commercio armi: scheda sulla 185/90



Tutte le domande e le risposte sul perché bisogna difendere la legge 185/90
Fonte: Vita

Che cosa è la legge 185/90?
E' la normativa italiana che dal 1990 regola il commercio delle armi e che:
1) consente al Parlamento un controllo sul commercio di armi che coinvolge l'Italia, sia per quantità che per tipo di armi;
2) vieta l'esportazione di armi verso nazioni in guerra;
3) vieta l'esportazione di armi verso nazioni che violano i diritti umani;
4) blocca le "triangolazioni" di materiale bellico che hanno tristemente reso nota l'Italia prima del 1990.
Da chi fu richiesta tale legge?
Tale legge fu richiesta dalla Campagna "Contro i mercanti di morte" promossa da molte associazioni, tra cui ACLI, MLAL, Mani Tese, Missione Oggi e Pax Christi.
Prima della legge cosa avveniva?
L'Italia, prima dell'entrata in vigore della legge 185/90, ha venduto armi a nazioni in guerra e in zone di crisi per i diritti umani, favorendo oggettivamente guerre pluriennali (come la guerra fra Iran e Irak) e armando personaggi come Saddam Hussein o Gheddafi.
Chi è che vuole modificare l'attuale legge?
Vi è stato un accordo trasversale fra Previti (FI), Minniti (DS) e Mattarella (Margherita). Tale accordo fa seguito ad una pressione sempre più forte delle aziende belliche per uno snellimento delle procedure, che però significa meno sicurezza e nessun tempestivo controllo parlamentare.
In che modo verrebbe cambiata l'attuale legge 185/90?
Mediante il disegno di legge 1927 si vuole imporre il "tempestivo adeguamento della nostra normativa": 10 dei 14 articoli che compongono il testo proposto sono volti a modificare la legge 185/90. Il disegno di legge prevede la ratifica dell'accordo quadro sottoscritto dall'Italia e da altri cinque Paesi europei il 27 luglio 2000 per "facilitare la ristrutturazione e le attività dell'industria europea per la difesa" ed è stato già licenziato dalle Commissioni III e IV della Camera dei Deputati in data 30 gennaio 2002.
Cosa sono le coproduzioni?
La disciplina delle coproduzioni è uno dei cambiamenti più preoccupanti tra quelli in atto a livello europeo sotto l'aspetto del controllo delle esportazioni di armi. Nelle coproduzioni tra industrie armiere si applica, di norma la legge nazionale dello Stato dove è completata la produzione dell'arma.
Ciò ha diverse implicazioni: prima di tutto permette di sfuggire ai divieti e ai criteri imposti dalla l. 185/90 poichè si applicherebbero le meno rigorose leggi degli altri partners UE e NATO.
Ancora più preoccupante poi è il caso i cui si consegnano armi e tecnologia a Stati Membri che danno poche garanzie sul rispetto dei diritti umani (ad esempio la Turchia) e che potrebbero riesportare la coproduzione a Paesi che violano i diritti dell'uomo o in stato di conflitto o in qualunque modo “a rischio” (non si applicherebbero ad esempio i divieti previsti dall'art. 1 della l.185/90).
Infine tale modifica potrebbe dare adito a trasferimenti di armi “quasi finite” solo per eludere la legge.
Sono più di 20 i programmi di coproduzione in atto che coinvolgono l'Italia e godono di snellimenti procedurali attraverso atti sublegislativi (con circolari del Ministero delle Finanze!). Alcuni sono già stati sottratti ai controlli della legge.
Quali sono i divieti di esportazione di armamenti espressi nell'art. 1, comma 6:
verso Paesi in stato di conflitto armato e in contrasto con i principi dell'art. 51 della Carta delle Nazioni Unite, che vieta l'uso della forza armata;
verso Paesi la cui politica contrasti con l'art. 11 della Costituzione, quindi, verso gli Stati che si dimostrino propensi a mettere in atto aggressioni;
verso i Paesi nei cui confronti sia dichiarato un embargo dalle Nazioni Unite;
verso Paesi i cui governi siano responsabili di accertate violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti dell'uomo;
a Stati che, ricevendo aiuti dall'Italia, destinino al bilancio militare risorse eccedenti rispetto alle esigenze di difesa del Paese.
Ma siete contrari al processo di integrazione Europea che vuole promuovere il DDL 1927 del Governo?
Ma questo non deve comportare che il nostro Paese, che ha una delle legislazioni più avanzate, si adatti al principio del minimo comune denominatore. Anzi dovrebbe svolgere un ruolo guida, per innalzare gli standard più bassi di altri Stati. Così come è stato ad esempio per la legge che ha messo al bando le mine antipersona.
Esistono, poi, già delle procedure semplificate previste dalla legge (art. 9) per i trasferimenti verso Paesi dell'UE e della Nato.
Perché l'Italia dovrebbe avere regole sul commercio di armi più restrittive degli altri Paesi e in particolare degli altri partners europei?
La legge italiana rappresenta un modello nel panorama internazionale, ma l'Italia non ha le regole più restrittive di tutti gli altri Paesi. Ad esempio gli Stati Uniti, il primo esportatore mondiale, e la Germania hanno già introdotto dei controlli sulle attività dei mediatori di armi.
Non stiamo chiedendo la fine di tutte le esportazioni italiane di armi, ma che il Governo mantenga controlli più rigidi per assicurare che l'Italia non contribuisca al “commercio della repressione”.
Se non vendiamo noi le armi lo farà sicuramente qualcun altro?
Se questo argomento è valido per altri beni di esportazione, è assolutamente inconsistente e demagogico per quel che concerne il commercio di armi.
Si riconosce che, per quanto ci siano in Italia controlli piuttosto rigidi, c'è sempre la possibilità che qualcun altro sia pronto a vendere le armi a chiunque lo paghi.
Ma la nostra attenzione per i controlli adottati in Italia è parte di un movimento a livello internazionale: azioni simili sono stata intraprese in Inghilterra, in Francia, in Spagna, in USA.
Inoltre, in Italia il Governo non dà neppure informazioni al Parlamento sulle armi leggere e la maggior parte di queste sfuggono ai controlli.
Una maggiore trasparenza sui trasferimenti di armi potrebbe danneggiare l'industria militare italiana che si appella alla "riservatezza commerciale"?
Uno degli argomenti che usa il Governo per non fornire informazioni sui trasferimenti di armi è che se le industrie di altri Paesi entrassero in possesso di queste informazioni, si potrebbe compromettere la competizione tra le imprese. In primo luogo non è mai giustificata una protezione assoluta dell'impresa se come conseguenza vi sia una maggiore possibilità che vengano violati i diritti umani nel mondo. Noi vogliamo sapere il nome dell'Industria che esporta, il tipo di arma, il valore dell'esportazione e qual è il Paese acquirente.
Le industrie militari hanno già facilmente accesso ad informazioni molto più dettagliate di quelle che richiediamo noi.