda sembra davvero una storia uscita dalle pagine del libro Cuore: un giovane di 26 anni affetto da una grave malattia eppure così allegro e innamorato della vita, sempre disponibile e pronto ad aiutare gli altri in ogni situazione. Da nove anni era fidanzato con Stefania e viveva una bella storia d?amore che voleva coronare nel matrimonio. Ma il destino, purtroppo, ha deciso diversamente. La notizia della sua morte ha colto di sorpresa gli abitanti della piccola borgata di Campanedda dove Gianni viveva con i genitori Bastianino e Mariangela, una sorella e un fratello, Romina e Marco. A Campanedda Gianni era molto amato e non solo per la sua indiscutibile simpatia, ma soprattutto per la sua fede sincera e la sua forza d?animo straordinaria. Da qualche anno affrontava coraggiosamente una malattia che lo costringeva a periodi di degenza. Ma Gianni non ha mai perso l?ottimismo e nei periodi in cui era tranquillo la sua energia e la sua voglia di fare erano instancabili.(a.me.) Scaricate in Kosovo oltre 10.000 tonnellate di munizioni La ricostruzione sui terreni colpiti dai bombardamenti LUCIA SGUEGLIA -------------------------------------------------------------------------------- PRISTINA. Non bastano, per tranquillizzare gli animi di chi ha soggiornato nei Balcani, i tre rapporti pubblicati tra il 2001 e il 2002 su Bosnia Erzegovina, Serbia-Montenegro e Kosovo dall?Agenzia Onu per l?Ambiente (Unep) incaricata di accertare gli effetti dell?uranio impoverito nei luoghi colpiti dai bombardamenti Nato durante i due conflitti degli anni Novanta. Con la salute non si scherza, specie al di là dell?Adriatico. Dove dal 1994 al 1999 sono state sparate in totale 12 tonnellate di munizioni contenenti DU (Depleted Uranium), di cui 10 soltanto sul territorio del Kosovo, grande quanto l?Abruzzo. Lo ammise nel 2000 la stessa Nato, che annunciò poi di voler continuare a far uso della sostanza: più efficace di qualsiasi proiettile penetrante, la più economica. Prima della fine della guerra nel ?95 la Bosnia aveva visto cadere dal cielo 10.800 proiettili all?uranio, principalmente nella zona intorno a Sarajevo e nell?attuale Republika Srpska. E nella ?guerra umanitaria? del ?99 in Kosovo, per punire Belgrado furono colpite anche installazioni industriali contenenti materiali tossici. L?Italia è stato il primo paese a denunciare alla Nato il possibile collegamento tra le malattie tumorali riscontrate in alcuni reduci dei Balcani e il DU. Subito dopo l?hanno imitata Spagna, Germania, Svezia e Inghilterra, varando commissioni d?indagine apposite. Da noi l?ultima parola l?ha avuta la Commissione Mandelli, che nel 2001 negò che vi fosse una relazione accertata tra linfoma di Hodgkin e uranio. Conclusioni assai criticate, da studiosi come il prof. Cortellessa (fisico nucleare per anni responsabile dell?ISS), e messe in dubbio persino da ex membri della Mandelli come il prof. Grandolfo. Così nel marzo scorso il governo - dopo le polemiche suscitate dalla trasmissione tv Report dedicata alla base militare kosovara di Villaggio Italia, costruita su una delle zone in assoluto più colpite dall?uranio della regione, e in seguito alle proteste delle famiglie dei militari ammalatisi di cancro dopo aver lavorato nei Balcani - ha deciso, con uno stanziamento di 1.175.330 euro, di autorizzare un nuovo studio epidemiologico sui soldati di ritorno dalle missioni all?estero. Tutto da rifare, dunque. Nel frattempo, a tutti i connazionali di ritorno dai Balcani, civili compresi (personale delle organizzazioni internazionali), si raccomanda di effettuare periodici controlli medici, gratuiti dopo 6 mesi di permanenza. Ma se l?attenzione al momento è concentrata sui militari o sul personale internazionale, va ricordato che la popolazione locale - la più sottoposta al rischio di contaminazione - non è mai stata avvertita dei rischi da esposizione da uranio, né invitata a sottoporsi a controlli medici. Milioni di persone che, diversamente dai militari di stanza per pochi mesi nella regione (dove consumano esclusivamente prodotti importati), hanno respirato polveri d?uranio e subiscono le conseguenze delle reazioni chimiche scatenate dal D.U. nelle falde freatiche, attraverso ciò che mangiano e bevono. L?incidenza preoccupante di malattie renali e malformazioni genetiche (ritenute da alcuni esperti indipendenti incaricati da Aiea e Commissione Europea di approfondire la questione, direttamente collegabili all?uranio molto più del cancro) non è però sufficientemente documentata. Ancor oggi non esiste alcuno studio sull?argomento. Ora si comincia a far pulizia in alcuni siti (tramite speciali unità Nato), ma forse è troppo tardi. In Bosnia come in Kosovo, per anni si è continuato a ricostruire proprio dove erano cadute le bombe. Villaggio Italia, dunque, non è un caso isolato. -------------- idem del 26\5\2004 Tumori, malformazioni e paura: è la «maledizione del poligono» Armi all?uranio o l?arsenico di una miniera? E? un giallo ANGELO DE MURTAS -------------------------------------------------------------------------------- VILLAPUTZU. Di nuovo pare che via sia un solo dato che debba essere segnalato: il fatto, di per sè rilevante, che finora niente di concreto sia stato fatto per rimuovere le cause, quali che esse siano, dell?oscura affezione cancerosa chiamata ?sindrome di Quirra? perchè nel piccolo borgo che porta questo nome ha mietuto, e forse continua a mietere, le sue vittime, che poche sicuramente non sono. Si sono prelevati campioni del terreno, si sono compiute analisi e indagini, si sono diffusi documenti e dichiarazioni che aspiravano a essere tranquillizzanti, ma la realtà oggettiva è rimasta quella che era due, tre, dieci anni fa. La minaccia del male se vi era continua a esservi, benchè nessuno ne abbia indicato con certezza l?origine. Del resto, come realmente stiano le cose in questa parte della Sardegna, e se davvero vi siano veleni - e di quale natura - che mettano in pericolo la salute e la vita di coloro i quali vi vivono, lo sa, probabilmente, soltanto il cielo. Qui sulla terra, invece, non sembrano esservi idee molto chiare né assolute certezze, neppure nelle sedi più autorevoli. Così non resta che prendere atto dei dati oggettivi certi, che non pare siano molti né confortanti, e, ragionando su questi, tentare di costruirsi una visione complessiva della realtà, o almeno un?opinione appena plausibile. I dati certi sono quelli che tutti conoscono e che in questi ultimi anni sono stati evocati innumerevoli volte. Si sa bene, intanto, che a Perdasdefogu, allora paesino sperduto in un vasto altipiano, negli anni intorno al 1960 venne installato un poligono militare nel quale venivano sperimentate nuove armi, sicuramente non destinate a produrre effetti benefici, ma che erano il frutto della tecnologia bellica più avanzata: missili, quindi, e quanto a essi è connesso. I missili, si sa, per poter fare, sia pure in sede sperimentale, quel che ci si attende da loro, hanno bisogno di un vasto spazio disabitato, e da quelle parti lo spazio non mancava: il poligono si estese da Perdasdefogu fino al mare, occupando per un buon tratto la valle percorsa dall?irrequieto Rio Quirra e separata dalla costa da uno schermo di colline: in tutto 130 chilometri quadrati, come dire 13.000 ettari. Vi è di più, poichè i missili, una volta lanciati, non possono essere lasciati alla sorte né alla loro libera iniziativa, ma devono essere sorvegliati passo per passo. Perciò sulla cima di tutte le alture intorno sorsero bianche costruzioni solitarie, ciascuna sormontata da una sorta di cupola: postazioni radar e tutto quel che di meglio offre in materia l?elettronica. Perdasdefogu, divenuta punto d?arrivo di un fitto andirivieni di militari e luogo di soggiorno di tecnici di società impegnate nell?industria bellica, si andò rapidamente animando. Negli impianti del poligono trovarono lavoro decine di operai e d?impiegati. I missili, in definitiva, avevano portato con sè un benessere prima sconosciuto del quale in qualche misura, direttamente o in modo indiretto, godevano tutti o quasi tutti. Non soltanto a Perdasdefogu, del resto, ma anche a Quirra, minuscola frazione di Villaputzu annidata nella valle (sulla cima rocciosa d?un colle i ruderi d?un castello, al margine della strada una piccola chiesa romanica), poiché di qui passavano i militari del poligono e quelli distaccati nelle postazioni radar e negli altri inpianti. Tutti soddisfatti, dunque? Tutti soddisfatti fino al giorno in cui ci si rese conto d?un fatto inquietante: in quella piccola comunità (Quirra non aveva allora più di centocinquanta abitanti; oggi la sua popolazione è ancora meno numerosa, poichè chi poteva se ne è andato) accadeva di frequente che qualcuno si ammalasse d?un male che aveva un nome oscuro - era una forma di tumore emolinfatico - e che ad onta delle cure ne morisse. Nell?arco d?una decina d?anni, a partire dai primi Anni ?90, si contarono 13 casi di tal natura. A contarli, poichè chi soffre di un male che lo sta conducendo alla morte di norma non si dedica a calcoli statistici, fu, per la precisione, un medico, il dottor Antonio Pili, il quale ritenne suo dovere denunciare la frequenza anomala del fenomeno. Tredici casi su una popolazione di appena centocinquanta abitanti, un caso ogni 11,5 abitanti: troppi perché si potesse fare a meno di supporre una causa comune. Vi era di più, poichè a Escalaplano, paese non lontano né da Perdasdefogu né da Quirra, pare che si verificasse con frequenza maggiore della norma la nascita di bambini malformati: difficile, anche qui, non pensare a un?unica causa. Quale poteva essere la comune origine dell?affezione cancerosa e delle alterazione genetiche? Non parve irragionevole indicare il poligono con le sue appendici, dove venivano sperimentate, anche da forze armate straniere, anche da grandi industrie che producono ordigni altamente sofisticati, le nuove armi delle quali allora, sul declinare degli Anni ?80, già parlava, forse anche quelle all?uranio impoverito, sostanza il cui nome suscitava risonanze sinistre. La denuncia del dottor Pili non cadde nel vuoto, ma fu raccolta, con vario grado d?impegno, dai mezzi d?informazione. Questo giornale dedicò a quel che accadeva a Quirra e nei suoi dintorni una serie d?inchieste accurate quanto coraggiose, nelle quali veniva sottolineata la gravità dell?oggettivo stato delle cose e si indicavano con chiarezza i motivi di apprensione che ne nascevano, né venivano taciute le reticenze e le resistenze che si opponevano a chi cercasse di appurare la verità. Non mancò un risvolto politico, poichè un gruppo di consiglieri regionali chiese, inutilmente, che venisse costituita una commissione d?inchiesta, mentre due senatori rivolsero interrogazioni sulla vicenda al ministro della Difesa. Le risposte vennero ragionevolmente sollecite; risposte di netto diniego: nel poligono non vi era mai stato, da parte delle forze armate, impiego di sostanze o materiali radioattivi. Il ministro disse anche di aver disposto un?accurata analisi del terreno così all?interno come all?esterno del poligono, ma che non vi si erano trovati valori di radioattività fuori della norma. Aggiunse che, da parte sua, l?Azienda sanitaria di Cagliari aveva fatto eseguire analisi analoghe che avevano rivelato nei terreni di Quirra ?un?alta concentrazione di arsenico e di altri minerali provenienti, con ogni probabilità, da lavorazioni minerarie?. L?Azienda sanitaria confermò: nel terreno si era trovata un?altissima concentrazione di arsenico (fino a 8180 milligrammi per chilogrammo) e di piombo. Nessun dubbio sul fatto che le sostanze inquinanti provenissero da una vecchia miniera di arseniopirite, quella di Bacu Locci. La miniera è chiusa e abbandonata da una cinquantina d?anni, e si sapeva benissimo quali sostanze se ne estrevano: possibile che in questo mezzo secolo nessuno - non chi ha il compito di tutelare la sanità pubblica, in ogni caso - si sia reso conto che andava spargendo intorno veleni mortali? Tutto chiaro, comunque: responsabile di quel che è accaduto e accade a Quirra non è l?uranio impoverito, ma l?arsenico della vecchia miniera. «Tutto chiaro?», si chiede al dottor Antonio Pili, che il dramma di Quirra ha seguito giorno per giorno. Risponde: «Di chiaro, invece, mi sembra che ci sia ben poco. Si sa benissimo, infatti, e si legge nei libri di medicina, che l?arsenico, se può causare forme tumorali a carico dei polmoni o dell?epidermide, non può essere causa di tumori emolinfatici, che sono appunto quelli che hanno colpito gli abitanti di Quirra. La verità non può essere questa». Se le cose stanno così, si deve concludere che della strada che conduce alla verità resti ancora da percorrere un lungo tratto. Nel frattempo il male non sembra concedere tregua. In una casa posta ai piedi d?una collina - al sommo dell?altura la bianca cupola d?una postazione radar - già, viene riferito, sono morti due fratelli. Il terzo si è ammalato di recente di tumore. A Villaputzu molti temono l?impatto sul turismo E a furia di parlare di «veleni» c?è chi non compra più arance e vini prodotti nella zona -------------------------------------------------------------------------------- VILLAPUTZU. Questi luoghi ebbero dalla sorte molto di quel che occorreva perché fossero luoghi sereni. Muravera e Villaputzu ebbero la dolcezza del clima; ebbero la fertilità del suolo che, a onta delle piene intemperanti del Flumendosa, fortunatamente non frequenti, nutre agrumeti opulenti e floride coltivazioni d?ogni genere; ebbero l?ampio arco della costa che abbraccia grandi spiagge e luoghi di grande bellezza, e ha alle spalle ricche peschiere. Nel tratto che le appartiene, a Porto Corallo, Villaputzu ha costruito un bel porto al quale affida la sua speranza di diventare un fortunato centro turistico. Perdasdefogu, annidato fra le pieghe d?un vasto altipiano, non conserva traccia della povertà d?un tempo: è un centro vivace e attivo nel quale non è difficile percepire gli indizi di un diffuso benessere e dove il senso comunitario resta vivo più che in altri luoghi. E tuttavia qui non vi è la serenità della quale non mancano le condizioni oggettive e, per altro verso, vi è un forte desiderio. A incrinarla, insinuandovi dubbi e timori, oppure facendone nascere un atteggiamento di difesa che assume spesso toni aspri, sono le incertezze e le ambiguità legate a quella che è stata definita la ?sindrome di Quirra?. Così il solo fatto che si evochi la situazione oscura, forse di pericolo, che si è creata e che nessuno, nei fatti, si è finora curato di rimuovere, viene talvolta considerato un attacco indebito contro l?intera comunità, i suoi interessi e le sue attese. Una reazione di questa natura si è avuta recentemente al consiglio comunale di Villaputzu, dove nel corso d?una riunione è stato detto, in sostanza, che ?preoccupa il puntuale, denigratorio ripetersi di servizi giornalistici, alimentati forse da interessi politici, che alle porte della stagione turistica ritraggono Villaputzu come paese inquinato?. Ma fonte di maggiore preoccupazione dovrebbe essere quel che accade nella realtà. Peggio, poi, se si fa appena cenno della possibilità che all?origine delle forme tumorali emolinfatiche che con tanta frequenza si sono manifestate a Quirra, vi siano le armi, forse all?uranio impoverito, sperimentate nel poligono. «Uranio impoverito? Non c?è niente di vero; sono tutte bugie», dice seccamente il proprietario d?un albergo. Molto meno sicura una signora che proprio a Quirra gestisce un bar: «Che cosa posso dire? - risponde all?interlocutore - Noi non sappiamo se tutte le cose che vengono dette siano vere. Ma una certa preoccupazione la abbiamo. D?altra parte dobbiamo continuare a vivere qui; che cosa dovremmo fare, dove potremmo andare?». Neppure il sindaco di Perdasdefogu, l?ingegnere Walter Mura, crede che responsabile di tutto sia l?uranio impoverito. «Io - dice - mi sento del tutto tranquillo. Del resto, mio padre ha lavorato per molti anni nel poligono come dipendente civile e non ha subito alcuna conseguenza. Certo è che tutta questa vicenda ci sta causando un gran danno: nessuno vuole più comprare il nostro olio d?oliva o le arance. Nessun turista vuole più venire da queste parti. Si è detto che vogliono fare analisi molto accurate. Ebbene, che le facciano: il primo a esserne lieto sarò io, che ho tre figli». Che cosa pensare, allora? Per avere una visione più limpida della realtà e qualche idea più chiara, della vicenda di Quirra e dei suoi dintorni si parla con uno studioso, il professor Mauro Cristaldi, che insegna discipline biologiche all?università di Roma. La sua risposta è: «Ritengo che esista una forte presunzione che all?origine vi sia una fonte di radioattività: ma questa ipotesi si fonda soltanto su basi epidemiologiche, cioè sull?alta incidenza del male, non su basi fisiche. La possibilità di accertare la verità esiste, ma bisognerebbe ottenere i permessi e i finanziamenti necessari, permessi e finanziamenti che non ci sono stati concessi quando abbiamo proposto un?indagine della stessa natura in Bosnia e nel Kossovo. Da parte mia, conunque, non posso non tener conto del fatto che nel poligono sono state sperimentate armi anche da forze armate straniere e persino da industrie belliche private». Si dovrà probabilmente concludere che trascorerà non poco tempo, prima che a coloro i quali vivono da queste parti vengano restituite le certezze e la serenità ale quali hanno diritto. (a.d.m.) Dietro l?uranio c?è un muro di gomma Accame: «Lo prenderemo a testate» L?ammiraglio chiede a gran voce che lo Stato faccia chiarezza sulla sindrome di Quirra UMBERTO AIME -------------------------------------------------------------------------------- CAGLIARI. La sindrome dei Balcani ha ucciso ancora. Continuerà a uccidere, purtroppo. Altri due soldati ammazzati dall?uranio impoverito, anche se nessun medico-legale confermerà che sono state le radiazioni a scatenare linfomi e leucemie. Altre due morti assorbite dal muro di gomma dello Stato. Che tiene per sè le cifre della strage, che non risarcisce, nascosto dietro la carta velina delle relazioni commissionate. «Viviamo un periodo di oscurantismo». Parole di Falco Accame, ex ammiraglio, ex parlamentare e, a ottant?anni, instancabile presidente dell?Associazione di assistenza alle vittime arruolate nelle forze armate e alle famiglie dei caduti. - Presidente, l?uranio uccide gli uomini, il silenzio devasta le coscienze. «Il muro di gomma resiste, assorbe, macina una vita dopo l?altra, divora i soldati che sono stati in missione nei Balcani, ma anche bambini, donne e uomini che vivono a dieci chilometri dalle basi del Salto di Quirra e di Capo Frasca». - È una sindrome senza confini. «Le particelle di uranio volano irrispettose della geopolitica e del filo spinato intorno alle basi. Le schegge di queste bombe ammazzano dovunque e chiunque: le persone ma anche gli animali, contaminano la terra, aumentano il livello di radioattività delll?acqua. Ma lo Stato continua a tirarsi fuori». - Perché? «C?è una forte responsabilità delle gerarchie militari. Nel lontano 1973 mi sono dimesso dal comando del cacciatorpediniere Indomito, per protestare contro la gestione autoritaria del potere, lo so: quella è gente che i panni sporchi se li tiene in casa e a casa li sciacqua». - È omertà. «Quello che era peggio vent?anni fa, è peggiorato oggi. La storia non è cambiata: nulla deve trapelare dalle caserme. All?estraneo è concesso sapere soltanto la storiella del ?rancio ottimo e abbondante?. Nient?altro è permesso». - Assolve i politici? «Impossibile quando ci sono ministri e parlamentari che parlano, parlano ma non sanno la differenza tra una mitragliatrice e un cannone. Anzi, se la conoscono è grasso che cola». - Chi nasconde la verità per primo? «Militari e governanti insieme. Il gioco di squadra è forte, quando ci sono da sollevare nebbia e fumo su incidenti, nonnismo e morti». - Nessuna trasparenza. «Se parliamo di uranio impoverito, la verità è mascherata, addomesticata alle norme, alle strategie. I gruppi forti comandano e dispongono». - La solita «Italia dei misteri»? «Ustica e caso Moro, per esempio: sono trascorsi anni ma ci sono ancora carte inavvicinabili persino per la magistratura. Purtroppo è ancora la solita Italia». - Ma se muore un soldato dov?è il segreto di Stato? «Se è morto a causa dell?uranio impoverito i problemi ci sono e sono tanti». - Cominci? «Il 14 ottobre del 1993 l?esercito americano ha ammesso di aver utilizzato proiettili arricchiti nella Guerra del Golfo, tre anni prima». - Le contromisure sono state immediate? «No. Soltanto nel 1999 l?Esercito italiano ha emanato il decreto sui sistemi di sicurezza, ma nel frattempo i nostri soldati erano stati in Somalia, Croazia, Bosnia e Kosovo. Dappertutto senza le maschere e i guanti che gli americani invece già indossavano, insieme alle tute anti-polvere». - Sei anni di ritardo: un?esagerazione. «Non c?è dubbio, ma nessuno ha pagato». - Altri esempi? «Il mistero sui vulcani dov?è distrutto quello che resta di bersagli o bombe. Ci sono soldati che hanno raccolto a mani nude i detriti poi bruciati in quei camini da dove si alzano piccoli funghi radioattivi». - Senza nessuna protezione per militari e civili. «Non c?è nulla che imprigioni le particelle di uranio. La polvere finisce su militari e civili, su animali e piante. Sul caso il parlamentare Antonio Loddo ha presentato un?interrogazione, ma i ministri sono stati vaghi nelle risposte». - Lo Stato sfugge. «Insiste a non riconoscere la causa di servizio a chi è morto dopo le missioni in Bosnia, a non ammettere quel rapporto causa-effetto ormai evidente persino nei numeri». - Evidente? «Lo è, anche se altri smentiscono». - Chi, per esempio? «L?ematologo Franco Mandelli e la sua commissione medica nominata dalla Difesa. La prima relazione è zeppa di errori addirittura statici figuriamoci il resto». - Spieghi. «Pensiamo al campione di partenza: quarantamila soldati. Dove sono se l?Italia, in questi anni, ha inviato all?estero non più di ventitremila uomini? Voglio dire: è stata allargata la base dello screening, per dimostrare che il morbo di Hodgkin non incideva sulla salute della truppa». - Carte truccate. «Sbagliate e denunciate dalla nostra associazione, ma le mie lettere sono rimaste sempre senza risposta». - La commissione Mandelli ha dato alle stampe anche una seconda relazione. «Dove sono stati messi assieme, nei controlli, i soldati che hanno operato in Bosnia senza protezione e quelli in Kosovo dopo il 22 novembre del 1999, data del decreto sui sistemi di sicurezza». - Qui dov?è stato l?errore? «Aver mischiato gruppi disomogenei. L?approccio è stato sbagliato, ancora una volta, ed è chiaro che i dati finali hanno trasfigurato la realtà. Anche se devo dire: nella seconda relazione, la commissione medica denunciava l?aumento dell?incidenza di linfomi e leucemia». - Quale sarebbe stato l?approccio giusto? «Sperimentare sul campo gli effetti dell?uranio impoverito. Non lo dico io ma un fisico nucleare del Cnr, Evandro Lodi Vizzini». - C?è anche una terza relazione Mandelli. «Sappiamo che in quella c?è una forte preoccupazione per l?aumento dei casi, e lo Stato che ha fatto? Ha tenuto per sè la relazione sfavorevole senza pubblicarla neanche sul sito ufficiale della Difesa». - La Commissione andrà avanti nell?indagine, controllerà anche i poligoni militari in Sardegna? «I poligoni mai: sono vacche da mungere, per il resto sono finiti i soldi. Ho chiesto spiegazioni al ministro Martino, non mi ha risposto. Ma nel frattempo Mandelli ha scritto su una prestigiosa rivista scientifica: Uranio impoverito, non è escluso che possa causare linfomi di Hodgkin. Sconcertante». - Le carte ufficiali sono impregnate di bugie? «Le bugie sono cavalli di Troia e il Cavallo ha fottuto i troiani. Noi non dobbiamo cadere nel tranello». - Presidente, la verità è irraggiungibile? «C?è un muro di gomma: dobbiamo prenderlo a testate». Parlano i familiari del ragazzo di 26 anni morto dieci giorni fa per un tumore alla testa «Non vorremmo che anche altri soffrissero come è successo a noi per il nostro Maurizio» -------------------------------------------------------------------------------- CASTELSARDO. Ha destato sconcerto e grande commozione in paese la notizia secondo la quale il giovane Maurizio Serra, di appena 26 anni, deceduto dieci giorni fa, il 16 maggio scorso, potrebbe essersi ammalato a causa del servizio prestato durante il periodo della leva obbligatoria. Molte persone, infatti, erano a conoscenza dei sospetti della famiglia ma diversi pensavano che la malattia di Maurizio fosse dovuta a cause «naturali» e inspiegabili come spesso lo sono questi tragici eventi. La notizia in prima pagina ieri sul nostro giornale e i servizi tv fanno sembrare ancora più vera un?eventualità che prima veniva solo sussurrata e la possibilità che un commilitone si sia ammalato nello stesso periodo aumenta la rabbia e la voglia di far chiarezza. Soprattutto da parte della famiglia che durante i lunghi anni della patologia del ragazzo hanno taciuto per dedicare tutte le loro energie all?assistenza del loro congiunto. I familiari- ora che per Maurizio tutti gli sforzi sono stati vani- sono più convinti che mai di portare avanti una battaglia affinché non succeda ancora. E proprio sulle notizie apparse sulla stampa la famiglia ci tiene a fare alcuni chiarimenti. «Non volevamo tirare in ballo Gianni (Gianni Faedda di Sassari, morto nel 2002 per un?infiammazione al cervello, NdC) senza l?autorizzazione della famiglia - afferma Maria Costanza, sorella di Maurizio - tra l?altro poi non si sono conosciuti in ospedale, come è stato erroneamente riportato, ma già durante il servizio di arruolamento. Gianni stava per finire e mio fratello stava iniziando il suo periodo di leva. Poi si sono rincontrati nel reparto di neurologia dell?ospedale di Sassari». Proprio la ?strana? coincidenza del servizio prestato nello stesso posto, il poligono militare di tiro di Capo Frasca (Oristano), ha fatto sorgere nella famiglia i primi dubbi sulla possibile origine della malattia di Maurizio: un rarissimo tipo di tumore denominato astrocitoma fibrillare, impossibile da curare. E la terribile neoplasia sembra parlare sempre più la lingua di quelle munizioni che il ragazzo veniva mandato a raccogliere nonostante avesse incarichi di cucina. «Ora che Maurizio non c?è più abbiamo deciso di uscire allo scoperto e di denunciare la cosa - afferma la sorella, - e vorrei cogliere l?occasione per invitare chi può, istituzioni, associazioni o quant?altro, a fare tutto il possibile perché vengano tutelati sia i militari ma anche gli abitanti nella zona, poiché non succeda ad altri, quello che purtroppo è successo a noi». Donatella Sini LETTERE SENZA RISPOSTE «Egregio Ministro Martino, ci dica la verità su quelle morti» -------------------------------------------------------------------------------- CAGLIARI. E? il testo della lettera scritta, l?anno scorso, da Falco Accame a Franco Mandelli, presidente della commissione medica della Difesa sull?uranio impoverito. Lettera rimasta senza risposta. «... Dalla sua ultima relazione è emerso un altissimo numero di linfomi di Hodgkin, che supera di gran lunga ogni previsione... dalle indagini, inoltre, sono rimaste escluse le operazioni in Somalia e quelle nei poligoni, perché non incluse nel mandato ricevuto dal ministero della Difesa... Inoltre in Bosnia i nostri soldati hanno operato senza alcuna protezione, mentre in Kosovo, dopo il 22 novembre 1999, sono state adottate le misure di protezione: denunciata questa differenza, è inaccettabile che nelle relazioni non si faccia differenza tra queste due situazioni assolutamente non omogenee...». *** Questo è il testo della lettera scritta, a gennaio, da Falco Accame al ministro della Difesa, Antonio Martino: «... Nella sua ultima comunicazione, non ha fornito alcuna precisazione sul numero dei militari presenti in Bosnia e Kosovo, nonostante da oltre otto mesi la nostra associazione abbia richiesto quei dati in base alla legge sulla trasparenza degli atti amministrativi... Inoltre, non ha precisato perché alla commissione Mandelli non sia stato permesso di proseguire gli studi... Questo anche in realazione al fatto che militari italiani operano in Irak, zona che ha subito bombardamenti di armi all?uranio, senza adottare misure di precauzione, com?è emerso dalle riprese televisive...». Un?altra lettera rimasta senza risposta. La Maddalena, dall?incidente dell?Hartford all?incubo torio L?incidenza delle patologie da contaminazione nucleare: angoscia e statistiche -------------------------------------------------------------------------------- LA MADDALENA. Dice la destra che comanda alla Maddalena e a Roma che la sinistra, «quando era al governo dell?isola, della Sardegna e dell?Italia, non ha mai fatto nulla contro la base Usa, non ha mai sollevato timori sulla radioattività». E? vero. Solo che mai, prima del 25 ottobre 2003, la Us Navy aveva dovuto ammettere che un suo sottomarino nucleare, aveva avuto un incidente nelle acque dell?arcipelago. Un incidente che ha costretto il sottomarino a un mese di viaggio, contro le due settimane solite, verso gli Usa per essere riparato (forse). Un incidente che è costato al commodoro della base Usa e al comandante dell?Hartford il licenziamento (non era successo così con gli ufficiali americani e i piloti responsabili della strage del Cermis, 20 morti, febbraio 1998). Non era mai successo e da quel giorno, alla Maddalena, nulla poteva essere più come prima. Preoccupazione, allarme, angoscia. Crescente numero di tumori. Scienziati divisi. Alla Maddalena, oggi più che mai, la presenza americana è motivo di inquietudine. Il 5 gennaio, qualche mese dopo l?incidente all?Hartford, Giulio Giudice, allora consigliere provinciale di Forza Italia, denuncia pubblicamente di essere ammalato di tumore e chiede verifiche sulla base Usa. Il 16 gennaio, il Criirad, un istituto di ricerca francese, e indipendente, conferma i timori: i valori del Torio 234 sono fuori dalla norma, i campioni sono stati raccolti nelle alghe dell?arcipelago subito dopo l?ammissione dell?incidente al sottomarino. E? allarme rosso. La contestazione verso il raddoppio della base americana di Santo Stefano, prima condotta per ragioni politiche, ora è portata avanti anche con ragioni scientifiche. Il 2 febbraio vengono pubblicati i dati del Registro Tumori della provincia di Sassari, tra il 1993 e il 1997. Alla Maddalena i casi catalogati sono ben 283. Escalation dei carcinomi della pelle: 58 (44 tra i maschi e 14 tra le femmine). Linfomi: 5 tra le donne e 12 tra gli uomini. Il 10 febbraio, viene istituito un registro tumori dai medici generici e dai pediatri. Dai dati sui casi di patologia tumorale registrati nel 2003, risulta che dei 78 nuovi casi che hanno colpito persone di età superiore ai 65 anni, 46 hanno riguardato persone di sesso maschile e 32 quelle di sesso femminile 32. Quarantadue casi (sesso femminile 18, sesso maschile 24) si sono registrati in età inferiore ai 65 anni. Trentasei casi (sesso femminile 17, sesso maschile 19), di età inferiore ai 50 anni. Il 3 marzo, il responsabile del reparto di ginecologia e ostetricia dell?ospedale maddalenino Gaetano Giudice dà i numeri sulle malformazioni, dal 1975 (tre anni dopo l?arrivo degli americani a Santo Stefano) fino ad arrivare al 2003. Effettuando una statistica divisa per decenni si è verificata questa rilevazione: dal 1975 al 1984, ci sono stati un totale di 1449 parti per un numero di malformazioni di 15: con una percentuale dell?1,03 per cento. Mentre dal 1985 al 1994, nel secondo decennio, dunque, ci sono stati 1197 parti, per un totale di 13 malformazioni con una percentuale di 1,09 per cento. L?ultimo decennio - che però si limita agli ultimi nove anni perché parte dal 1995 ed arriva fino al 2003 - abbiamo avuto 825 parti con un totale di 4 malformazioni e con una percentuale dello 0,40 per cento». Dati tranquillizzanti, rispetto alla media nazionale, dice Gaetano Giudice. Infine, i dati, forniti dall?Apat, l?agenzia del ministero dell?Ambiente, sul Torio alla Maddalena: c?è, è superiore alla media, ma non legato all?incidente, bensì a cause naturali, spiegano i tecnici. (r.o)
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