La relazione Mandelli è da rifare



DALLA NUOVA  SARDEGNA  DEL 13\07\2002

"Gonfiato" il numero dei militari italiani inviati nei Balcani preso in esame dall'équipe nominata dal ministro della Difesa

p.m.



ROMA. Per il ministro della Difesa Antonio Martino è l'ennesima brutta figura. Per i vertici delle forze armate, invece, è qualcosa di più. E ancora una volta è l'uranio impoverito a creare imbarazzo e a confermare l'inquietante mancanza di trasparenza sugli effetti del "metallo del disonore" sui nostri militari, spediti in missione nei Balcani. La notizia, secca, è questa: le conclusioni della commissione presieduta dall'ematologo Franco Mandelli sono totalmente inattendibili, perché le valutazioni sono state fatte su dati non veritieri. In parole povere, lo studio ha un vizio di fondo. E cioè che i militari presi in esame dalla commissione medica sono 43mila, mentre i soldati italiani inviati nei Balcani sono stati solo 28mila. E' del tutto evidente chel'incidenza statistica di patologie come il linfoma di Hodgkin è stata enormemente superiore, rispetto a quanto è stato indicato da Mandelli e dalla sua équipe. Che pure avevano dovuto rinoscere un numero di casi di tumore del sistema emolinfatico molto superiore alla media. Ma in questa storia c'è anche una crudele ironia. Sì, perché il giallo sui numeri nasce dalle stesse forze armate. Il dato che sono stati 28mila i soldati italiani inviati nel Balcani è infatti contenuto nel Libro Bianco della Difesa. A questo punto è importante sapere chi ha fornito i dati "gonfiati" al professor Mandelli. Quei quindicimila soldati inesistenti hanno infatti fatto precipitare l'incidenza statistica. Anche se non sono riusciti a cancellare l'anomalia che la commissione nominata dal ministero della Difesa non è comunque riuscita a spiegare. Per Mandelli è l'ennesima Caporetto. La sua prima, rassicurante, relazione era stata demolita da un docente di Statistica dell'università di Torino: i calcoli erano completamente sbagliati. Ci fu allora una correzione e l'annuncio di un nuovo studio. Siamo dunque alla terza relazione che, pur ammettendo un'incidenza di tumori superiore alla media, conclude dicendo che non è possibile trovare un rapporto di causa-effetto tra uranio impoverito e linfomi e leucemie. Ora, infine, si scopre che anche la terza relazione Mandelli è da cestinare, perché fondata su dati completamente errati. E si ricomincia tutto daccapo. Certo, a questo punto, però tutto cambia. L'équipe dell'ematologo non potrà infatti ignorare che i casi di tumore dovranno essere parametrati su un numero di un terzo inferiore rispetto a quello preso finora in considerazione. Che diranno, a questo punto, i vertici militari? Sarà per loro molto difficile ignorare la terribile verità che i nostri giovani in divisa sono stati esposti ad agenti micidiali, capaci di provocare tumori. Continueranno a dire che la causa non è l'uranio impoverito? Va bene, ma allora, a questo punto, dovranno spiegare di cosa si tratta. Certo non potranno tirare fuori dal cilindro la storiella dell'arsenico, come è stato fatto per la "sindrome di Quirra". Perché non risulta che i Balcani siano pieni di miniere d'arsenico abbandonate. E dovranno anche spiegare perché è stato soprattutto il contingente italiano a essere colpito da terribili patologie come i linfomi e le leucemie. Intanto, l'ex presidente della Commissione Difesa della Camera, Falco Accame, mette il dito nella piaga e arriva subito a quello che sembra essere il vero nodo politico di questa tragedia. «Il problema - ha detto - è ora sapere chi ha fornito dati così diversi da quelli ufficialmente presentati nel Libro Bianco». E già. Perché il dato errato equivale a un inquinamento dei risultati. C'è stato dolo o solo superficialità? In entrambi i casi le responsabilità sono comunque gravissime. Ma Accame va anche oltre: «Per la verità, il numero di presenze da considerare è anche assai inferiore a quello di 28mila del Libro Bianco, perché il personale esposto ai rischi dell'uranio è soprattutto quello che è stato presente in Bosnia privo di protezione. Non si può infatti considerare personale a rischio quello in Albania e in Macedonia, perché lontanissimo dalle zone d'esplosione di armi all'uranio».