news agghiaccianti dalle basi nato in sardegna



  dala nuova   sardegna  del  25\5\2004

Contaminazione da uranio: altri due deceduti    
Sospette le morti di Gianni Faedda di Campanedda e Maurizio Serra di Castelsardo
 
 
 CASTELSARDO.Altri due ex militari sardi di leva potrebbero essere morti
per sospetta contaminazione da uranio impoverito. Entrambi hanno prestato
servizio nel poligono militare di tiro di Capo Frasca (Oristano). Lo denuncia
Falco Accame, presidente dell?associazione nazionale italiana assistenza
vittime arruolati nelle Forze armate famiglie dei caduti (Anavafaf). Le
vittime sono Gianni Faedda di Sassari morto l?8 settembre 2002 all?età di
26 anni e Maurizio Serra di Castelsardo morto nove giorni fa, all?età di
25 anni.
 I due ragazzi stando al racconto dei familiari sarebbero stati impiegati
più di una volta per raccogliere le munizioni utilizzate melle esercitazioni
a fuoco.
 Questi nuovi due casi fanno crescere il numero dei militari morti e tolgono
per l?ennesima volta sottoaccusa le esercitazioni militari che si svolgono
nei poligoni sardi. «E? assolutamente inaccettabile - sottolinea Falco Accame
- che militari svolgono compiti di smaltimento di scorie in poligoni interforze
dove operano anche vite civili, che dovrebbero provvedere al recupero dei
resti dei loro proiettili e missili e non sfruttare manodopera militare
a costo zero».
 Accame denuncia che militari vengono impiegati nel delicatissimo compito
di maneggio di residui di armi senza misure di protezione, come occhiali,
maschere, guanti, tute di protezione impermeabili. «Notizie di morti e di
malati - dice il presidente dell?Anavafaf- si conoscono solo attraverso
?Radio Fante?, cioè a casuali segnalazioni di privati. Dovrebbero invece
essere segnalate alle Camere in base alla disposizioni impartite a suo tempo
dal ministro Spadolini, dal Ministero della Difesa. Ad oggi non risulta
nessun caso segnalato».
 Falco Accame ritiene che su una questione così grave come quella dei tanti
morti e malati per possibili contaminazioni da uranio impoverito, che sono
stati impiegati senza misure di protezione, dovrebbe intervenire il capo
dello Stato che è anche il capo delle forze Armate. «Non debbono esistere,
poi - sostiene il presidente dell?Anavafaf differenze profonde tra militari
che muoiono nell?adempimento del proprio dovere e tra quelli per cui si
celebrano funerali di Stato e quelli che si liquidano con una coltre di
silenzio, magari per nascondere la responsabilità di chi non li ha protetti».
 Intanto Angelo Garro e Anna Cremona i referenti del comitato Genitori di
militari caduti in tempo di pace esprimono la propria solidarietà alle famiglie
delle due vittime e chiedono che venga fatta chiarezza su queste nuove morti.
Chiarezza chiede pure la portavoce dell?associazione Gettiamo le basi, Mariella
Cao che ribadisce la necessità della messa al bando dell?uranio impoverito
e la sospensione di ogni tipo di esercitazione nei poligoni militari della
Sardegna fino a quando non sarà chiarita la causa dei tumori e delle malformazioni
che colpiscono civili e militari.

Giancarlo Bulla  
 

Dal caso del maresciallo Giuseppe Pintus di Assemini ai due casi del Sassarese
 
  
La lista delle vittime è sempre più lunga  
  
  
  
  
 

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 SASSARI. C?è chi la chiama «sindrome di Quirra» e chi «sindrome di Teulada».
Nessuno con precisione sa quanti siano finora i decessi o le patologie che
vedono l?uranio impoverito come principale imputato. Linfomi, leucemie,
tumori ai testicoli. Oppure alla testa come è successo a Gianni Faedda,
26 anni, di Campanedda o a Maurizio Serra, 26 anni di Castelsardo, morto
nove giorni fa. Entrambi avevano fatto i militari nel poligono di Capo Frasca:
si erano conosciuti all?Oncologico di Cagliari.
 Il primo caso di morte di un militare che avesse prestato servizio in un
poligono di tiro risale al 1999. E? quello di Giuseppe Pintus di Assemini.
Fu il fratello Gianni a collegare la morte di Giuseppe alla sua permanenza
nel poligono di Teulada. Poi, via via, vi furono altre denunce, tanto che
le famiglie delle vittime da uranio impoverito nel novembre del 1977 decisero
di trovarsi ad Aviano per parlare delle strane malattie che colpivano i
militari che avevano maneggiato proiettili all?uranio: «Gettiamo le basi»
era il titolo del convegno. Lo stesso che dà il nome al coordinamento che
si occupa del problema. A loro si deve un lavoro di denuncia del problema
e di raccolta dati. «A Quirra- dice Mariella Cao di ?Gettiamo le basi?-
contiamo 12 casi tra morti e colpiti da patologia da uranio. Tra questi
anche il caso di Fabio Capellone che aveva prestato servizio sia a Quirra
che a Teulada. Per quest?ultima base non abbiamo dati precisi. Per Capo
Frasca siamo già a tre casi: Serra, Faedda e Falsarone»
 
 «Un?odissea che ha segnato le nostre vite»  
  
Parlano le famiglie dei due militari morti: «Vogliamo sapere la verità»
 
  
  
  
  
 

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 CASTELSARDO.  Due mamme affrante dal dolore chiedono di sapere se la morte
dei loro figli possa essere in qualche modo messa in correlazione con l?attività
da essi svolta durante il servizio militare. Entrambe sono accomunate da
questa sete di verità, per impedire, dicono, che altri ragazzi facciano
la fine dei nostri figli. Due storie simili a tante altre, dapprima accettate
con rassegnazione, oggi con ottica diversa. «Per i nostri figli non possiamo
fare più niente - dicono - ma vogliamo impedire che altre famiglie vivano
la nostra tragedia».
 Giovanna Antonia Baduena di Castelsardo e Mariangela Nonna, di Campenedda,
sono oggi rose dal dubbio, vogliono solo sapere la verità. Maurizio Serra
di Castelsardo è partito nel 1997 per svolgere il servizio militare nell?Aeronautica.
Dopo aver fatto il periodo di addestramento al Centro addestramento reclute
di Taranto, è stato trasferito a Capo Frasca. Nonostante lavorasse in cucina
veniva impiegato per raccogliere le munizioni durante le esercitazioni.
Si è congedato nel mese di febbraio del 1998. «Nel maggio del 1999 - racconta
la madre Giovanna Antonia Baduena - Maurizio si è sentito male, ha avuto
un attacco epilettico. E? stato ricoverato dapprima nel reparto di Neurologia
dell?ospedale di Sassari, poi nell?ospedale di Ozieri dove i medici gli
hanno diagnosticato un rarissimo tumore al cervello. Diagnosi confermata
alcuni giorni all?ospedale San Raffaele di Milano, dove io e mio marito
Antonio lo abbiamo accompagnato. Un tumore rarissimo un astrocitoma fibrillare
per il quale non era possibile alcuna cura. I medici del San Raffaele gli
hanno prescritto delle cure. Maurizio si è poi sottoposto presso l?ospedale
Oncologico di Cagliari ad alcuni cicli di radioterapia. Le condizioni di
salute sono peggiorate nel gennaio del 2001. Siamo nuovamente andati al
San Raffaele dove gli è stato effettuato un drenaggio al cranio. Rientrato
in Sardegna e si è sottoposto a un nuovo ciclo di radioterapia. Facevamo
la spola tra il capoluogo sardo, dove alloggiavamo nella casa di accoglienza
vicino all?ospedale oncologico e Castelsardo. Durante questo periodo abbiamo
conosciuto Gianni Faedda, un ragazzo di Campanedda una frazione di Sassari
e i suoi familiari. Maurizio è morto dopo cinque anni di sofferenza il 16
maggio scorso». Simile a quella di Maurizio è la storia di Gianni Faedda.
«Gianni - dice la madre Mariangela Nonna - è partito per fare il servizio
militare nel 1996; aveva 20 anni. Si era appena diplomato all?istituto tecnico
industriale. Dopo aver effettuato il Car a Viterbo è stato trasferito a
Capo Frasca. Si è congedato nel 1977. Ha cominciato a sentirsi male nell?agosto
del 1999. I primi sintomi sono stati febbre altissima. Nel mese di settembre
è stato ricoverato all?ospedale di Sassari. I medici gli hanno diagnosticato
un?infiammazione al cervello. Lo abbiamo quindi accompagnato al San Raffaele
poi al Carlo Besta di Milano. Nel gennaio del 2000 le condizioni di Gianni
si sono aggravate. Mio figlio è stato ricoverato a Sassari, nel reparto
di neurologia e poi nuovamente al San Raffaele e al Carlo Besta di Milano.
Per lui non c?è stato niente da fare. E? morto l?8 settembre del 2002».
(g.bu.)
 
 Armato solo del suo sorriso per la battaglia più difficile  
  
  
  
  
 

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 SASSARI. Nessuno, al momento del decesso, il 9 settembre del 2002, ha pensato
a una relazione tra la malattia di Gianni Faedda (nella fot) e la vita militare.
La sua morte destò profonda impressione. Una vita breve, ma vissuta con
intensità e intelligenza, animata da una fede straordinaria che gli ha consentito
di affrontare la malattia in modo esemplare.
 Quella di Gianni Faedda sembra davvero una storia uscita dalle pagine del
libro Cuore: un giovane di 26 anni affetto da una grave malattia eppure
così allegro e innamorato della vita, sempre disponibile e pronto ad aiutare
gli altri in ogni situazione. Da nove anni era fidanzato con Stefania e
viveva una bella storia d?amore che voleva coronare nel matrimonio. Ma il
destino, purtroppo, ha deciso diversamente.
 La notizia della sua morte ha colto di sorpresa gli abitanti della piccola
borgata di Campanedda dove Gianni viveva con i genitori Bastianino e Mariangela,
una sorella e un fratello, Romina e Marco. A Campanedda Gianni era molto
amato e non solo per la sua indiscutibile simpatia, ma soprattutto per la
sua fede sincera e la sua forza d?animo straordinaria. Da qualche anno affrontava
coraggiosamente una malattia che lo costringeva a periodi di degenza.
 Ma Gianni non ha mai perso l?ottimismo e nei periodi in cui era tranquillo
la sua energia e la sua voglia di fare erano instancabili.(a.me.)
 
 
Scaricate in Kosovo oltre 10.000 tonnellate di munizioni  
  
La ricostruzione sui terreni colpiti dai bombardamenti  
  
  
  
  
LUCIA SGUEGLIA  

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 PRISTINA. Non bastano, per tranquillizzare gli animi di chi ha soggiornato
nei Balcani, i tre rapporti pubblicati tra il 2001 e il 2002 su Bosnia Erzegovina,
Serbia-Montenegro e Kosovo dall?Agenzia Onu per l?Ambiente (Unep) incaricata
di accertare gli effetti dell?uranio impoverito nei luoghi colpiti dai bombardamenti
Nato durante i due conflitti degli anni Novanta.
 Con la salute non si scherza, specie al di là dell?Adriatico. Dove dal
1994 al 1999 sono state sparate in totale 12 tonnellate di munizioni contenenti
DU (Depleted Uranium), di cui 10 soltanto sul territorio del Kosovo, grande
quanto l?Abruzzo. Lo ammise nel 2000 la stessa Nato, che annunciò poi di
voler continuare a far uso della sostanza: più efficace di qualsiasi proiettile
penetrante, la più economica. Prima della fine della guerra nel ?95 la Bosnia
aveva visto cadere dal cielo 10.800 proiettili all?uranio, principalmente
nella zona intorno a Sarajevo e nell?attuale Republika Srpska. E nella ?guerra
umanitaria? del ?99 in Kosovo, per punire Belgrado furono colpite anche
installazioni industriali contenenti materiali tossici.
 L?Italia è stato il primo paese a denunciare alla Nato il possibile collegamento
tra le malattie tumorali riscontrate in alcuni reduci dei Balcani e il DU.
Subito dopo l?hanno imitata Spagna, Germania, Svezia e Inghilterra, varando
commissioni d?indagine apposite. Da noi l?ultima parola l?ha avuta la Commissione
Mandelli, che nel 2001 negò che vi fosse una relazione accertata tra linfoma
di Hodgkin e uranio. Conclusioni assai criticate, da studiosi come il prof.
Cortellessa (fisico nucleare per anni responsabile dell?ISS), e messe in
dubbio persino da ex membri della Mandelli come il prof. Grandolfo.
 Così nel marzo scorso il governo - dopo le polemiche suscitate dalla trasmissione
tv Report dedicata alla base militare kosovara di Villaggio Italia, costruita
su una delle zone in assoluto più colpite dall?uranio della regione, e in
seguito alle proteste delle famiglie dei militari ammalatisi di cancro dopo
aver lavorato nei Balcani - ha deciso, con uno stanziamento di 1.175.330
euro, di autorizzare un nuovo studio epidemiologico sui soldati di ritorno
dalle missioni all?estero. Tutto da rifare, dunque. Nel frattempo, a tutti
i connazionali di ritorno dai Balcani, civili compresi (personale delle
organizzazioni internazionali), si raccomanda di effettuare periodici controlli
medici, gratuiti dopo 6 mesi di permanenza.
 Ma se l?attenzione al momento è concentrata sui militari o sul personale
internazionale, va ricordato che la popolazione locale - la più sottoposta
al rischio di contaminazione - non è mai stata avvertita dei rischi da esposizione
da uranio, né invitata a sottoporsi a controlli medici. Milioni di persone
che, diversamente dai militari di stanza per pochi mesi nella regione (dove
consumano esclusivamente prodotti importati), hanno respirato polveri d?uranio
e subiscono le conseguenze delle reazioni chimiche scatenate dal D.U. nelle
falde freatiche, attraverso ciò che mangiano e bevono. L?incidenza preoccupante
di malattie renali e malformazioni genetiche (ritenute da alcuni esperti
indipendenti incaricati da Aiea e Commissione Europea di approfondire la
questione, direttamente collegabili all?uranio molto più del cancro) non
è però sufficientemente documentata. Ancor oggi non esiste alcuno studio
sull?argomento.
 Ora si comincia a far pulizia in alcuni siti (tramite speciali unità Nato),
ma forse è troppo tardi.
 In Bosnia come in Kosovo, per anni si è continuato a ricostruire proprio
dove erano cadute le bombe. Villaggio Italia, dunque, non è un caso isolato.
 
 


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  idem  del 26\5\2004


Tumori, malformazioni e paura: è la «maledizione del poligono»  
  
  
  
Armi all?uranio o l?arsenico di una miniera? E? un giallo  
  
ANGELO DE MURTAS  

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 VILLAPUTZU. Di nuovo pare che via sia un solo dato che debba essere segnalato:
il fatto, di per sè rilevante, che finora niente di concreto sia stato fatto
per rimuovere le cause, quali che esse siano, dell?oscura affezione cancerosa
chiamata ?sindrome di Quirra? perchè nel piccolo borgo che porta questo
nome ha mietuto, e forse continua a mietere, le sue vittime, che poche sicuramente
non sono.
 Si sono prelevati campioni del terreno, si sono compiute analisi e indagini,
si sono diffusi documenti e dichiarazioni che aspiravano a essere tranquillizzanti,
ma la realtà oggettiva è rimasta quella che era due, tre, dieci anni fa.
La minaccia del male se vi era continua a esservi, benchè nessuno ne abbia
indicato con certezza l?origine.
 Del resto, come realmente stiano le cose in questa parte della Sardegna,
e se davvero vi siano veleni - e di quale natura - che mettano in pericolo
la salute e la vita di coloro i quali vi vivono, lo sa, probabilmente, soltanto
il cielo. Qui sulla terra, invece, non sembrano esservi idee molto chiare
né assolute certezze, neppure nelle sedi più autorevoli. Così non resta
che prendere atto dei dati oggettivi certi, che non pare siano molti né
confortanti, e, ragionando su questi, tentare di costruirsi una visione
complessiva della realtà, o almeno un?opinione appena plausibile.
 I dati certi sono quelli che tutti conoscono e che in questi ultimi anni
sono stati evocati innumerevoli volte. Si sa bene, intanto, che a Perdasdefogu,
allora paesino sperduto in un vasto altipiano, negli anni intorno al 1960
venne installato un poligono militare nel quale venivano sperimentate nuove
armi, sicuramente non destinate a produrre effetti benefici, ma che erano
il frutto della tecnologia bellica più avanzata: missili, quindi, e quanto
a essi è connesso.
 I missili, si sa, per poter fare, sia pure in sede sperimentale, quel che
ci si attende da loro, hanno bisogno di un vasto spazio disabitato, e da
quelle parti lo spazio non mancava: il poligono si estese da Perdasdefogu
fino al mare, occupando per un buon tratto la valle percorsa dall?irrequieto
Rio Quirra e separata dalla costa da uno schermo di colline: in tutto 130
chilometri quadrati, come dire 13.000 ettari. Vi è di più, poichè i missili,
una volta lanciati, non possono essere lasciati alla sorte né alla loro
libera iniziativa, ma devono essere sorvegliati passo per passo. Perciò
sulla cima di tutte le alture intorno sorsero bianche costruzioni solitarie,
ciascuna sormontata da una sorta di cupola: postazioni radar e tutto quel
che di meglio offre in materia l?elettronica.
 Perdasdefogu, divenuta punto d?arrivo di un fitto andirivieni di militari
e luogo di soggiorno di tecnici di società impegnate nell?industria bellica,
si andò rapidamente animando. Negli impianti del poligono trovarono lavoro
decine di operai e d?impiegati. I missili, in definitiva, avevano portato
con sè un benessere prima sconosciuto del quale in qualche misura, direttamente
o in modo indiretto, godevano tutti o quasi tutti. Non soltanto a Perdasdefogu,
del resto, ma anche a Quirra, minuscola frazione di Villaputzu annidata
nella valle (sulla cima rocciosa d?un colle i ruderi d?un castello, al margine
della strada una piccola chiesa romanica), poiché di qui passavano i militari
del poligono e quelli distaccati nelle postazioni radar e negli altri inpianti.
 Tutti soddisfatti, dunque? Tutti soddisfatti fino al giorno in cui ci si
rese conto d?un fatto inquietante: in quella piccola comunità (Quirra non
aveva allora più di centocinquanta abitanti; oggi la sua popolazione è ancora
meno numerosa, poichè chi poteva se ne è andato) accadeva di frequente che
qualcuno si ammalasse d?un male che aveva un nome oscuro - era una forma
di tumore emolinfatico - e che ad onta delle cure ne morisse. Nell?arco
d?una decina d?anni, a partire dai primi Anni ?90, si contarono 13 casi
di tal natura. A contarli, poichè chi soffre di un male che lo sta conducendo
alla morte di norma non si dedica a calcoli statistici, fu, per la precisione,
un medico, il dottor Antonio Pili, il quale ritenne suo dovere denunciare
la frequenza anomala del fenomeno.
 Tredici casi su una popolazione di appena centocinquanta abitanti, un caso
ogni 11,5 abitanti: troppi perché si potesse fare a meno di supporre una
causa comune. Vi era di più, poichè a Escalaplano, paese non lontano né
da Perdasdefogu né da Quirra, pare che si verificasse con frequenza maggiore
della norma la nascita di bambini malformati: difficile, anche qui, non
pensare a un?unica causa. Quale poteva essere la comune origine dell?affezione
cancerosa e delle alterazione genetiche? Non parve irragionevole indicare
il poligono con le sue appendici, dove venivano sperimentate, anche da forze
armate straniere, anche da grandi industrie che producono ordigni altamente
sofisticati, le nuove armi delle quali allora, sul declinare degli Anni
?80, già parlava, forse anche quelle all?uranio impoverito, sostanza il
cui nome suscitava risonanze sinistre.
 La denuncia del dottor Pili non cadde nel vuoto, ma fu raccolta, con vario
grado d?impegno, dai mezzi d?informazione. Questo giornale dedicò a quel
che accadeva a Quirra e nei suoi dintorni una serie d?inchieste accurate
quanto coraggiose, nelle quali veniva sottolineata la gravità dell?oggettivo
stato delle cose e si indicavano con chiarezza i motivi di apprensione che
ne nascevano, né venivano taciute le reticenze e le resistenze che si opponevano
a chi cercasse di appurare la verità. Non mancò un risvolto politico, poichè
un gruppo di consiglieri regionali chiese, inutilmente, che venisse costituita
una commissione d?inchiesta, mentre due senatori rivolsero interrogazioni
sulla vicenda al ministro della Difesa.
 Le risposte vennero ragionevolmente sollecite; risposte di netto diniego:
nel poligono non vi era mai stato, da parte delle forze armate, impiego
di sostanze o materiali radioattivi. Il ministro disse anche di aver disposto
un?accurata analisi del terreno così all?interno come all?esterno del poligono,
ma che non vi si erano trovati valori di radioattività fuori della norma.
Aggiunse che, da parte sua, l?Azienda sanitaria di Cagliari aveva fatto
eseguire analisi analoghe che avevano rivelato nei terreni di Quirra ?un?alta
concentrazione di arsenico e di altri minerali provenienti, con ogni probabilità,
da lavorazioni minerarie?.
 L?Azienda sanitaria confermò: nel terreno si era trovata un?altissima concentrazione
di arsenico (fino a 8180 milligrammi per chilogrammo) e di piombo. Nessun
dubbio sul fatto che le sostanze inquinanti provenissero da una vecchia
miniera di arseniopirite, quella di Bacu Locci. La miniera è chiusa e abbandonata
da una cinquantina d?anni, e si sapeva benissimo quali sostanze se ne estrevano:
possibile che in questo mezzo secolo nessuno - non chi ha il compito di
tutelare la sanità pubblica, in ogni caso - si sia reso conto che andava
spargendo intorno veleni mortali?
 Tutto chiaro, comunque: responsabile di quel che è accaduto e accade a
Quirra non è l?uranio impoverito, ma l?arsenico della vecchia miniera.
 «Tutto chiaro?», si chiede al dottor Antonio Pili, che il dramma di Quirra
ha seguito giorno per giorno. Risponde: «Di chiaro, invece, mi sembra che
ci sia ben poco. Si sa benissimo, infatti, e si legge nei libri di medicina,
che l?arsenico, se può causare forme tumorali a carico dei polmoni o dell?epidermide,
non può essere causa di tumori emolinfatici, che sono appunto quelli che
hanno colpito gli abitanti di Quirra. La verità non può essere questa».
 Se le cose stanno così, si deve concludere che della strada che conduce
alla verità resti ancora da percorrere un lungo tratto. Nel frattempo il
male non sembra concedere tregua. In una casa posta ai piedi d?una collina
- al sommo dell?altura la bianca cupola d?una postazione radar - già, viene
riferito, sono morti due fratelli. Il terzo si è ammalato di recente di
tumore.
 
 
A Villaputzu molti temono l?impatto sul turismo  
  
E a furia di parlare di «veleni» c?è chi non compra più arance e vini prodotti
nella zona  
  
  
  
  
 

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 VILLAPUTZU. Questi luoghi ebbero dalla sorte molto di quel che occorreva
perché fossero luoghi sereni. Muravera e Villaputzu ebbero la dolcezza del
clima; ebbero la fertilità del suolo che, a onta delle piene intemperanti
del Flumendosa, fortunatamente non frequenti, nutre agrumeti opulenti e
floride coltivazioni d?ogni genere; ebbero l?ampio arco della costa che
abbraccia grandi spiagge e luoghi di grande bellezza, e ha alle spalle ricche
peschiere.
 Nel tratto che le appartiene, a Porto Corallo, Villaputzu ha costruito
un bel porto al quale affida la sua speranza di diventare un fortunato centro
turistico. Perdasdefogu, annidato fra le pieghe d?un vasto altipiano, non
conserva traccia della povertà d?un tempo: è un centro vivace e attivo nel
quale non è difficile percepire gli indizi di un diffuso benessere e dove
il senso comunitario resta vivo più che in altri luoghi.
 E tuttavia qui non vi è la serenità della quale non mancano le condizioni
oggettive e, per altro verso, vi è un forte desiderio. A incrinarla, insinuandovi
dubbi e timori, oppure facendone nascere un atteggiamento di difesa che
assume spesso toni aspri, sono le incertezze e le ambiguità legate a quella
che è stata definita la ?sindrome di Quirra?. Così il solo fatto che si
evochi la situazione oscura, forse di pericolo, che si è creata e che nessuno,
nei fatti, si è finora curato di rimuovere, viene talvolta considerato un
attacco indebito contro l?intera comunità, i suoi interessi e le sue attese.
 Una reazione di questa natura si è avuta recentemente al consiglio comunale
di Villaputzu, dove nel corso d?una riunione è stato detto, in sostanza,
che ?preoccupa il puntuale, denigratorio ripetersi di servizi giornalistici,
alimentati forse da interessi politici, che alle porte della stagione turistica
ritraggono Villaputzu come paese inquinato?. Ma fonte di maggiore preoccupazione
dovrebbe essere quel che accade nella realtà. Peggio, poi, se si fa appena
cenno della possibilità che all?origine delle forme tumorali emolinfatiche
che con tanta frequenza si sono manifestate a Quirra, vi siano le armi,
forse all?uranio impoverito, sperimentate nel poligono.
 «Uranio impoverito? Non c?è niente di vero; sono tutte bugie», dice seccamente
il proprietario d?un albergo. Molto meno sicura una signora che proprio
a Quirra gestisce un bar: «Che cosa posso dire? - risponde all?interlocutore
- Noi non sappiamo se tutte le cose che vengono dette siano vere. Ma una
certa preoccupazione la abbiamo. D?altra parte dobbiamo continuare a vivere
qui; che cosa dovremmo fare, dove potremmo andare?».
 Neppure il sindaco di Perdasdefogu, l?ingegnere Walter Mura, crede che
responsabile di tutto sia l?uranio impoverito. «Io - dice - mi sento del
tutto tranquillo. Del resto, mio padre ha lavorato per molti anni nel poligono
come dipendente civile e non ha subito alcuna conseguenza. Certo è che tutta
questa vicenda ci sta causando un gran danno: nessuno vuole più comprare
il nostro olio d?oliva o le arance. Nessun turista vuole più venire da queste
parti. Si è detto che vogliono fare analisi molto accurate. Ebbene, che
le facciano: il primo a esserne lieto sarò io, che ho tre figli».
 Che cosa pensare, allora?
 Per avere una visione più limpida della realtà e qualche idea più chiara,
della vicenda di Quirra e dei suoi dintorni si parla con uno studioso, il
professor Mauro Cristaldi, che insegna discipline biologiche all?università
di Roma.
 La sua risposta è: «Ritengo che esista una forte presunzione che all?origine
vi sia una fonte di radioattività: ma questa ipotesi si fonda soltanto su
basi epidemiologiche, cioè sull?alta incidenza del male, non su basi fisiche.
La possibilità di accertare la verità esiste, ma bisognerebbe ottenere i
permessi e i finanziamenti necessari, permessi e finanziamenti che non ci
sono stati concessi quando abbiamo proposto un?indagine della stessa natura
in Bosnia e nel Kossovo. Da parte mia, conunque, non posso non tener conto
del fatto che nel poligono sono state sperimentate armi anche da forze armate
straniere e persino da industrie belliche private».
 Si dovrà probabilmente concludere che trascorerà non poco tempo, prima
che a coloro i quali vivono da queste parti vengano restituite le certezze
e la serenità ale quali hanno diritto. (a.d.m.)
 
 Dietro l?uranio c?è un muro di gomma Accame: «Lo prenderemo a testate»
 
  
  
  
L?ammiraglio chiede a gran voce che lo Stato faccia chiarezza sulla sindrome
di Quirra  
  
UMBERTO AIME  

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 CAGLIARI. La sindrome dei Balcani ha ucciso ancora. Continuerà a uccidere,
purtroppo. Altri due soldati ammazzati dall?uranio impoverito, anche se
nessun medico-legale confermerà che sono state le radiazioni a scatenare
linfomi e leucemie. Altre due morti assorbite dal muro di gomma dello Stato.
Che tiene per sè le cifre della strage, che non risarcisce, nascosto dietro
la carta velina delle relazioni commissionate. «Viviamo un periodo di oscurantismo».
Parole di Falco Accame, ex ammiraglio, ex parlamentare e, a ottant?anni,
instancabile presidente dell?Associazione di assistenza alle vittime arruolate
nelle forze armate e alle famiglie dei caduti.
 - Presidente, l?uranio uccide gli uomini, il silenzio devasta le coscienze.
 «Il muro di gomma resiste, assorbe, macina una vita dopo l?altra, divora
i soldati che sono stati in missione nei Balcani, ma anche bambini, donne
e uomini che vivono a dieci chilometri dalle basi del Salto di Quirra e
di Capo Frasca».
 - È una sindrome senza confini.
 «Le particelle di uranio volano irrispettose della geopolitica e del filo
spinato intorno alle basi. Le schegge di queste bombe ammazzano dovunque
e chiunque: le persone ma anche gli animali, contaminano la terra, aumentano
il livello di radioattività delll?acqua. Ma lo Stato continua a tirarsi
fuori».
 - Perché?
 «C?è una forte responsabilità delle gerarchie militari. Nel lontano 1973
mi sono dimesso dal comando del cacciatorpediniere Indomito, per protestare
contro la gestione autoritaria del potere, lo so: quella è gente che i panni
sporchi se li tiene in casa e a casa li sciacqua».
 - È omertà.
 «Quello che era peggio vent?anni fa, è peggiorato oggi. La storia non è
cambiata: nulla deve trapelare dalle caserme. All?estraneo è concesso sapere
soltanto la storiella del ?rancio ottimo e abbondante?. Nient?altro è permesso».
 - Assolve i politici?
 «Impossibile quando ci sono ministri e parlamentari che parlano, parlano
ma non sanno la differenza tra una mitragliatrice e un cannone. Anzi, se
la conoscono è grasso che cola».
 - Chi nasconde la verità per primo?
 «Militari e governanti insieme. Il gioco di squadra è forte, quando ci
sono da sollevare nebbia e fumo su incidenti, nonnismo e morti».
 - Nessuna trasparenza.
 «Se parliamo di uranio impoverito, la verità è mascherata, addomesticata
alle norme, alle strategie. I gruppi forti comandano e dispongono».
 - La solita «Italia dei misteri»?
 «Ustica e caso Moro, per esempio: sono trascorsi anni ma ci sono ancora
carte inavvicinabili persino per la magistratura. Purtroppo è ancora la
solita Italia».
 - Ma se muore un soldato dov?è il segreto di Stato?
 «Se è morto a causa dell?uranio impoverito i problemi ci sono e sono tanti».
 - Cominci?
 «Il 14 ottobre del 1993 l?esercito americano ha ammesso di aver utilizzato
proiettili arricchiti nella Guerra del Golfo, tre anni prima».
 - Le contromisure sono state immediate?
 «No. Soltanto nel 1999 l?Esercito italiano ha emanato il decreto sui sistemi
di sicurezza, ma nel frattempo i nostri soldati erano stati in Somalia,
Croazia, Bosnia e Kosovo. Dappertutto senza le maschere e i guanti che gli
americani invece già indossavano, insieme alle tute anti-polvere».
 - Sei anni di ritardo: un?esagerazione.
 «Non c?è dubbio, ma nessuno ha pagato».
 - Altri esempi?
 «Il mistero sui vulcani dov?è distrutto quello che resta di bersagli o
bombe. Ci sono soldati che hanno raccolto a mani nude i detriti poi bruciati
in quei camini da dove si alzano piccoli funghi radioattivi».
 - Senza nessuna protezione per militari e civili.
 «Non c?è nulla che imprigioni le particelle di uranio. La polvere finisce
su militari e civili, su animali e piante. Sul caso il parlamentare Antonio
Loddo ha presentato un?interrogazione, ma i ministri sono stati vaghi nelle
risposte».
 - Lo Stato sfugge.
 «Insiste a non riconoscere la causa di servizio a chi è morto dopo le missioni
in Bosnia, a non ammettere quel rapporto causa-effetto ormai evidente persino
nei numeri».
 - Evidente?
 «Lo è, anche se altri smentiscono».
 - Chi, per esempio?
 «L?ematologo Franco Mandelli e la sua commissione medica nominata dalla
Difesa. La prima relazione è zeppa di errori addirittura statici figuriamoci
il resto».
 - Spieghi.
 «Pensiamo al campione di partenza: quarantamila soldati. Dove sono se l?Italia,
in questi anni, ha inviato all?estero non più di ventitremila uomini? Voglio
dire: è stata allargata la base dello screening, per dimostrare che il morbo
di Hodgkin non incideva sulla salute della truppa».
 - Carte truccate.
 «Sbagliate e denunciate dalla nostra associazione, ma le mie lettere sono
rimaste sempre senza risposta».
 - La commissione Mandelli ha dato alle stampe anche una seconda relazione.
 «Dove sono stati messi assieme, nei controlli, i soldati che hanno operato
in Bosnia senza protezione e quelli in Kosovo dopo il 22 novembre del 1999,
data del decreto sui sistemi di sicurezza».
 - Qui dov?è stato l?errore?
 «Aver mischiato gruppi disomogenei. L?approccio è stato sbagliato, ancora
una volta, ed è chiaro che i dati finali hanno trasfigurato la realtà. Anche
se devo dire: nella seconda relazione, la commissione medica denunciava
l?aumento dell?incidenza di linfomi e leucemia».
 - Quale sarebbe stato l?approccio giusto?
 «Sperimentare sul campo gli effetti dell?uranio impoverito. Non lo dico
io ma un fisico nucleare del Cnr, Evandro Lodi Vizzini».
 - C?è anche una terza relazione Mandelli.
 «Sappiamo che in quella c?è una forte preoccupazione per l?aumento dei
casi, e lo Stato che ha fatto? Ha tenuto per sè la relazione sfavorevole
senza pubblicarla neanche sul sito ufficiale della Difesa».
 - La Commissione andrà avanti nell?indagine, controllerà anche i poligoni
militari in Sardegna?
 «I poligoni mai: sono vacche da mungere, per il resto sono finiti i soldi.
Ho chiesto spiegazioni al ministro Martino, non mi ha risposto. Ma nel frattempo
Mandelli ha scritto su una prestigiosa rivista scientifica: Uranio impoverito,
non è escluso che possa causare linfomi di Hodgkin. Sconcertante».
 - Le carte ufficiali sono impregnate di bugie?
 «Le bugie sono cavalli di Troia e il Cavallo ha fottuto i troiani. Noi
non dobbiamo cadere nel tranello».
 - Presidente, la verità è irraggiungibile?
 «C?è un muro di gomma: dobbiamo prenderlo a testate».
 
 

Parlano i familiari del ragazzo di 26 anni morto dieci giorni fa per un
tumore alla testa  
  
«Non vorremmo che anche altri soffrissero come è successo a noi per il nostro
Maurizio»  
  
  
  
  
 

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 CASTELSARDO. Ha destato sconcerto e grande commozione in paese la notizia
secondo la quale il giovane Maurizio Serra, di appena 26 anni, deceduto
dieci giorni fa, il 16 maggio scorso, potrebbe essersi ammalato a causa
del servizio prestato durante il periodo della leva obbligatoria.
 Molte persone, infatti, erano a conoscenza dei sospetti della famiglia
ma diversi pensavano che la malattia di Maurizio fosse dovuta a cause «naturali»
e inspiegabili come spesso lo sono questi tragici eventi.
La notizia in prima pagina ieri sul nostro giornale e i servizi tv fanno
sembrare ancora più vera un?eventualità che prima veniva solo sussurrata
e la possibilità che un commilitone si sia ammalato nello stesso periodo
aumenta la rabbia e la voglia di far chiarezza. Soprattutto da parte della
famiglia che durante i lunghi anni della patologia del ragazzo hanno taciuto
per dedicare tutte le loro energie all?assistenza del loro congiunto. I
familiari- ora che per Maurizio tutti gli sforzi sono stati vani- sono più
convinti che mai di portare avanti una battaglia affinché non succeda ancora.
 E proprio sulle notizie apparse sulla stampa la famiglia ci tiene a fare
alcuni chiarimenti. «Non volevamo tirare in ballo Gianni (Gianni Faedda
di Sassari, morto nel 2002 per un?infiammazione al cervello, NdC) senza
l?autorizzazione della famiglia - afferma Maria Costanza, sorella di Maurizio
- tra l?altro poi non si sono conosciuti in ospedale, come è stato erroneamente
riportato, ma già durante il servizio di arruolamento. Gianni stava per
finire e mio fratello stava iniziando il suo periodo di leva. Poi si sono
rincontrati nel reparto di neurologia dell?ospedale di Sassari». Proprio
la ?strana? coincidenza del servizio prestato nello stesso posto, il poligono
militare di tiro di Capo Frasca (Oristano), ha fatto sorgere nella famiglia
i primi dubbi sulla possibile origine della malattia di Maurizio: un rarissimo
tipo di tumore denominato astrocitoma fibrillare, impossibile da curare.
E la terribile neoplasia sembra parlare sempre più la lingua di quelle munizioni
che il ragazzo veniva mandato a raccogliere nonostante avesse incarichi
di cucina.
 «Ora che Maurizio non c?è più abbiamo deciso di uscire allo scoperto e
di denunciare la cosa - afferma la sorella, - e vorrei cogliere l?occasione
per invitare chi può, istituzioni, associazioni o quant?altro, a fare tutto
il possibile perché vengano tutelati sia i militari ma anche gli abitanti
nella zona, poiché non succeda ad altri, quello che purtroppo è successo
a noi».
Donatella Sini  
 

LETTERE SENZA RISPOSTE  
  
«Egregio Ministro Martino, ci dica la verità su quelle morti»  
  
  
  
  
 

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 CAGLIARI. E? il testo della lettera scritta, l?anno scorso, da Falco Accame
a Franco Mandelli, presidente della commissione medica della Difesa sull?uranio
impoverito. Lettera rimasta senza risposta. «... Dalla sua ultima relazione
è emerso un altissimo numero di linfomi di Hodgkin, che supera di gran lunga
ogni previsione... dalle indagini, inoltre, sono rimaste escluse le operazioni
in Somalia e quelle nei poligoni, perché non incluse nel mandato ricevuto
dal ministero della Difesa... Inoltre in Bosnia i nostri soldati hanno operato
senza alcuna protezione, mentre in Kosovo, dopo il 22 novembre 1999, sono
state adottate le misure di protezione: denunciata questa differenza, è
inaccettabile che nelle relazioni non si faccia differenza tra queste due
situazioni assolutamente non omogenee...».

***  Questo è il testo della lettera scritta, a gennaio, da Falco Accame
al ministro della Difesa, Antonio Martino: «... Nella sua ultima comunicazione,
non ha fornito alcuna precisazione sul numero dei militari presenti in Bosnia
e Kosovo, nonostante da oltre otto mesi la nostra associazione abbia richiesto
quei dati in base alla legge sulla trasparenza degli atti amministrativi...
Inoltre, non ha precisato perché alla commissione Mandelli non sia stato
permesso di proseguire gli studi... Questo anche in realazione al fatto
che militari italiani operano in Irak, zona che ha subito bombardamenti
di armi all?uranio, senza adottare misure di precauzione, com?è emerso dalle
riprese televisive...». Un?altra lettera rimasta senza risposta.
 
 
La Maddalena, dall?incidente dell?Hartford all?incubo torio  
  
L?incidenza delle patologie da contaminazione nucleare: angoscia e statistiche
 
  
  
  
  
 

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 LA MADDALENA. Dice la destra che comanda alla Maddalena e a Roma che la
sinistra, «quando era al governo dell?isola, della Sardegna e dell?Italia,
non ha mai fatto nulla contro la base Usa, non ha mai sollevato timori sulla
radioattività». E? vero. Solo che mai, prima del 25 ottobre 2003, la Us
Navy aveva dovuto ammettere che un suo sottomarino nucleare, aveva avuto
un incidente nelle acque dell?arcipelago.
 Un incidente che ha costretto il sottomarino a un mese di viaggio, contro
le due settimane solite, verso gli Usa per essere riparato (forse). Un incidente
che è costato al commodoro della base Usa e al comandante dell?Hartford
il licenziamento (non era successo così con gli ufficiali americani e i
piloti responsabili della strage del Cermis, 20 morti, febbraio 1998). Non
era mai successo e da quel giorno, alla Maddalena, nulla poteva essere più
come prima. Preoccupazione, allarme, angoscia. Crescente numero di tumori.
Scienziati divisi. Alla Maddalena, oggi più che mai, la presenza americana
è motivo di inquietudine. Il 5 gennaio, qualche mese dopo l?incidente all?Hartford,
Giulio Giudice, allora consigliere provinciale di Forza Italia, denuncia
pubblicamente di essere ammalato di tumore e chiede verifiche sulla base
Usa. Il 16 gennaio, il Criirad, un istituto di ricerca francese, e indipendente,
conferma i timori: i valori del Torio 234 sono fuori dalla norma, i campioni
sono stati raccolti nelle alghe dell?arcipelago subito dopo l?ammissione
dell?incidente al sottomarino. E? allarme rosso. La contestazione verso
il raddoppio della base americana di Santo Stefano, prima condotta per ragioni
politiche, ora è portata avanti anche con ragioni scientifiche. Il 2 febbraio
vengono pubblicati i dati del Registro Tumori della provincia di Sassari,
tra il 1993 e il 1997. Alla Maddalena i casi catalogati sono ben 283. Escalation
dei carcinomi della pelle: 58 (44 tra i maschi e 14 tra le femmine). Linfomi:
5 tra le donne e 12 tra gli uomini. Il 10 febbraio, viene istituito un registro
tumori dai medici generici e dai pediatri. Dai dati sui casi di patologia
tumorale registrati nel 2003, risulta che dei 78 nuovi casi che hanno colpito
persone di età superiore ai 65 anni, 46 hanno riguardato persone di sesso
maschile e 32 quelle di sesso femminile 32. Quarantadue casi (sesso femminile
18, sesso maschile 24) si sono registrati in età inferiore ai 65 anni. Trentasei
casi (sesso femminile 17, sesso maschile 19), di età inferiore ai 50 anni.
Il 3 marzo, il responsabile del reparto di ginecologia e ostetricia dell?ospedale
maddalenino Gaetano Giudice dà i numeri sulle malformazioni, dal 1975 (tre
anni dopo l?arrivo degli americani a Santo Stefano) fino ad arrivare al
2003. Effettuando una statistica divisa per decenni si è verificata questa
rilevazione: dal 1975 al 1984, ci sono stati un totale di 1449 parti per
un numero di malformazioni di 15: con una percentuale dell?1,03 per cento.
Mentre dal 1985 al 1994, nel secondo decennio, dunque, ci sono stati 1197
parti, per un totale di 13 malformazioni con una percentuale di 1,09 per
cento. L?ultimo decennio - che però si limita agli ultimi nove anni perché
parte dal 1995 ed arriva fino al 2003 - abbiamo avuto 825 parti con un totale
di 4 malformazioni e con una percentuale dello 0,40 per cento». Dati tranquillizzanti,
rispetto alla media nazionale, dice Gaetano Giudice.
 Infine, i dati, forniti dall?Apat, l?agenzia del ministero dell?Ambiente,
sul Torio alla Maddalena: c?è, è superiore alla media, ma non legato all?incidente,
bensì a cause naturali, spiegano i tecnici. (r.o)