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(Fwd) export armi italiane
- Subject: (Fwd) export armi italiane
- From: "francesco iannuzzelli" <francesco at href.org>
- Date: Thu, 18 Apr 2002 00:29:06 +0100
- Organization: peacelink
- Priority: normal
------- Forwarded message follows ------- Date sent: Wed, 17 Apr 2002 19:11:05 +0200 From: lkocci at tiscali.it Subject: export armi italiane da Adista n.31 Luca Kocci lkocci at tiscali.it FUOCO A VOLONTÀ, O QUASI: "BENE" L'EXPORT ITALIANO DI ARMI 31325. ROMA-ADISTA. Forse era questo il boom di cui parlava Silvio Berlusconi in campagna elettorale: l'Italia nel 2001 ha esportato armi per 961 milioni di euro (0,78% in più rispetto al 2000). Sono cresciute anche il numero delle autorizzazioni all'esportazione, che sono passate dalle 522 del 2000 alle 638 del 2001. A chi vanno tutte queste armi? Principalmente alla Svezia, che è al primo posto tra i "clienti" dei sistemi di armamento italiani e assorbe il 15% della nostra produzione; poi c'è l'Arabia Saudita con il 13,8% (l'Arabia è il Paese di Osama Bin Laden e della sua famiglia), il Brasile con il 10,4%, la Malaysia con l'8,8% e il Cile con l'8,6. Ci sono anche molti altri Paesi del Sud del mondo tra gli estimatori delle armi nostrane: la Siria ne acquista per 13,5 milioni di euro, gli Emirati Arabi per 32,6 milioni. Sono i primi dati che emergono dalla lettura dell'annuale relazione presentata dal governo al Parlamento sul commercio delle armi. Tale relazione è prevista proprio da quella legge, la 185/90, che è in questi ultimi mesi a forte rischio di essere ridimensionata dal 'fuoco' incrociato, per niente 'amico', di maggioranza e opposizione (v. Adista nn. 13 e 21/02). Di questo pericolo, e della relazione sul commercio delle armi appena resa nota, si è parlato l'11 aprile, all'interno di una Tavola rotonda organizzata dalla Scuola di Politica Internazionale Cooperazione e Sviluppo (Spices), dal titolo: "Riforma della 185/90 e commercio delle armi: quali implicazioni per la cooperazione allo sviluppo italiana?". Introducendo i lavori Riccardo Bonacina, direttore del gruppo "Vita", ha rilevato il successo della mobilitazione attivata on-line dal suo settimanale a difesa della 185: "una campagna - ha detto - che ha già raccolto 10 mila adesioni sul nostro sito internet". Una analisi approfondita sulle ragioni anche internazionali che mettono in pericolo la sopravvivenza della 185 è stata invece condotta da Francesco Terreri, ricercatore dell'Oscar (Osservatorio sul Commercio delle armi): "Negli ultimi trenta anni lo scambio internazionale di armamenti, che è comunque un fenomeno divenuto rilevante solo a partire dall'ultimo dopoguerra, ha avuto un boom violentissimo", ha detto Terreri. "Se intorno agli anni '90 - ha aggiunto - la spesa militare a livello mondiale era diminuita da 1,2 miliardi di dollari fino a circa 700 milioni, l'effetto di tale diminuzione era dovuto in gran parte al crollo militare e politico dei Paesi ex comunisti. Tuttavia qualche segnale lo si poteva rilevare anche in altre parti del mondo. Ma non nei Paesi del Sud del mondo, in cui, con la sola eccezione dell'America Latina, la spesa militare non è mai diminuita. E comunque alla fine del passato millennio la spesa militare mondiale ha ricominciato a salire". Per Terrieri è perciò chiaro che, all'interno di un settore nuovamente in espansione, l'Italia voglia togliere di mezzo una legge che mette, seppure assai parzialmente, i 'bastoni tra le ruote' ai mercanti di armi. D'altra parte, secondo Terreri, è sempre più difficile individuare con esattezza quale sia il giro di affari sottostante a questo enorme business. I dati forniti nel corso dell'incontro, in gran parte provenienti dal Sipri (Istituto Internazionale di Ricerca sulla Pace di Stoccolma), sono sempre approssimati per difetto, poiché sono molti gli armamenti che sfuggono ad ogni tentativo di censimento. E non solo per colpa del contrabbando. Terreri fa un esempio: "la Siria nel '98 ha fatto una commessa all'Italia: voleva che un'impresa controllata da Finmeccanica si occupasse della revisione dei sistemi di tiro dei propri carriarmati. Il nostro Paese ha così venduto sistemi opto-elettronici e assistenza tecnica e informatica per circa 200miliardi di euro". Questi sistemi, non essendo propriamente delle armi, non li troveremo mai conteggiati nelle statistiche sul commercio degli armamenti. Al di là di tutto, la 185 a qualcosa è indubbiamente servita, vista anche la volontà politica di ridurla all'impotenza. Lo sottolinea Tonio Dell'Olio, coordinatore nazionale di Pax Christi, che aggiunge: "l'Italia è passata dal quarto al nono posto nella classifica dell'export di armi nel mondo". "Negli ultimi 57 anni - ricorda Dell'Olio - l'Italia ha partecipato a quattro conflitti: la II guerra mondiale, la guerra in Iraq, quella in Kosovo e quella in Afghanistan. Gli ultimi tre conflitti sono avvenuti nei soli ultimi 11 anni, e sono stati combattuti all'estero. Questo deve far riflettere su come il nuovo modello di difesa che si sta imponendo anche nel nostro Paese preveda un riassetto delle Forze Armate tale per cui esse non siano più chiamate a difendere solo 'i sacri confini' della patria, ma ad intervenire dovunque siano in crisi gli interessi del nostro Paese, prioritariamente quelli economici. Ritorna così in Italia una forte cultura di guerra, nonostante lo spirito e la lettera dell'art. 11 della nostra Costituzione". Luciano Scalettari, di "Famiglia cristiana", ha poi sottolineato l'enorme rilevanza del mercato clandestino delle armi, accanto a quello ufficiale. A partire da questa considerazione Scalettari ha rilevato come questo sistema economico da una parte necessiti di regioni stabili, pacificate, per potersi espandere liberamente, ma dall'altra, in una sola apparente contraddizione, spesso "vuole, però, che ci sia anche un campo di instabilità, in cui ci siano conflitti, la maggior parte a bassa intensità. I canali di traffico clandestini hanno bisogno di aree di conflitto per rimanere agibili". Nonché l'assenza delle regole come regola, come condizione per potere agire indisturbati. ------- End of forwarded message -------
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