news dalla sardegna dall'unione sarda edzione nazionale ed edizione Gallura del 11\3\2004



 giovane, calabrese, presenterà un ricorso al Tar per chiedere il
riconoscimento della causa di servizio
«Toccavo i proiettili a mani nude, mi sono ammalato di tumore»
Il dramma di un ex soldato impegnato a Teulada e Perdasdefogu nel '99


«Prendevamo i proiettili a mani nude. Era la cosa più normale del mondo,
durante le esercitazioni. Di protezioni, di manovre da compiere in sicurezza
non ho mai sentito parlare. I nostri superiori ci davano ordini soltanto
sulle operazioni belliche». Giornate a braccetto con l'uranio impoverito, l'
ombra delle radiazioni sulla pelle di chi a vent'anni parte al mondo come
soldato. Scommessa al buio, un po' per il fascino della divisa ma molto di
più per uno stipendio che fa futuro. Teulada e Perdasdefogu, nomi che dicono
poco o nulla a un ragazzo di Calabria pronto ad abbracciare l'Esercito pur
di sfuggire alla disoccupazione di casa sua. Ma quella Sardegna «bella,
solare e selvaggia, tanto simile alla mia terra» lascia una macchia
indelebile sulla vita di Fabio, 27 anni, ormai ex caporale, originario della
provincia di Catanzaro: un tumore ai testicoli e uno al polmone, «una
malattia misteriosa, come l'hanno definita i medici che mi hanno visitato».
Il calvario comincia nel 2000 e non è ancora finito. Chemioterapia,
interventi, la paura di non farcela, il senso di abbandono («Mi sono
ammalato quand'ero sotto le armi e sono stato scaricato»), neanche l'ombra
della causa di servizio: «L'Esercito si è ricordato di me solo in un'
occasione».
Quale?
Mi viene da ridere, per non piangere. Le autorità militari si sono degnate
di battere un colpo soltanto quando hanno decretato la mia morte. I miei
genitori hanno ricevuto un telegramma di condoglianze, con tanto di
riferimento all'uranio impoverito.
Un'ammissione in carta bollata.
Purtroppo non lo è. Io e mio padre abbiamo cercato di capire come possa
essere nato quel messaggio, peraltro privo di riferimenti precisi, ma
nessuno è stato in grado darci risposte. Come se il telegramma non fosse mai
partito.
Come è iniziata la storia del caporale calabrese finito nei poligoni
militari sardi?
Alla fine del '98 - avevo ventun anni - ho firmato per la cosiddetta ferma
breve. Tre anni nell'Esercito, uno stipendio sicuro e magari la voglia di
indossare la divisa per tutta la vita. Sono stato arruolato negli Alpini, ho
prestato servizio prima a Cassino e poi all'Aquila, fino al trasferimento in
Sardegna.
In quale periodo?
Sono arrivato tra la fine di ottobre e l'inizio di novembre del '99, non
ricordo la data precisa. Sono rimasto nell'isola per un mese e mezzo.
Dove?
La mia compagnia faceva la spola tra Teulada e Perdasdefogu, operavamo nei
poligoni di tiro. Diverse volte abbiamo simulato conflitti bellici.
Quali erano le sue mansioni?
Formalmente facevo l'autista, ma durante le esercitazioni mi occupavo un po'
di tutto. Soprattutto recuperavo i resti dei proiettili sparati.
In che modo?
Semplicissimo. Mani nude e olio di gomito. Lo facevo io, lo facevano
tantissimi miei commilitoni.
Quali erano le indicazioni dei vostri superiori?
Ci veniva soltanto detto di recuperare le munizioni sparate. Proiettili dei
mortai o dei carriarmati e a volte perfino i resti dei missili lanciati
dagli aerei. Di protezione neanche a parlarne, il problema non si poneva
proprio.
Mai sentito parlare dell'uranio impoverito?
A quel tempo assolutamente no. Soltanto dopo, quando si è saputo dei primi
casi simili al mio, mi sono reso conto che poteva esserci qualcosa di
strano, qualche connessione tra la radioattività e le malattie contratte
durante il servizio militare.
Alla fine del '99 lei ha lasciato la Sardegna.
Ero sempre in servizio, stavo benissimo. Ma subito dopo, nel gennaio del
2000, ho avuto un brutto incidente stradale. Mi sono fratturato il bacino e,
per verificare se avessi subito lesioni interne, i medici mi hanno
sottoposto a una serie di controlli approfonditi.
Risultato?
Stavo benissimo. A parte la frattura, non avevo nulla. Fino al giugno
successivo, quando mi sono comparsi strani dolori e ho scoperto di avere il
tumore a un testicolo.
E tutto è diventato nero.
L'evoluzione della malattia ha subito sorpreso i medici che hanno definito
il tumore molto strano, soprattutto perché è esploso in così breve tempo. Di
solito - mi hanno spiegato - c'è una fase iniziale in cui il tumore non dà
alcun sintomo. Così ho cominciato a fare alcuni collegamenti
Cioè?
Ho cominciato a pensare di essermi ammalato a causa dell'attività militare.
E l'Esercito cosa ha fatto?
Nulla. Sono stato messo in malattia. Punto e basta. Nessuno dei miei
superiori né altre autorità militari si sono mai interessati delle mie
condizioni di salute.
Che nel frattempo sono peggiorate.
Dopo il tumore al testicolo è spuntato quello al polmone. Ho fatto diversi
cicli di chemioterapia, sono stato operato a Milano.
Sullo sfondo sempre le stellette.
Solo sullo sfondo. Ho ricevuto la lettera con cui sono stato riformato per
malattia nel dicembre del 2001, appena tre giorni prima della scadenza della
mia ferma. Anche questa un'azione misteriosa. Perché un congedo così strano?
Poi è calato il silenzio. Tanti saluti e neanche un grazie.
Sono passati quasi due anni e mezzo.
Per fortuna sto meglio, il male non è peggiorato. Intravedo la luce alla
fine del tunnel. Tra un po' farò i controlli, speriamo bene.
Chi lavorava accanto a lei come sta?
Purtroppo non lo so. Ho tagliato tutti i ponti. L'amarezza per il
trattamento ricevuto mi ha spinto a mettere l'Esercito tra le cose da
dimenticare.
Con la divisa se n'è andato anche il lavoro.
Sono geometra, ora lavoro in un'impresa di costruzioni.
Manca un tassello.
Devo capire come e perché è nato il mio calvario, quello di tanti soldati. A
me tutto sommato è andata bene. Altri militari impegnati in attività simili
alle mie sono morti nel giro di pochi mesi. Perché nessuno paga, perché
nessuno si assume responsabilità?
Quale strada seguirà?
Sono pronto a ricorrere al Tar. Ho già la consulenza di un medico legale.
Nella sua relazione scrive esplicitamente che il tumore si è sviluppato nel
giro di due mesi, a causa dell'esposizione alle radiazioni.

Giulio Zasso



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Il ricercatore   Evitare le diagnosi affrettate»

«Se non vogliamo ostacolare la ricerca delle vere cause delle malattie che
colpiscono i militari evitiamo di assecondare risposte preconfezionate
seguendo l'onda emotiva suscitata da analisti troppo frettolosi». L'invito è
di Paolo Randaccio, del dipartimento di fisica dell'Università di Cagliari.
«Il convincimento dell'opinione pubblica che la causa delle malattie sia da
addebitare all'uso bellico dell'uranio è dannoso per i militari in servizio
e per i familiari dei ragazzi deceduti», afferma Randaccio riferendosi non
al caso del caporale calabrese ma in generale ai militari ammalati. «Primo
perché è verificabile che le radiazioni emesse dall'uranio impoverito
corrispondono a una piccola frazione delle radiazioni emesse dalle sorgenti
naturali, secondo perché si ostacola la ricerca delle vere cause delle
malattie. Per il bene dei ragazzi», sostiene il ricercatore, «dovremmo
pretendere un'attenta analisi delle cause, dalle vaccinazioni all'uso di
sostanza tossiche, per citarne alcune. Ma soprattutto», aggiunge, «dovremmo
evitare di assecondare risposte preconfezionate». Per Randaccio «se si
insegue un obiettivo sbagliato si corre il rischio di favorire l'
insabbiamento dell'indagine o di ritardare la soluzione del caso».


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il caso
L'odissea dei genitori di Valery


A 35 giorni dalla morte del figlio, i genitori di Valery Melis lottano
contro la burocrazia. Per avere i rimborsi delle spese mediche sostenute per
la cura del figlio, per ottenere il riconoscimento della causa di servizio o
la «larga elargizione» e l'equo indennizzo. E persino per poter ritirare il
liquido seminale - depositato dal figlio all'ospedale Microcitemico quando
aveva saputo che si sarebbe dovuto sottoporre alla chemioterapia, che spesso
rende sterili - che i sanitari che lavorano per l'Osservatorio delle vittime
militari vogliono analizzare per scoprire se ci sono tracce di uranio
impoverito già trovate nello sperma di un altro militare.
Anche ieri Marie Claude e Dante Melis hanno chiesto al Distretto e
consegnato al loro avvocato le cartelle cliniche del caporal maggiore morto
a causa di un linfoma di hodgkin contratto dopo due missioni in Macedonia e
Albania. Ed hanno consegnato la domanda per ritirare il liquido seminale la
cui consegna - hanno scoperto - deve essere autorizzata dalla procura della
Repubblica. «Giriamo per uffici, compiliamo moduli», racconta Marie Claude.
Ma per loro, che hanno perso un figlio, nessun favoritismo, niente corsie
preferenziali. In fila, come tutti gli altri.

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Accame: trattare le vittime come quelle di Nassirya


Una commissione d'inchiesta sui poligoni militari, risarcimenti in denaro
«pari a quelli riconosciute ai familiari delle vittime di Nassirya»,
chiarezza sugli effetti dell'uranio impoverito e sulla mancanza di
protezione dei militari italiani in missione di pace, pubblicizzazione dei
nomi dei soldati morti o ammalati. Nel giorno in cui alla Camera si discute
sul decreto che rifinanzia le missioni internazionali di pace, la denuncia
del militare calabrese ammalato di tumore dopo un periodo di servizio nel
poligono di Perdasdefogu riaccende il dibattito sulle malattie inspiegabili
dei militari che sono stati in missione all'estero o in Sardegna.
«Ormai le denunce si moltiplicano di giorno in giorno e testimoniano con
forza quanto sosteniamo da tempo: nei poligoni si svolgono continue
esercitazioni con uranio impoverito che causano vittime tra i militari e tra
i civili dei centri abitati circostanti», accusa il Verde Mauro Bulgarelli.
Che chiede «una commissione d'inchiesta al massimo livello che appuri in via
definitiva i rischi che l'attività dei poligoni arreca all'ambiente, ai
militari e ai cittadini». Edouard Ballaman, leghista, voce dissidente della
maggioranza, che da anni si batte per far conoscere i danni dell'uranio
impoverito, lancia un appello: «Facciamo qualcosa di concreto subito», dice,
invitando tutti i parlamentari «ad un atto di responsabilità nei confronti
degli oltre 260 militari ammalati e per rispetto nei confronti delle
famiglie delle vittime».
Chiarezza, appelli affinché i ragazzi non siano lasciati soli. Ogni
denuncia, se da un lato conferma un fenomeno grave e ancora circondato di
misteri, riporta all'attenzione pubblica i drammi di tanti militari. Pino
Sgobbio del Pdci, sostiene che «il mancato riconoscimento della causa di
servizio al giovane calabrese, caporale dell'esercito italiano, che si è
ammalato di tumore al testicolo ed al polmone dopo aver svolto esercitazioni
nei poligoni della Sardegna - dove, simulando conflitti bellici, senza
indossare nessun tipo di protezione, veniva impiegato, insieme ad altri,
anche nel recupero dei resti di proiettili sparati - ci mette di fronte all'
ennesima e brutta pagina di storia militare». Anche il parlamentare dei
Comunisti italiani chiede «uno strumento parlamentare utile a fare chiarezza
su questo come su tanti altri analoghi casi».
Intanto Falco Accame, presidente dell'Ana-Vafaf, l'associazione delle
vittime delle forze armate che negli ultimi anni ha denunciato decine di
casi di soldati ammalati, rivela che ci sono tanti militari e tante famiglie
che non rivelano le malattie «perché temono di essere accusate di farlo per
ragioni di denaro, come è stato fatto con i genitori di Valery Melis», e
accusa: «Diciamo no a vittime di serie A e di serie B. Il trattamento
riservato ai militari che si ammalano di tumore deve essere uguale a quello
riconosciuto alle vittime di Nassirya. Il motivo è semplice», chiarisce
Accame: «In entrambi i casi non si sono rispettate le norme sulla
protezione». Il problema, riconosce il presidente dell'Ana Vafaf, è il
riconoscimento delle cause di servizio, difficilissimo, come dimostrano il
caso del caporale calabrese a altri: «Mi rendo conto, ma se hanno
riconosciuto la causa di servizio a un militare che faceva le fotocopie, mi
auguro, se permette, che siano più equi anche con chi è stato a contatto con
l'uranio impoverito e ha contratto tumori».
Accame, inoltre, chiede al ministro della difesa di comunicare alla
commissione omonima l'elenco dei morti e degli infortunati, precisandone la
probabile causale. «In questo caso non ci sono segreti di stato da apporre e
non è ammissibile la clandestinità».


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Esercito, Marina e Aeronautica svolgono azioni operative continue nei
poligoni dell'Isola
In Sardegna il record di servitù militari

La Sardegna è la regione italiana col maggior carico di servitù militari. Le
aree addestrative di Capo Teulada, Perdasdefogu-Salto di Quirra, Capo
Frasca, alle quali va aggiunta la base aerea di Decimomannu, consentono l'
attività di tutte le forze armate italiane e alleate in condizioni che non è
possibile trovare in altre località con maggior densità abitativa.
Capo TeuladaSituato all' estremità più meridionale della Sardegna
occidentale, il centro di addestramento per unità corazzate (Cauc) è
affidato all' Esercito che col 1/o Reggimento Corazzato gestisce l'area che
dal punto di vista naturalistico è una delle più belle dell'isola. La
morfologia del territorio rende il poligono adatto a operazioni di tipo
aeronavale, rischieramento di truppe terrestri, operazioni anfibie e di
proiezione di forze corazzate. A Capo Teulada da più di 30 anni si svolgono
le più importanti esercitazioni della Nato. Le autorità militari hanno
sempre smentito che nell' area siano state utilizzate armi ad uranio
impoverito.
Perdasdefogu-Salto Di QuirraSituato in una vasta area della Sardegna
centro-orientale, tra le province di Nuoro e Cagliari, gravitante tra
Perdasdefogu, nell' interno, e il mare, il poligono ha rappresentato la
culla della missilistica italiana. L' area, che è gestita da un organismo
interforze Aeronautica, Esercito e Marina, è dedicata al collaudo di nuovi
sistemi d' arma. Apparati di telemetria e radar consentono anche di
monitorare l' attività dei velivoli delle forze aeree italiane e Nato che
periodicamente vengono rischierate a Decimomannu. L' area addestrativa
comprende una vastissima zona che si estende verso il mare, completamente
interdetta al volo e alla navigazione. Anche a Perdasdefogu, nonostante da
anni di parli di «sindrome di Quirra» per i numerosi casi di linfomi e altri
tumori che hanno colpito abitanti della zona e militari in servizio nel
poligono, il ministero della Difesa ha sempre negato l' uso di armi all'
uranio impoverito.
Capo Frasca, Poligono Acmi Il poligono di Capo Frasca è situato sull'
omonimo promontorio che chiude a sud il golfo di Oristano. Gestito dall'
Aeronautica, è dedicato al bombardamento al suolo e all' uso dei cannoni e
delle mitragliatrici di bordo che vengono usate su appositi bersagli.
L' area addestrativa si estende sul mare in un trapezio che partendo da nord
del golfo di Oristano scende sino a sotto la congiungente con Capo Teulada.
La zona, completamente interdetta al volo e alla navigazione, è destinata ai
combattimenti aria-aria dei velivoli rischierati a Decimomannu. Tutta l'
attività viene monitorata dal sistema Air combat maneuvering instrumentation
(Acmi).
Arcipelago La Maddalena Ai poligoni addestrativi presenti nell' isola, va
aggiunta la base appoggio per sottomarini a propulsione e armamento nucleare
della Marina degli Stati Uniti, sull' isola di Santo Stefano, nell'
arcipelago della Maddalena.

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La Maddalena.
Il centrodestra chiede controlli attendibili e corretta informazione

Mozione in Senato contro il rischio nucleare


«Il Governo deve garantire il costante monitoraggio sanitario e la doverosa
tutela ambientale dell'arcipelago di La Maddalena, dove è presente una base
strategica della Marina militare degli Stati Uniti». Parole del senatore
Pino Mulas, di An, primo firmatario di una mozione sottoscritta da tredici
senatori della Casa delle libertà, tra cui Mariano Delogu (An), Romano
Comincioli, Pasqualino Federici e Ignazio Manunza, forzisti, e Gianfranco
Tunis (Udc). «È anche necessario assicurare una corretta e completa
informazione sui controlli effettuati dalle autorità sanitarie su un
eventuale inquinamento nella zona», si legge nella mozione, che impegna il
Governo alla verifica degli accordi internazionali.
Devono anche essere mantenute la destinazione delle aree e delle strutture
già esistenti in quelle zone e i livelli di occupazione del personale civile
dell'arsenale militare. Inoltre, deve essere assunto l'impegno per una
costante ed esaustiva informazione dell'opinione pubblica sugli ultimi
controlli. L'intervento dei senatori sul caso La Maddalena rafforza le tesi
di chi vuole che il rischio nucleare sia realmente sotto controllo. In tal
senso si sono mossi alcuni cittadini di Palau, che hanno costituito un
comitato per vigilare sulla presenza della base appoggio Usa di Santo
Stefano. Una presenza che da 30 anni condiziona la pianificazione del
territorio.
All'incontro di Palau erano presenti anche rappresentanti di istituzioni
pubbliche e private che da tempo si battono per difendere l'ambiente e le
persone da possibili danni derivanti dal nucleare: «Si tratta di un
movimento trasversale, che tocca anche istituzioni politiche Ñ afferma Maria
Vittoria Roych, che si è mossa con molta determinazione per coordinare il
lavoro di aggregazione tra gruppi e singole persone Ñ e dimostra una
maggiore presa di coscienza dei cittadini. Un impegno morale a cui non
possiamo sottrarci». Sulla stessa linea anche Tina Nicoli, Franca Bruni e
Gianfranca Abeltino, che hanno portato avanti il progetto del Cocis palaese.
Ugualmente critico Gigi Angeli, geometra, libero professionista: «Quella
presenza non è il massimo per un territorio che vive di turismo. Gli
americani ci piacciono in camicia hawaiana e non in tuta mimetica». È stato
sollevato anche il problema delle scorie nucleari e di altri rifiuti nocivi
che, in virtù di una legge dalle maglie larghe, potrebbero arrivare in
Sardegna spacciati come materie prime da utilizzare in alcuni processi di
produzione. «Per questo motivo Ñ ha affermato Paola Buioni, responsabile del
Wwf Gallura Ñ è necessario completare la raccolta di firme per il referendum
contro la legge regionale del 2001, che consente l'immissione in Sardegna di
rifiuti provenienti dall'esterno. Il termine per firmare è il 15 marzo».

Piero Bardanzellu