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DOCUMENTO TAVOLO MIGRANTI
Cari amici,
invio la versione italiana, francese e inglese del documento preparatorio
dell'Assemblea europea dei migranti che sisvolgerà durante il Forum Sociale
Europeo, elaborato dal Tavolo migranti. Vi invito a farlo circolare.
Per ciò che riguarda lo schema preparato da Sergio: mi scuso per non averci
potuto ancora lavorare, mi impegno a farlo in questo week-end.
Cordiali saluti
Grazia Naletto
Forum Sociale Europeo
Assemblea europea dei migranti
Firenze, Fortezza da Basso, 8 novembre 2002 h. 18.00-20.30
Documento preparatorio del Tavolo migranti dei Social Forum Italiani
In Italia, come in molti altri paesi europei, come in Australia e negli
Stati Uniti, i governi hanno assunto ormai da tempo come priorità la
predisposizione, l'affinamento e l'armonizzazione di politiche nazionali e
regionali di chiusura delle frontiere e di lotta alla "immigrazione
clandestina".
Il superamento del modello "fordista" di produzione, la riduzione
dell'offerta di lavoro nel settore industriale tradizionale, il
rallentamento dei processi di crescita delle principali economie, il
conseguente aumento della disoccupazione all'interno degli stessi paesi del
cosiddetto Primo mondo spingono gli Stati economicamente più forti a
controllare e limitare la circolazione di lavoratori. Oltre a queste
ragioni strutturali, va considerata la tendenza ormai consolidata nella
gran parte dei paesi europei a fare un uso politico e ideologico del tema
del controllo e della limitazione dell'immigrazione: i topoi razzisti
dell' "invasione", degli immigrati come fonte di insicurezza per i
nazionali, della "clandestinità" come sinonimo di criminalità sono
abitualmente adoperati come "moneta" da spendere sul mercato elettorale,
utilizzata a piene mani dai partiti di destra, ma contesa anche da partiti
di sinistra.
Tutto ciò avviene mentre nei tanti Sud ed Est del mondo il processo di
globalizzazione ha favorito e continua a determinare la crisi e
l'indebolimento delle economie locali, l'aumento dei tassi di povertà, con
la conseguente moltiplicazione dei cosiddetti effetti di "spinta" alle
migrazioni, nonché con l'aumento del numero dei paesi di emigrazione. Non
solo. Al tempo stesso, i movimenti migratori degli ultimi anni mostrano un
grado crescente di relativa autonomia, configurandosi spesso come una vera
e propria strategia di organizzazione "dal basso", in una dimensione
"transnazionale", della riproduzione sociale di ampi settori "subalterni"
in paesi che il comando capitalistico continua a confinare alla periferia
del sistema globale.
La contraddizione esistente tra il carattere strutturale del fenomeno
migratorio (prodotto proprio dall'attuale modello di sviluppo) e le
politiche di chiusura adottate dai governi dei paesi più ricchi è
accentuata dal processo di segmentazione della domanda di lavoro: anche in
presenza di disoccupazione, permane nei paesi "ricchi" del pianeta uno
squilibrio tra domanda e offerta di lavoro locale soprattutto nelle fasce
più instabili, precarie e a bassa qualificazione del mercato del lavoro. In
Malesia, in Europa, in Argentina come negli Stati Uniti, i migranti sono
prevalentemente chiamati ad occupare l'area di quella che in modo elegante
viene definita "economia informale", ma che molto spesso coincide con il
mondo del lavoro nero o tutt'al più precario, caratterizzato dall'assenza
di una formalizzazione del rapporto di lavoro e delle "garanzie" che ne
derivano. E' proprio per queste ragioni che, dal punto di vista della
globalizzazione capitalistica, non vi è contraddizione tra l'adozione di
politiche di chiusura all'immigrazione e la persistenza di una domanda di
lavoro non soddisfatta dall'offerta interna. Le politiche di chiusura delle
frontiere, la restrizione dei canali di ingresso regolare, la
precarizzazione della condizione giuridica degli stranieri attraverso
l'irrigidimento delle norme sul soggiorno, il mancato riconoscimento dei
diritti di cittadinanza, sono funzionali all'utilizzo dei migranti come
manodopera a basso costo, altamente ricattabile e dunque più "flessibile" e
facilmente "espellibile". Presentate come lo strumento principale per
combattere l'immigrazione irregolare, le politiche anti-immigrazione dei
governi mondiali non fanno altro che alimentarla.
Occorre dunque prendere atto che le migrazioni internazionali hanno assunto
un carattere strutturale e sono parte integrante dell'attuale modello di
sviluppo economico e allo stesso tempo ribadire che è sbagliato parlare di
una loro esplosione. I governi del mondo ne sono ben consapevoli ma hanno
tutto l'interesse ad adottare politiche restrittive perché vogliono
mantenere la libertà di assorbire o espellere manodopera straniera a basso
costo e ciò è più facile impedendo agli immigrati di entrare legalmente sul
proprio territorio e negando loro uno status giuridico certo. L'illegalità
costringe i migranti ad accettare qualsiasi lavoro, a qualsiasi condizione,
permette di escluderli dai sistemi di protezione sociale e di negare
politiche di integrazione.
Le politiche migratorie a livello globale sono dunque caratterizzate da una
limitazione (totale o parziale) delle migrazioni economiche legali, dalla
moltiplicazione delle cause di respingimento alla frontiera e di
espulsione, dalla negazione sostanziale del diritto di asilo riconosciuto
dalla Convenzione di Ginevra del 1951, dalla concentrazione di risorse
pubbliche nel rafforzamento delle forze di polizia alle frontiere, dalla
carenza di politiche pubbliche di accoglienza e di integrazione e dallo
smantellamento di quelle esistenti, dalla costruzione di quelli che in
Italia si chiamano centri di permanenza temporanea, ma in Australia e in
Gran Bretagna sono più esplicitamente definiti "centri di detenzione": veri
e propri campi, in cui vengono detenuti immigrati, ma anche richiedenti
asilo, che non hanno commesso nessun reato ma hanno l'unica "colpa" di non
avere il permesso di soggiorno.
Le politiche europee
L'impegno a "comunitarizzare" le politiche in materia di immigrazione e
asilo nell'arco di cinque anni risale all'entrata in vigore del Trattato di
Amsterdam (maggio 1999). Ma l'unico versante su cui i governi dell'Unione
Europea sembrano agire in sintonia, sia a livello politico che tecnico, e
ancora prima di una effettiva armonizzazione delle politiche a livello
formale, è quello delle politiche di ammissione e di "lotta
all'immigrazione illegale".
Da Tampere a Siviglia questa è stata, senza soluzione di continuità,
l'ossessione dell'Europa, secondo un approccio che non coglie (o non vuole
cogliere) il nesso esistente tra le politiche migratorie e lo squilibrio
crescente, prodotto dal processo di globalizzazione, tra i Nord e i Sud del
mondo e che, soprattutto, sceglie di subordinare i diritti umani
fondamentali delle persone alle esigenze del mercato del lavoro e agli
interessi economici.
Sebbene siano state presentate diverse proposte di direttiva in materia di
integrazione dei migranti e di asilo, le sole misure adottate in via
definitiva sono quelle destinate a rafforzare la Fortezza Europa e ad
attuare le politiche repressive, presentate in modo pretestuoso come il
principale strumento di lotta all'immigrazione illegale e di gestione delle
migrazioni.
Come appare del tutto evidente, in questo contesto, la garanzia dei diritti
di cittadinanza degli stranieri, anche di quelli regolarmente presenti sul
suo territorio, costituisce l'ultima delle preoccupazioni dell'Europa. La
cittadinanza europea, proposta nella Carta europea dei diritti è una
cittadinanza escludente, riconosciuta solo ai cittadini autoctoni. I
milioni di migranti che risiedono in Europa stabilmente e contribuiscono
alla sua ricchezza economica e culturale sono destinati a rimanere privi di
diritti: tutt'al più, in alcuni paesi, beneficiano della "concessione" del
godimento, limitato e condizionato, di alcuni diritti civili e sociali.
Il ruolo dei movimenti
Il movimento dei migranti italiano ha saputo intrecciare nell'ultimo anno
la protesta contro la logica segregazionista del governo Berlusconi, che
propone l'apartheid giuridico, sociale, civile e politico dei migranti, con
il no ad ogni tipo di guerra; il rifiuto della riduzione dei migranti a
merce-lavoro con la difesa dei diritti dei lavoratori italiani e stranieri
facendo propria la battaglia per la difesa dell'articolo 18 dello Statuto
dei lavoratori; la lotta contro la globalizzazione neoliberista e la
richiesta della libera circolazione delle persone; la rivendicazione di un
sistema diverso di ripartizione delle ricchezze del pianeta con la difesa
dei diritti umani fondamentali.
Proprio la capacità di contestualizzare il tema dei diritti di cittadinanza
e dei diritti dei migranti nel quadro del movimento contro la
globalizzazione capitalistica costituisce la novità più rilevante: il tema
delle migrazioni è finalmente assunto dal movimento come una questione
trasversale, connessa ai processi di ristrutturazione e destrutturazione
del mercato del lavoro e alle politiche di abbattimento del welfare.
Il Forum Sociale Europeo consente oggi di compiere un ulteriore e ormai
improrogabile salto di qualità: la costruzione di un movimento europeo dei
migranti e per i diritti dei migranti, capace di contrapporre all'Europa
escludente dei governi un'Europa alternativa aperta, pluriculturale,
"meticcia" fondata su principi radicalmente diversi, quali ad esempio:
- la garanzia del diritto a migrare e a entrare in Europa;
- la libera circolazione per tutti, compresi i cittadini di "paesi terzi";
- la regolarizzazione a regime di tutti i sans-papiers
- l'idea di una cittadinanza inclusiva, non solo formale, ma civile e
sociale capace di garantire a tutti coloro che risiedono stabilmente in un
determinato territorio pieni diritti politici, sociali, civili;
- la garanzia di uguali diritti per tutti i lavoratori e l'introduzione di
misure che tutelino dallo sfruttamento i lavoratori stranieri, compresi
quelli precari e senza contratto di lavoro;
- la garanzia piena del diritto di asilo.
La nostra discussione a Firenze dovrebbe a nostro avviso concentrarsi in
particolare, dal punto di vista analitico su tre grandi temi: in primo
luogo sul nuovo regime di frontiera che si è andato affermando in Europa
nell'ultimo decennio, di cui dovranno essere indagate le ripercussioni sia
verso l'esterno (il cosiddetto effetto domino, attraverso il quale esso si
irradia verso est e verso sud, coinvolgendo in primo luogo i paesi
candidati a entrare nell'Unione europea) sia verso l'interno
(proliferazione dei centri di detenzione, sistemi di espulsione, ma anche
tendenza a introdurre stratificazioni gerarchiche all'interno della
cittadinanza nei singoli paesi europei); in secondo luogo sui movimenti dei
migranti e per i diritti dei migranti che si esprimono in Europa, di cui si
dovranno censire le caratteristiche, lo spettro d'azione e le forme di
mobilitazione; infine sul lavoro migrante, di cui riteniamo dovranno essere
discusse sia la rilevanza crescente all'interno della composizione della
forza lavoro europea sia le esperienze di mobilitazione e di lotta che
cominciano ad accumularsi, dalla Spagna all'Italia.
Proponiamo a coloro che parteciperanno all'assemblea di Firenze di
ragionare insieme intorno alla necessità di costruire un movimento europeo
per i diritti dei migranti che veda nel prossimo anno la promozione di
iniziative, mobilitazioni e campagne comuni: non una nuova rete,
formalmente organizzata, ma prima di tutto un canale reale di comunicazione
politica, di circolazione dei saperi, delle esperienze e delle lotte. Per
parte nostra, indichiamo tre punti fondamentali attorno a cui il movimento
dovrebbe esprimersi in Europa:
Il diritto a migrare
Nessuna ragione economica, politica o sociale può giustificare la
privazione della libertà di emigrare, diritto riconosciuto a tutti gli
uomini e le donne dall'art. 13 e 14 della Dichiarazione Universale dei
Diritti dell'Uomo. Una campagna che mettesse all'ordine del giorno
l'introduzione di meccanismi di regolarizzazione permanente per coloro che
riescono a costruire percorsi di integrazione lavorativa e sociale
ribalterebbe l'ordine di priorità dell'agenda europea: i diritti dei
migranti non possono essere subordinati agli interessi dei datori di
lavoro, le politiche di ingresso contingentate e la militarizzazione delle
frontiere alimentano il traffico di esseri umani, l'immigrazione irregolare
e il lavoro nero, anziché combatterli.
No detention
I centri di detenzione sono il simbolo della politica neoliberista di
criminalizzazione dei migranti: a Woomera (Australia) come a Sangatte
(Francia), a Ponte Galeria come a Malaga, a Manchester come a Zurigo sono
luoghi di sospensione del diritto e uno dei principali strumenti di
attuazione delle politiche repressive nei confronti dei migranti. Donne e
uomini vengono trattenuti per mesi in vere e proprie prigioni, difese da
militari armati e da reti di filo spinato, con la sola colpa di aver osato
cercare una vita migliore. Proponiamo di lanciare a livello europeo una
campagna per la loro chiusura e per bloccare la costruzione di nuove
strutture (a Torino, il 30 novembre 2002 si svolgerà una manifestazione
proprio contro uno di questi centri).
Il diritto di asilo
Dalla guerra del Golfo in poi i governi mondiali hanno scelto di
rilegittimare l'uso della guerra come strumento di risoluzione delle
controversie internazionali, con l'intervento in Kossovo hanno inventato la
"guerra umanitaria", dopo l'attacco dell'11 settembre hanno trovato nella
"guerra al terrorismo" un escamotage per giustificare una volta per tutte
l'uso indiscriminato delle armi contro le popolazioni civili con la
cosiddetta "guerra preventiva". Ma i profughi e i richiedenti asilo, che in
buona parte, di quelle e di molte altre guerre sono la diretta conseguenza,
vedono negato ogni giorno il diritto di asilo. Proponiamo il lancio di una
campagna europea per l'effettiva garanzia del diritto di asilo a qualsiasi
persona perseguitata per motivi politici, anche da soggetti non statali e
per chiedere all'Unione Europea l'adozione in tempi brevi di direttive che
vincolino gli stati membri ad uniformare, al livello più alto, i propri
sistemi di accoglienza e le politiche di integrazione dei richiedenti asilo
e dei rifugiati.
Invitiamo tutte le organizzazioni e i movimenti europei interessati a
partecipare all'Assemblea di Firenze che si svolgerà l'8 novembre (dalle 18
alle 21) all'interno della Fortezza da Basso, a inviarci i loro contributi.
In una riunione preparatoria, che si svolgerà il 7 novembre presso la sede
dell'Arci, piazza dei Ciompi 11 alle ore 12.00, ci ritroveremo per
conoscerci e organizzeremo insieme questo appuntamento. Riteniamo intanto
utile che comincino a circolare testi e documenti, sia nella forma di
commenti e critiche alla nostra proposta sia nella forma di sintetiche
schede informative sulle singole situazioni "locali".
Forum Social Européen
Assemblée européenne des migrants
Florence, Fortezza da Basso, 8 novembre 2002 18.00-20.30 h
Document préparatoire de la Table migrants des Forums Sociaux Italiens
En Italie, ainsi que dans la plupart des pays européens, mais aussi en
Australie comme dans les Etats-Unis, les gouvernements ont depuis longtemps
pris la même direction: le perfectionnement et l'harmonisation des
politiques nationales et régionales de fermeture des frontières et la lutte
contre "l'immigration clandestine".
Le dépassement du modèle "fordiste" de production, la réduction de l'offre
d'emplois dans le secteur industriel traditionnel, le rallentissement des
processus de croissance des principales économies, l'augmentation
conséquente du chomage au sein des pays du Premier monde poussent les Etats
économiquement plus puissants à contrôler et à limiter la circulation des
travailleurs.
Outre ces raisons structurelles, il faut considérer la tendance désormais
consolidée dans la plupart des pays européens à faire un usage politique et
idéologique du thème du contrôle et de la limitation de l'immigration: les
topoi racistes de "l'invasion", des immigrés considérés comme source
d'insécurité pour les nationaux, de la "clandestinité" comme synonime de
criminalité sont fortement utilisés par les partis de droite sur le marché
électoral, mais également par certains partis de gauche.
Tout cela a lieu tandis que dans les nombreux Sud et Est du monde le
processus de globalisation a favorisé et continue à déterminer la crise et
l'affaiblissement des économies locales, l'augmentation des taux de
pauvreté, et la conséquente "poussée" des migrations ainsi que
l'augmentation du nombre des pays d'où partent les migrants. En même temps,
les mouvements migratoires de ces dernières années montrent un niveau
croissant d'autonomie, et révèlent une véritable stratégie d'organisation à
partir "du bas", dans une dimension "transnationale", de la reproduction
sociale de nombreux secteurs "subalternes" dans des pays qui restent
relégués dans la grande banlieue du système global.
La contradiction existante entre le caractère structurel du phénomène
migratoire (produit par le modèle actuel de developpement) et les
politiques de fermeture adoptées par les gouvernements des pays plus riches
est accentuée par le processus de segmentation de la demande d'emploi: la
présence du chomage dans les pays riches n'évite pas le déséquilibre entre
la demande et l'offre sur la marché du travail local, surtout pour les
emplois plus instables, précaires et sans qualification. En Malaisie, en
Europe, en Argentine comme dans les Etats-Unis, les migrants sont appelés
surtout à occuper le secteur que l'on définit de façon élégante "économie
informelle", mais qui souvent correspond au monde du travail au noir ou
précaire, c'est à dire sans garanties. C'est pour ces raisons que, du point
de vue de la globalisation capitaliste, il n'y a pas de contradictions
entre l'adoption de politiques de fermeture face à l'immigration et la
persistance d'une demande d'emplois insatisfaite par l'offre interne. Les
politiques de fermeture des frontières, la restriction des possibilités
d'entrée régulière, la précarisation de la condition juridique des
étrangers par le biais du durcissement des normes sur le séjour, l'absence
de reconnaissance des droits de citoyenneté sont fonctionnels à
l'utilisation des migrants comme main-d'oeuvre à bas prix, fortement
"flexible" et que l'on peut facilement expulser. Ainsi les politiques
anti-immigration présentées par les gouvernements mondiaux comme étant
l'instrument principal contre l'immigration illégale ne font en réalité que
l'alimenter.
Il faut donc prendre acte que les migrations internationales ont assumé un
caractère structurel et sont partie intégrante du modèle actuel de
développement économique et que ce phénomène n'est pas en train d'exploser.
Les gouvernements du monde en sont tout à fait conscients mais leur intérêt
est celui d'adopter des politiques restrictives pour maintenir la liberté
d'absorber ou d'expulser une main-d'oeuvre étrangère à bas prix, privée de
ses droits. L'illégalité oblige les migrants à accepter n'importe quel
emploi, à n'importe quelles conditions et permet de les exclure des
systèmes de protection sociale et de nier toute politique d'intégration.
Au niveau global les politiques migratoires sont donc caractérisées par une
limitation (totale ou partielle) des migrations économiques légales, par
une multiplication des causes de refoulement à la frontière et de
successive expulsion, par la négation du droit d'asile reconnu par la
Convention de Genève de 1951, par la concentration des ressources publiques
pour le renforcement des contrôles au frontière, par le manque de
politiques publiques d'accueil et d'intégration et le démantellement de
celles existantes, par la construction en Italie de centres de permanence
temporaire, que l'on définit en Australie et en Grande Bretagne de façon
plus explicite "centres de détention": de véritables camps dans lesquels
les immigrés y sont détenus, y compris les demandeurs d'asile, sans avoir
commis aucun délit mais "coupables" de pas avoir de permis de séjour.
Les politiques européennes
L'engagement pour"harmoniser" les politiques en matière d'immigration et
d'asile dans une période de cinq ans commence avec l'entrée en vigueur du
Traité de Amsterdam (1999). Mais le seul versant sur lequel les
gouvernements de l'Union Européenne semblent avoir trouvé un véritable
accord, soit au niveau politique que technique, est celui des politiques de
"lutte contre l'immigration illégale".
De Tampere à Séville on retrouve cette même obsession de l'Europe, suivant
une approche qui ne saisit pas (ou ne veut pas saisir) le lien existant
entre les politiques migratoires et le déséquilibre croissant, produit par
le processus de globalisation, entre les Nord et les Sud du monde et qui
choisit de subordonner les droits fondamentaux des personnes aux exigences
du marché du travail et aux intérêts économiques.
Bien que différentes propositions en matière d'asile et d'intégration des
migrants aient été présentées, les seules mesures jusqu'içi adoptées de
façon définitive sont celles destinées à renforcer la Forteresse Europe et
à réaliser les politiques répréssives définies comme l'instrument principal
de lutte contre l'immigration illégale et de gestion des migrations.
Dans ce contexte il paraît évident que la garantie des droits de
citoyenneté des étrangers, même de ceux qui ont une position régulière, ne
représente pas une priorité pour l'Europe. La citoyenneté européenne,
proposée dans la Carte européenne des droits, est en fait une citoyenneté
excluante, réservée aux autochtones. Les millions de migrants qui vivent de
façon stable en Europe et qui contribuent à sa richesse économique et
culturelle sont destinés à rester privés de droits: ils bénéficient tout au
plus dans certains pays de la "concession" limitée et conditionnée de
quelques droits civils et sociaux.
Le rôle des mouvements
Au cours de cette année, le mouvement des migrants italien a su tenir
ensemble la protestation contre la logique ségrégationniste du gouvernement
de Berlusconi, qui propose l'apartheid juridique, social, civil et
politique des migrants, et le refus à tout type de guerre; la défense des
droits des travailleurs italiens et étrangers et celle de l'article 18 du
Statut des travailleurs; la lutte contre la globalisation néolibériste et
la promotion de la libre circulation des personnes; la revendication d'un
nouveau système de répartition des richesses sur la planète et la défense
des droits humains.
La capacité de contextualiser le thème des droits de citoyenneté et des
droits des migrants dans le cadre du mouvement contre la globalisation
capitaliste constitue la véritable nouveauté: la question des migrations
est devenu un thème transversal, lié aux processus de restructuration et de
déstructuration du marché du travail et aux politiques de démolition du
welfare.
Le Forum Social Européen permet aujourd'hui de faire un pas ultérieur et
nécessaire: la construction d'un mouvement européen des migrants et pour
les droits des migrants, capable d'opposer à une Europe excluante une autre
Europe, ouverte, pluriculturelle, "métisse", fondée sur des principes
radicalement différents, tels que:
- la garantie du droit à la migration et à l'entrée en Europe;
- la libre circulation pour tous, y compris les citoyens des "pays tiers";
- la régularisation de tous les sans-papiers;
- l'idée d'une citoyenneté incluante, non seulement formelle, mais civile
et sociale capable de garantir les droits politiques, sociaux et civils à
tous ceux qui vivent de façon stable sur un territoire;
- la garantie des mêmes droits pour tous les travailleurs et l'introduction
de mesures de protection contre l'exploitation des travailleurs étrangers,
y compris les précaires et ceux qui n'ont pas de contrat de travail;
- la pleine garantie du droit d'asil.
Notre discussion à Florence devrait à notre avis se concentrer sur trois
grands thèmes: en premier lieu sur le nouveau régime de frontière qui s'est
affirmé en Europe cette dernière décennie, analysant soit les répercussions
vers l'extérieur (l'effet domino vers l'est et le sud, et en particulier
vers les pays candidats pour entrer dans l'Union européenne) soit vers
l'intérieur (prolifération des centres de détention, systèmes d'expulsion,
mais également la tendance à introduire des stratifications hiérarchiques
au sein de la citoyenneté dans les différents pays européens); deuxièmement
sur les mouvements des migrants et pour les droits des migrants qui
s'expriment en Europe, leurs caractéristiques, leur rayon d'action et les
différentes formes de mobilisation; et enfin sur le travail migrant dont il
faudrait à notre avis analyser l'importance croissante qu'il assume au sein
du monde du travail européen ainsi que les expériences de mobilisation et
de lutte qui commencent à s'accumuler, de l'Espagne à l'Italie.
Nous proposons à tous ceux qui participeront à l'assemblée de Florence de
raisonner ensemble sur la nécessité de construire un mouvement européen
pour les droits des migrants qui soit capable l'année prochaine de
promouvoir des initiatives, des mobilisations et des campagnes comunes: non
pas un nouveau réseau, avec une organisation formelle, mais plutôt une voie
de communication politique, de circulation des savoirs, des expériences et
des luttes. Pour ce qui nous concerne nous indiquons trois points
fondamentaux sur lesquels le mouvement devrait s'exprimer en Europe:
Le droit à la migration
Aucune raison économique, politique ou sociale peut justifier la privation
de la liberté d'émigrer, droit reconnu à toutes les femmes et les hommes
par les articles 13 et 14 de la Déclaration Universelle des Droits de
l'Homme. Une campagne qui soutiendrait l'introduction de mécanismes de
régularisation permanente pour tous ceux qui réussissent à construire un
parcours d'intégration dans la société d'accueil renverserait les priorités
de l'agenda européenne: les droits des migrants ne peuvent pas être
subordonnés aux intérêts des entreprises; les politiques des quotas
strictes et la militarisation des frontières alimentent le traffic d'êtres
humains, l'immigration irrégulière et le travail au noir, au lieu de le
combattre.
No detention
Les centres de détention sont le symbole de la politique néolibériste de
criminilisation des migrants: à Womera (Australie) comme à Sangatte
(France), à Ponte Galleria (Italie) comme à Malaga, à Manchester comme à
Zurich ce sont des lieux de suspension du droit et instrument principal des
politiques répressives vis à vis des migrants. Femmes et hommes sont
souvent gardés pendant des mois dans de véritables prisons, munies de
barbelés et contrôlées par des militaires armés. Nous proposons de lancer
une campagne européenne pour la fermeture de ces centres et pour bloquer la
construction de nouvelles structures de ce genre (A Turin, le 30 novembre
2002 il y aura lieu une manifestation contre un de ces centres).
Le droit d'asile
A partir de la guerre du Golfe les gouvernements mondiaux ont choisi de
donner une nouvelle légitimité à l'utilisation de la guerre comme
instrument de résolution des conflits internationaux, avec l'intervention
au Kossovo ils ont inventé la "guerre humanitaire", après l'attaque du 11
septembre ils ont trouvé dans la "guerre au terrorisme" l'escamotage pour
justifier définitivement l'utilisation des armes contre la population
civile avec la soi-disant "guerre préventive". Mais les réfugiés et les
demandeurs d'asile, qui sont en partie la conséquence de ces guerres et de
beaucoup d'autres, bénéficient rarement du droit d'asile. Nous proposons
d'organiser une campagne européenne pour une garantie certaine du droit
d'asile à toute personne persécutée pour des raisons politiques, même par
un sujet non étatique, et pour demander à l'Union Européenne l'adoption
rapide d'une résolution qui engage les Etats membres à uniformiser les
propres systèmes d'accueil et les politiques d'intégration des demandeurs
d'asile et des réfugiés.
Nous invitons toutes les organisations et les mouvements européens
intéressés à participer à l'Assemblée de Florence qui se déroulera le 8
novembre (de 18 à 21 h) à l'intérieur de la Fortezza da Basso, à nous faire
parvenir leurs documents. Au cours d'une réunion préparatoire, qui se
déroulera le 7 novembre au siège de l'ARCI, 11 piazza dei Ciompi, à 12
heures, nous nous retrouverons pour nous connaître et organiser ensemble
cet évennement. Nous pensons qu'il puisse être utile faire circuler dès
maintenant des textes et des documents, soit sous forme de commentaires et
de critiques à notre proposition, soit sous forme de données sur les
situations "locales".
Migrants European Assembly
Florence November the 8th 2002 6-8.30 p.m.
Draft by the Table of migrants of the Italian Social Forum
In Italy, as in other European countries, Australia and the USA, the
governments have assumed the national and regional policies of closing
borders and fight against ‘clandestine immigration' as priorities. The
overcoming of Fordist model of production, the cut of labour-supply in the
traditional manufacture sector, the slow-down of the growth in the main
economies, the consequent increase of the unemployment within the countries
belonging to the so-called First World; all these factors push the most
powerful States to control and limit the circulation of the workers.
Beyond such structural reasons, one has to consider also the consolidate
tendency in western societies to make a political and ideological use of
the theme of the control and limitation of immigration: the ordinary racist
view of immigration as ‘invasion', of the immigrant as a source of danger
and of clandestinity as synonymous of criminality, is often used as a
convenient tool for electioneering.
All this happens while in the south and east of the world the process of
globalisation determines the crisis of the local economies and the increase
of the poverty rate: the consequences are the multiplication of the
migratory fluxes and of the number of countries they originate from. At the
same time the migratory movements in recent years have shown an increasing
degree of autonomy, becoming a form of organization ‘from below'. That is,
a trans-national mechanism which fosters sociality exactly where it is put
aside by the capitalistic powers.
The existing contradiction between the structural dimension of the
migration phenomenon (produced by the present model of development) and the
policies of closing borders adopted by the governments of the richest
countries are fostered by the segmentation process of labour-demand: even
in the presence of unemployment, a trade off between the local supply and
demand of labour still exists in the richest countries, especially as
regards the most vulnerable, less qualified and more precarious people.
In Malaysia, Europe, Argentina and the USA, the migrants are mostly asked
to work in the area which is defined most elegantly as ‘informal economy',
an area that, indeed, often overlaps with moonlighting or, at most, casual
labour, characterised by the absence of a contract and its guaranties.
For this very reasons, from the point of view of the capitalistic
globalisation, there is no contradiction between the adoption of policies
of restriction of immigration and the persistency of a labour demand not
covered by the internal supply.
The policies of closing borders, the restriction of the regular entry
channels, the dismantlement of the judicial status of foreigners by means
of the adoption of stricter rules, the lack of acknowledgment of the rights
of citizenship: all this is functional to utilising migrants as low-cost
workers, highly subject to blackmail and, hence, more ‘flexible' and more
viable to be expelled. Therefore, the policies on immigration, usually
presented as the best instrument for fighting the irregular immigration,
are indeed the very first cause that fosters immigration.
So we have to take note that international migrations have assumed a
structural dimension and have become an integral part in the actual model
of economic development (even though we have to reaffirm that speaking of
a very explosion of them is wrong). The governments are perfectly aware of
such facts but they have also an interest to adopt restrictive policies:
what they truly want is to maintain the liberty to absorb or expel low cost
workforce as they like and this happens to be easier by forbidding the
migrants to come legally in our territories and by denying them any precise
judicial status. The illegality forces migrants to accept any job at any
condition, and allows governments to exclude them from the social security
systems and policies of integration.
The migration policies at a global level are then characterised by a
limitation (total or partial) of the legal economic migrations; by the
multiplication of the excuses of the turning down of people at the
frontiers; by the denial of the substantial right of asylum (envisaged by
the Geneve Convention of 1951); by the concentration of public funding in
the reinforcement of the police armies guarding the frontiers; by the lack
of public policies of hospitality and integration (and by the abandonment
of the few existing ones); by the construction of those which are called
‘temporary permanence centres' in Italy and but that in Australia and UK,
more truly, ‘detention centres'. These are genuine camps in which not only
immigrants are detained, but also people just asking for asylum, who
haven't committed anything wrong but whose unique ‘fault' is not having the
residence permit.
The European policies
The commitment of ‘rendering communitarian' the policies regarding
immigration and asylum within the next five years, was taken with the
coming into force of the Amsterdam Treaty (May 1999). But the sole theme as
regard to which the European countries have appeared as capable to act
harmoniously both at a political and a technical level (and even before an
effective harmonisation of the policies at the formal level), has been the
one concerning the policies of admission and fight against illegal
immigration.
>From Tampere to Sevilla this has been uninterruptedly the Europe's
>obsession. That is, an approach incapable of seeing the relationship
>between the policies of migration and the increasing trade off, due to
>globalisation, between northern and southern nations; and again, an
>approach that subordinates the fundamental human rights to the needs of
>the labour market and to the interests of economics.
Even though various proposals about the integration of the migrants and
about the asylum question have been discussed, the only certain measures
that the EU has adopted are the ones destined to underpin the European
fortress and to foster repressive politics: these measures indeed have been
presented as the pivotal tool for fighting against illegal immigration and
to govern migrations.
As it appears evident, the guarantee of the rights of citizenship for
foreign people, but also for the people regularly fixed on a territory
constitutes the last concern of Europe. The notion of European citizenship,
proposed for the European Chart of Right is indeed a very narrow conception
of citizenship: it is only conferred to native citizens. The millions of
migrants that reside in Europe permanently and that contribute to the
European cultural and economic wealth are destined to be lacking rights: at
the most they could, in some countries, benefit from the permission of
limited, conditioned and partial rights.
The role of the movements
The movement of the Italian migrants has been capable of combining in the
last year the protest against the segregationist logic of Berlusconi's
government, that proposes the judicial social, civil and political
apartheid of migrants; the refusal of the reduction of migrants to labour
goods with the defence of the rights of the Italian and foreigners workers;
the fight against the neo-liberal globalisation e the demand of a free
circulation of people; the claim of a different system of re-distribution
of the world wealth together with the defence of the basic human rights.
This capacity of putting in its proper context the theme of the rights of
citizenship and of the rights of the migrants in the agenda of the movement
against globalisation constitutes the most relevant news. The theme of
migration has finally come to be taken by the movement as a cross-cutting
question, connected to the processes of the re-structuring and
de-structuring of the labour market and to the policies of welfare
demolition.
The European Social Forum allows us nowadays to make a huge improvement:
the construction of a European movement of migrants and for the rights of
migrants, able to oppose to the idea of ‘Europe as exclusion' an
alternative ‘open Europe', the latter being a multicultural, ‘half-breed',
built upon radically different principles, like as:
- the guarantee of the right to migrate and to enter Europe;
- the free circulation for everybody, including the citizens of ‘third
countries';
- The regularisation of all the ‘sans-papier';
- the idea of an ‘inclusive' citizenship, which has to be not only formal ,
but also civil and social and, so being, able to guarantee civil, social
and political rights to all the people that live in a specific territory
permanently;
- the guarantee of an equality of rights for all the work-force and the
introduction of measures for the safeguard of the exploitation of foreign
workers (included those precarious and/or without contract);
- the guarantee of the right to ask for asylum.
It's our opinion that our debate in Florence should be focused analitically
on three pivotal themes. First of all, the new regime of borders that has
spread over Europe in the last decade, the repercussions of which on both
the outside (the so-called ‘domino effect' through which it moves towards
east and south, firstly involving those countries which are prospective EU
members) and the inside (flourishing of detention centres and expulsion
systems and tendency to introduce hierarchies in European societies).
Second thing, the movements of migrant people and for the rights of
migrants which already exist in Europe; we have to focus upon their
features, their spheres of action and forms of demonstration. Finally, we
have to discuss the migrant labour in its increasing relevance for the
composition of the European workforce and the experience of mobilisation
that are growing bigger everywhere, from Spain to Italy.
We propose that those who are going to take part in the Florence Assembly
discuss together the necessity of building a European movement for the
rights of migrant people through which promoting initiatives, mobilisations
and common campaigns next year. It has to be not yet another formally
organised network but, rather, a real channel of political communication
and exchange of knowledge, experiences and fights. As to us, we will
indicate three crucial points concerning which the movement should express
itself in Europe.
The right to migrate
No economic, political and social reasons can justify the deprivation of
the freedom to emigrate, which is acknowledged to everybody by the articles
13 and 14 of the Universal Declaration of Human Rights. Should a campaign
having as its main priority the introduction of mechanisms for the
permanent regularisation of those able to constitute a basis for social
integration be put into effect, the order of priorities in the European
agenda would be overturned. The rights of migrants cannot be subordinated
to the interests of the work donor. The policies for entrance cannot be
made contingent. And the militarization of the borders fosters the traffic
of human beings, the irregular immigration and the concealed labour,
instead of fighting them.
No detention
Detention centres are the symbol of the neoliberal policies of
criminalisation of migrants: in Woomera (Australia) and Sangatte (France),
Ponte Galeria (Rome) and Malaga (Spain), Machester (UK) and Zurich (Swiss),
they are always places of suspension of the rights and one of the principal
means by virtue of which the governments try to render repressive policies
against the migrants effective.
Women and men are detained for months in jails, guarded by military forces
and bounded by barded wire, just because they are guilty of having sought a
better life.
We propose a European campaign for closing such centres of detention and
blocking the construction of new structures (in Turin, in November the 30th
2002, a street demonstration against one of these centres will take place).
The right of asylum
Since the Gulf war, the world governments have decided to re-legitimate the
use of war as an instrument for the resolution of international
controversies. The intervention in Kosovo determined the introduction of
the allegedly ‘humanitarian war'. And after September the 11th, they have
contrived a device for justifying, once again, the indiscriminate use of
weapons against the civilians: the so-called ‘preventive war'.
But the refugees and the people asking for asylum -who, for the great
majority, are the direct consequences of these wars- have their right of
asylum denied every single day. We propose to start a European campaign for
the effective guarantee of the right of asylum for all those who are
persecuted for political reasons, regardless of the nature of the
prosecutor. This campaign should ask the EU to adopt policies that bound
the member states to uniform their systems of reception and policies of
integration of people asking for asylum and refugees as soon as possible.
We invite all the organisations and European movements which are interested
in taking part to the Florence Assembly -that will take place on November
the 8th from 18 to 21 inside the Fortezza da Basso - to send us their
contributes. In a preparatory meeting, on November the 7th in the Arci
Centre in Piazza dei Ciompi 11 at 12 am, we are going to meet each other
and organise the main event together. Hence, we strongly believe that
everybody should immediately make both comments and criticisms to our own
proposal and short info sheets on specific, ‘local' situations known to all
the others.