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Leyla Zana e situazione Turchia



Carissimi tutti e tutte,
domani sarà il primo anniversario della sentenza della Corte dei Diritti
dell'Uomo di Strasburgo che condanna la Turchia per i casi di detenzione di
Leyla Zana e degli altri parlamentari kurdi in carcere.
Dopo un anno la situazione non ha avuto nessun esito positivo, anzi, per
certi aspetti, è peggiorata.

Silvana Barbieri ha preparato l'articolo che segue, il quale fa un quadro
della situazione assai preciso e illustra anche il punto della campagna di
lotta.

Vi invitiamo a leggerlo con attenzione.





Il 17 luglio 2001 la Corte dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo ha emesso
all'unanimità - quindi con il voto anche del giudice turco - una sentenza
di condanna della Turchia per il processo a carico di Leyla Zana e degli
altri parlamentari kurdi in carcere con lei da quasi otto anni. La sentenza
della Corte contesta la legittimità di questo processo sotto ogni profilo e
chiede alla Turchia o la sua revisione  immediata o la scarcerazione dei
deputati kurdi.



Leyla Zana, lo ricordiamo, è stata la prima e anche l'ultima donna kurda
eletta al Parlamento turco, ed è in carcere in Turchia, come è per migliaia
di kurdi, per aver parlato in kurdo e chiesto il riconoscimento della sua
lingua e del suo popolo, cioè della lingua e dei diritti culturali di 20
milioni di persone.



Dopo la sentenza del 17 luglio abbiamo tirato un sospiro di sollievo, per
un momento abbiamo pensato: "ora il governo turco dovrà liberarli e dovrà
affrontare in modo diverso la realtà kurda";

  e non siamo stati i soli in questo: anche il marito di Leyla, i suoi
avvocati, il partito kurdo Hadep, i democratici turchi. Abbiamo sperato che
la Turchia cogliesse questa sentenza per iniziare le riforme che l'Unione
Europea da tempo chiede. Ci siamo sbagliati. Ancora una volta abbiamo
sottovalutato l'arroganza e il fascismo sostanziale del governo turco. Ci
siamo dimenticati che è dal 1987 che la Turchia viene condannata dalla
Corte di Strasburgo, alla quale 5.000 persone si sono rivolte, che 157
volte è stata condannata e solo 9 assolta, mentre in 400 casi è stato
raggiunto un patteggiamento, e che per gli indennizzi essa ha dovuto pagare
11 milioni di dollari.



Nei primi sei mesi di quest'anno il Consiglio d'Europa è intervenuto due
volte per sollecitare il governo turco ad applicare la sentenza della Corte
di Strasburgo. Quest'ultima inoltre nello stesso periodo ha emesso altre
due importanti sentenze: la prima di condanna della Turchia per la messa al
bando nel luglio del 1993 del partito kurdo Hep (predecessore del Dep di
Leyla Zana e dell'attuale Hadep), in quanto l'Hep "non usava violenza né
attentava all'integrità del paese". Sicché la Corte ha condannato la
Turchia a pagare ai ricorrenti una multa di 40.000 euro. La seconda e
significativa condanna della Corte stabilisce che la Turchia "ha violato il
diritto di libere elezioni nel caso della rielezione della parlamentare
kurda Leyla Zana e di altri deputati del passato partito Dep, dissolto
dalla Corte Costituzionale turca il 16 giugno 1994", avendo infatti violato
"la vera essenza del diritto a presentarsi come candidati e avere uffici
parlamentari, e ha infranto la discrezionalità dell'elettorato che ha
eletto i candidati".



Ricordiamo che il partito Dep, fondato nel 1993, sosteneva i diritti
politici e culturali dei kurdi. I suoi parlamentari, tutti provenienti
dalla regione kurda, prestarono giuramento in Parlamento in lingua kurda, e
così alcuni furono arrestati appena usciti dal Parlamento, mentre altri
riuscirono a fuggire in Europa. Nello stesso giorno venne  dissolto il
partito Dep.



Il caso dei membri kurdi del Parlamento turco è d'altronde solo l'ultimo di
una lunga serie di censure della Turchia da parte della Corte di Strasburgo
per aver dissolto partiti politici. Al tempo stesso questo caso è unico, in
quanto per la prima volta la Corte ha dichiarato che la Turchia ha violato
il diritto di libere elezioni (secondo l'art. 3 del protocollo 1 ) della
Convenzione europea dei diritti umani: mentre in precedenza i casi si
focalizzavano sul diritto dei partiti stessi di esistere, la sentenza in
questo caso si incentra sia sul diritto dell'elettorato di scegliere i
propri rappresentanti sia sul diritto individuale di candidarsi  al
Parlamento.



Anche il Parlamento Europeo nella sua seduta del 13 dicembre 2001 ha votato
all'unanimità una durissima risoluzione di condanna per il prolungarsi
della detenzione di Leyla Zana e dei suoi colleghi.



Sul versante interno della Turchia la situazione rimane sempre pesante. Il
governo turco, per cercare di andare incontro alle richieste dell'Unione
Europea, ha proceduto a modifiche costituzionali (l'attuale Costituzione,
lo ricordiamo, è stata varata nel 1982 da un regime militare, e contiene
infinite limitazioni nei diritti e nelle libertà democratiche). Il
Parlamento turco nell'ottobre 2001 ha quindi adottato emendamenti a 34
articoli della Costituzione. A seguito di questi emendamenti costituzionali
è stato ridotto a 24 o 48 ore, a secondo del tipo di reato, il periodo di
detenzione preventiva, che è poi la fase in cui si verifica la maggioranza
dei casi di tortura, e che arrivava a ben 10 giorni nelle zone kurde,
sottoposte a regime militare. Un altro emendamento riguarda l'abolizione
della pena di morte per i reati comuni: va però detto che nel codice penale
turco solo uno dei 13 articoli che comportano la pena di morte si riferisce
a reati comuni, gli altri 12 si riferiscono a "reati contro lo stato", e
quello qui più usato è l'art. 125 per gli atti di "separatismo".
L'introduzione poi del diritto ad un giusto processo e la sospensione
della messa al bando per le espressioni e le pubblicazioni in kurdo fanno
parte esse pure degli emendamenti alla Costituzione.



Tuttavia tutto ciò è quasi solo sulla carta. Dato che l'abolizione del
divieto di potersi esprimere in kurdo ha portato migliaia di studenti a
richiederne l'insegnamento nelle scuole e nelle università, la risposta
violenta dello stato non si è fatta attendere: migliaia di studenti sono
stati perciò fermati e anche arrestati, e dalla sola Università Mustafa
Kemal sono stati 325 gli studenti espulsi, con l'accusa di aver posto
"richieste fuorvianti dettate da organizzazioni terroristiche come il PKK
che abbandonando la lotta armata ha adottato una strategia tesa a mettere
in difficoltà la Turchia". Si è arrivati inoltre al ridicolo di una
circolare del Ministero dell'Interno a tutti i governatori, secondo la
quale essi dovranno costituire commissioni con i direttori provinciali per
le politiche educative per studiare il senso dei nomi kurdi onde poter
impedire che le famiglie kurde diano ai propri figli nomi legati alla
propria cultura. Queste commissioni dovranno anche controllare che questi
nomi non si pongano in violazione con la norma che prevede l'indivisibilità
dello stato. Dopo questa circolare il governatorato di Antalya ha messo
sotto processo 23 genitori di bambini kurdi con l'accusa di aver dato nomi
kurdi ai propri figli. Inoltre la repressione continua su ogni versante, e
per dirla con Amnesty International la tortura continua a essere una
pratica incessante in Turchia. Essa viene praticata principalmente durante
la detenzione di polizia, prima cioè che i detenuti siano portati davanti
al giudice. Amnesty International riferisce anche di episodi di persone
ricondotte sotto la custodia della polizia per quattro e più giorni dopo
essere state viste dal giudice e da esso condannati e quindi mandati in
prigione oppure assolti e quindi lasciati liberi. Riportate nei
commissariati di polizia queste persone sono state torturate fino ad
estorcere loro delle confessioni di comodo. In occasione della giornata
mondiale contro la tortura un cartello di numerose associazioni per la
difesa dei diritti umani e per la prevenzione della tortura ha perciò
presentato un documento dove si ricorda che la Turchia è uno di quei paesi
nei quali le persone muoiono ancora oggi a causa delle violenze subite
nelle carceri. Oggi la tortura è impedita dalla nuova legge di modifica
costituzionale, ma l'associazione per i diritti umani Hid denuncia che nei
primi mesi dell'anno 2002, 95 persone si sono rivolte ad essa per aver
subito torture, e che questi casi non vengono studiati dalla polizia né
alcun referto sulle condizioni di chi è stato torturato viene stilato dai
medici.



Va infine aggiunto che alla Turchia tutto questo è pure consentito
dall'atteggiamento contraddittorio dell'Unione Europea e degli stati
membri. Da un lato, infatti, vengono da essi poste alla Turchia richieste
di democratizzazione perché possa davvero accedere all'Unione Europea; ma
dall'altro si chiudono tutti e due gli occhi su ciò che realmente accade
tutti i giorni in Turchia, dietro alla facciata delle riforme. Dominano
cioè l'Unione Europea considerazioni politicanti e affariste. D'altronde in
Italia lo si vide benissimo già quando Ocalan, presidente del PKK, ci
chiese asilo e fu cacciato via. E si vede oggi nel fatto che,
paradossalmente, il PKK, che da tre anni ha cessato ogni attività militare
e recentemente si è pure sciolto, aprendo la strada a un nuovo partito
kurdo di orientamento pacifista e che rivendica i diritti dei kurdi
accettando al tempo stesso gli attuali confini della Turchia, è stato
inserito nei mesi scorsi dall'Unione Europea nell'elenco delle
organizzazioni "terroriste" da controllare e da reprimere!



Nel messaggio che Leyla Zana inviò al Congresso della Federazione
Internazionale delle Donne Democratiche nel 1998 a Parigi si diceva che la
guerra civile tra PKK e lo stato turco era "una situazione che colpisce
profondamente entrambi i popoli". Ma, aggiungeva Leyla Zana, "io credo che
sia la donna kurda colei che soffre più intimamente e dolorosamente le
ripercussioni devastanti di questa guerra. Perché a differenza delle donne
turche a noi kurde è negata la nostra stessa identità culturale, e a questo
si aggiunge la violenza fisica che viola in modo tremendo l'integrità dei
nostri corpi".



Ma è ancora di questi mesi, purtroppo, la brutale campagna contro
l'avvocatessa Eren Keskin militante dell'associazione per i diritti umani
Hid, impegnata nella lotta contro le violenze sessuali sulle donne da parte
delle forze di sicurezza dello stato. Eren Keskin, durante un soggiorno in
Germania effettuato per raccogliere fondi destinati a dare assistenza
legale alle donne che hanno subito abusi sessuali da parte delle forze di
sicurezza dello stato turco, ha descritto pubblicamente una serie di casi
di violenza: terribile è stata la reazione contro di lei da parte di
giornali e radio turche. "Se io non stuprassi Eren Keskin la prossima volta
che la vedo, non sarei un uomo", ha detto un commentatore di "Radio D"; il
giornale "Ikinci", a sua volta, ha scritto che "quando Eren Keskin ritorna,
sarà lei a buscarsi la sua violenza sessuale"; "c'è solo una parola per
questo: tradimento", ha scritto infine il quotidiano di massa "Hurriyet".



Così il Comitato contro la tortura del Consiglio d'Europa in un suo
comunicato del 24 aprile chiede alla Turchia "una maggiore attività per
cancellare, definitivamente, le pratiche violente che ancora si registrano
nelle prigioni turche". Gli esperti recatisi in Turchia a settembre hanno
definito, è vero, la situazione in "graduale miglioramento": però esso è
pure ritenuto assai insufficiente. "Pratiche, quali applicazione di
elettrodi, e altre simili, sono meno frequenti che in passato, ma le
violenze sono ancora numerose anche se non è stato possibile registrarle
tutte", afferma infatti il Comitato. A Van, inoltre, esso ha denunciato che
la stanza degli interrogatori della sezione femminile della prigione è un
tunnel nero, stretto e completamente insonorizzato: ovvero che "tali
strutture sono assolutamente inconcepibili per un moderno servizio di
polizia". I locali, poi, sono infestati da insetti di diverso tipo e,
secondo sempre il Comitato, un interrogatorio in questo luogo già di per sé
è da considerarsi una forma di tortura psicologica. Il Comitato ha anche
registrato le denunce delle prigioniere che, durante gli interrogatori,
sono bendate per impedire loro di riconoscere i torturatori. Il Comitato
ha, infine, denunciato il fatto che in Turchia le madri imprigionate coi
loro bambini sono costrette a vivere  in condizioni terribili, in stanze
piccolissime, senza alcuna forma d'igiene o di assistenza.



E se queste sono le pratiche illegali che vengono adottate nei fermi di
polizia o nelle carceri, ha solo pochi giorni la nuova legge che vieta ai
dirigenti scolastici di verificare la verginità delle studentesse, come
riporta "The International Tribune" del 20 giugno 2002. "Una nuova legge
approvata in primavera non consente più ai dirigenti scolastici turchi di
verificare la verginità delle studentesse. Negli ultimi anni la Turchia ha
fatto dei passi avanti verso la parità tra uomo e donna, ma la situazione
attuale mostra quanto lungo sia ancora il percorso da compiere. La
questione della castità delle studentesse venne alla ribalta lo scorso
anno, quando il Ministro della salute annunciò che le studentesse dei corsi
per educatrici, se riconosciute sessualmente attive, avrebbero dovute
essere espulse. In molte regioni del paese, specialmente nell'est e nel
sud-est, persiste ancora una certa percentuale di poligamia, di matrimoni a
seguito di rapimenti e di uccisioni di donne sospettate di aver avuto
rapporti da nubili. La battaglia per la parità è condotta soprattutto da
gruppi di donne che si scontrano con l'inerzia dello stato, che non si
rende protagonista di un'efficace azione nei confronti dei governi locali.
Quello che ancora manca è un vero e proprio programma di alfabetizzazione
femminile, che potrebbe aiutare la lotta per l'emancipazione più che mille
leggi parziali".



E per concludere alcuni cenni sulla situazione politica in Turchia in
questo momento.



La grave crisi economica che colpisce la Turchia, e che ha ridotto il paese
alla fame (il 40% del Pil va nella spesa militare) l'aveva messa tra i
paesi ai quali il Fondo Monetario Internazionale era intenzionato a
chiudere qualsiasi tipo di sostegno. Cosa che si è verificata per
l'Argentina, mentre il traballante potere turco ha potuto salvarsi, per i
tamponamenti che il Fondo Monetario gli ha portato, su richiesta degli
Stati Uniti, in quanto la Turchia è l'alleato oggi più importante in seno
alla Nato. Ma la crisi politica ed economica della Turchia è di una tale
gravità che nemmeno i dollari che ogni giorno vengono pompati in essa
riescono a fermarla. Così è di questi giorni la scissione del partito del
capo del governo Ecevit, da parte della fazione più prossima all'Unione
Europea, per estromettere Ecevit e i Lupi Grigi dal governo.



Infine, tornando alla carcerazione di Leyla Zana, anche noi non siamo stati
fermi in questi primi sei mesi dell'anno. Abbiamo lavorato per formare una
delegazione parlamentare rappresentativa sia dell'opposizione che della
maggioranza di governo, come ci aveva chiesto l'avvocato di Leyla Zana
nello scorso novembre. Essa avrebbe dovuto incontrare rappresentanti del
Parlamento e del Governo turchi. Per ben due volte siamo stati sul punto di
partire, e per ben due volte abbiamo incontrato difficoltà che non siamo
riusciti a superare.



Nel frattempo però ci siamo pure mossi nelle istituzioni periferiche: e
decine di consigli comunali, provinciali e regionali hanno votato mozioni,
in genere all'unanimità, per la scarcerazione di Leyla Zana e dei suoi
colleghi in carcere. Questo risultato lo dobbiamo prevalentemente alle
compagne e ai compagni di Rifondazione Comunista, ma anche a molti dei Ds e
indipendenti, che si sono impegnati a proporre le mozioni e a farle
passare. A tutti loro va il nostro ringraziamento. Ma facciamo ancora un
appello a quelle situazioni in cui la mozione è rimasta in sospeso affinché
venga approvata al più presto e anche a quelle situazioni dove è stata
approvata, ma non ci è pervenuta.



Ricordiamo che le mozioni si possono inviare a Silvana Barbieri Vinci, Via
R. Sanzio, 21 - 20149 Milano, oppure per  fax  a 02-4980071, oppure per
e-mail a silbarbieri@virgilio.it



Pensiamo infine di arrivare ad una iniziativa in autunno che coinvolga i
consigli comunali, provinciali e regionali  dove le mozioni sono state
votate.