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intervento on.Elettra Deiana alla Camera (legge su commercio armi)
- Subject: intervento on.Elettra Deiana alla Camera (legge su commercio armi)
- From: "Forum delle Donne" <forumdonne.prc at rifondazione.it> (by way of Alessandro Marescotti <a.marescotti at peacelink.it>)
- Date: Wed, 03 Jul 2002 23:27:58 +0200
Resoconto stenografico dell'Assemblea Seduta n. 165 del 26/6/2002 Seguito della discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo quadro tra la Repubblica francese, la Repubblica federale di Germania, la Repubblica italiana, il Regno di Spagna, il Regno di Svezia e il Regno Unito della Gran Bretagna e dell'Irlanda del Nord relativo alle misure per facilitare la ristrutturazione e le attività dell'industria europea per la difesa, con allegato, fatto a Farnborough il 27 luglio 2000, nonché modifiche alla legge 9 luglio 1990, n. 185 (1927) (ore 9,45). ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, svolgo questa dichiarazione di voto a nome del mio gruppo partendo da una prima considerazione che, a mio avviso, è particolarmente importante. La discussione intorno a questo provvedimento va ben oltre il testo di legge che abbiamo preso in considerazione. Chiama in causa, infatti, con particolare forza ed emblematicità nodi di fondo della politica, questioni dirimenti come poche altre riescono ad esserlo. Stiamo parlando di produzione di armi, di mercato delle armi, di un mondo sempre più drammaticamente segnato dal ricorso alle armi e dal primato del settore militare. Si tratta di argomenti estremi che vanno affrontati e discussi per quello che sono, senza velami eufemistici. Stiamo parlando di un accordo sottoscritto da sei grandi paesi europei tra i quali, purtroppo, il nostro, che sono leader nel settore della produzione militare. A Farnborough, su iniziativa delle maggiori industrie di armamenti europee (lo ripeto: su iniziativa delle maggiori industrie di armamenti europee), per facilitare - così si dice - il processo di integrazione e di ristrutturazione del settore, i ministri della difesa di Francia, Germania, Gran Bretagna, Irlanda del Nord, Italia, Spagna e Svezia hanno firmato un accordo per la ristrutturazione dell'industria della difesa con l'intento (così si dice, con uno di quegli eufemismi che vanno di moda oggi quando si parla di armi e di guerra) di armonizzare le legislazioni nazionali ossia, fuori da ogni eufemismo, per rendere più agevole, incisiva e libera la produzione e la vendita delle armi e, dunque, per rendere più funzionali e addomesticate le legislazioni di ogni singolo paese. Stiamo parlando di ciò e per questo motivo giudichiamo negativamente il provvedimento in esame, non soltanto perché aggredisce e tenta di svuotare ulteriormente la legge n. 185 del 1990, ma perché ratifica un trattato che non doveva essere sottoscritto dal Governo italiano. Si tratta, infatti, di un trattato voluto dall'industria delle armi, fuori dai controlli e dal primato della politica. I sei paesi in questione sono titolari del 90 per cento dell'intera produzione europea degli armamenti convenzionali e la parte preponderante di quest'ultima è destinata ad arrivare nei paesi del sud del mondo. Al nord si producono armamenti e al sud si consumano armi, con una drammatica inversione del rapporto tra consumo e produzione per il resto delle produzioni. La crescente integrazione dell'industria militare, la nascita di coproduzioni, di società transnazionali e di joint venture favoriscono di per sé (lo ripeto: di per sé) la proliferazione orizzontale e rendono sempre più difficile quantificare e identificare la destinazione dei trasferimenti di parti e componenti che appartengono alle stesse società transnazionali. La licenza globale, che è il vero e proprio fulcro ispiratore e orientatore del trattato in questione, è un'emblematica testimonianza di questo processo di liberalizzazione del mercato delle armi e di svincolamento dello stesso dai controlli nazionali. Di questo si tratta e bisognerebbe parlarne in maniera molto più seria e responsabile; soprattutto, bisognerebbe parlare di ciò e non di altro, come si continua a fare. A tale proposito, vorrei svolgere alcune considerazioni. Le decisioni dei governi, ovviamente, non sono mai neutre: vi sono logiche, opzioni e pressioni che agiscono e determinano le scelte, spesso fino ad oltrepassare il vincolo dei vincoli, che nel nostro paese è rappresentato dalla legge fondamentale, ossia dalla Costituzione che in uno dei suoi articoli fondativi, l'articolo 11, è stata più volte violata. Intorno a questo provvedimento si è raccolta una critica forte e diffusa che viene dal mondo democratico e pacifista, quello stesso mondo che, con buona pace del presidente Ramponi, è estremamente sapiente dei guasti immani provocati nel mondo dai mercanti delle armi e dalle banche armate. Quel mondo fece irruzione con forza nel Parlamento nel 1990 obbligando il legislatore ad approvare la legge n. 185. A difendere quella legge sono ancora loro. Tuttavia, oggi altri soggetti hanno fatto irruzione nei parlamenti e sotto le finestre dei governi guidando governi e parlamenti nella scelta di arrivare al trattato di Farnborough: le lobby delle armi ed i loro interessi, che non sono ovviamente quelli della pace, ma neanche quelli della difesa dei paesi firmatari e dei confini europei. Sono semplicemente ed incontrovertibilmente quelli della guerra, del favorire, alimentare e mantenere la guerra nelle forme diffuse, infinite ed indefinite che essa oggi può avere in molte parti del mondo, soprattutto nel sud del mondo. I segnali sono, ogni giorno di più, inquietanti e devastanti. Vogliamo parlarne seriamente? La nuova guerra che si sta affermando non consiste più nella gestione violenta dei conflitti secondo quella forma di razionalità politica tragica, ma pur sempre razionalità politica, che ha dominato la vicenda degli Stati moderni fino a quasi tutto il ventesimo secolo. La nuova guerra consiste, invece, nell'instaurazione dei conflitti, nell'alimentarli, estenderli, foraggiarli, renderli patologici ed infiniti. La globalizzazione ha questo significato e ha questo strumento di controllo e potere da parte di questa parte del mondo contro l'altra parte del mondo. In questa nuova guerra l'abitudine alle armi e la normalità delle armi giocano un ruolo essenziale. PRESIDENTE. Onorevole Deiana... ELETTRA DEIANA. Il trattato di Farnborough è frutto di questo contesto e di questa logica ed è frutto - e mi affretto a concludere - di una drammatica rinuncia dei governi e dei Parlamenti europei a pensare all'Europa come spazio di civiltà giuridica, sviluppo sociale, volano di pace ed integrazione condivisa nel mondo e per il mondo, sistema, insomma, di diritto e dei diritti, la cosa più preziosa che dobbiamo rivendicare della nostra storia di europei. La difesa dell'Europa è stata più volte evocata in questo dibattito, ma qual è l'idea di difesa, quale ordine di concezioni, principi fondativi ed informativi, opzioni strategiche presiedono come elementi di indirizzo della difesa e, dunque, del ricorso all'uso delle armi? Il settore economico-industriale guida la formazione del pensiero politico e delle istituzioni europee in materia di difesa mentre si afferma nei fatti un'idea molto precisa di difesa che significa l'interventismo armato di cui abbiamo continue testimonianze. Si tratta di una politica di nuovo protezionismo del mondo, l'accettazione del paradigma della lotta al terrorismo e della guerra infinita ed indefinita per debellarlo. L'apparato industriale e militare degli Stati Uniti sta guidando oggi le danze di una guerra ancora una volta eufemisticamente denominata Enduring freedom. Abbiamo presentato e sostenuto tutti gli emendamenti in appoggio alla difesa della legge n. 185 del 1990. Oggi votiamo contro il provvedimento non perché non sia rispettoso dello spirito del trattato di Farnborough ed indebitamente introduca elementi di indebolimento della legge n. 185, ma perché combattiamo radicalmente in nome di un'altra Europa proprio quello spirito (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo). Forum delle donne di Rifondazione comunista Viale del Policlinico 131 - CAP 00161 - Roma Tel. 06/44182204 Fax 06/44239490
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