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ART. 18



Salve a tutti. Io capisco perfettamente lo sconcerto di chi vede
progressivamente scomparire le condizioni minime che dovrebbero essere
garantite a chi lavora e anche la rabbia di chi verifica che, parte di
questo progressivo arretramento, e' stato promosso proprio dai Governi di
centro-sinistra. Quello che, pero', NON capisco, o meglio, NON condivido e'
affermare come "patetico" il movimento che si sta costruendo per fermare il
Governo Berlusconi e la Confindustria sulla questione dell'Articolo 18. Io
credo che, bloccare questa cancellazione, o anche solo una modifica, di una
parte importantissima dei diritti dei lavoratori, sia un fatto di rilevanza
straordinaria che dovrebbe essere appoggiato con la massima forza possibile
da tutti. E' vero, esiste una fascia enorme di lavoratori che vivono nella
precarieta' ed e' vero che cio' e' stato possibile anche per le pesanti
responsabilita' di chi avrebbe dovuto governare ANCHE in nome nostro. Cio'
non toglie che, oggi, il rischio che TUTTI corriamo, se venisse modificato
l'Art. 18, e' quello che tutti diventeremmo lavoratori precari. Non credo
che questo fatto potrebbe soddisfare la giusta rabbia di chi precario lo e'
gia'. Le lotte, gli scioperi, le assemblee, la partecipazione alla vita
sindacale, la possibilita' di eleggere i nostri rappresentanti nelle
fabbriche e nelle aziende, e molto altro, e' possibile SOLO perche' l'Art.
18 garantisce, chi si da' da fare, dal sicuro licenziamento se l'Art. 18
venisse cancellato. Chi non ha diritti, chi lavora con un contratto a
termine, con un contratto interinale e con qualsiasi altra forma di lavoro
precario, NON puo' alzare la testa pena gravissimi rischi: ma puo' essere
difeso e aiutato da chi questi diritti li ha. Chi fa il delegato, ha il
dovere di non pensare solo al suo piccolo orticello, ma anche quello di dare
il massimo di aiuto a chi lavora, magari al suo fianco, diverso da lui solo
per il tipo di contratto che ha. Se, come spero, la lotta contro
l'abolizione dell'Art. 18 vincera', dovremo sfruttare la grande
mobilitazione che si e' creata per puntare ad altri obiettivi come quelli
indicati da Sabina Rollo e cioe' la definizione di regole e diritti anche
per chi non lavora a tempo indeterminato. Pero' mi domando: invocare ora una
battaglia immediata contro il lavoro precario senza PRIMA aver tenuto
sull'Art. 18, non e' una sorta di "fuga in avanti" velleitaria? Andiamo
TUTTI a Roma il 23 marzo, partecipiamo TUTTI allo sciopero generale del 5
aprile, sconfiggiamo Berlusconi, la sua banda e la Confindustria. Poi, se la
nostra battaglia sara' vincente, impegnamoci TUTTI nel Sindacato,
Confederale o meno, per esigere che il mondo del lavoro, finalmente, abbia
garanzie, sicurezze, liberta' e dignita'.
Giorgio Nobili








----- Original Message -----
From: "Sabina Rollo" <huambo53@hotmail.com>
To: <dirittiglobali@peacelink.it>
Sent: Wednesday, March 13, 2002 11:13 AM
Subject: Re: ART. 18


>
> Cari compagni credo che nessuno vi può dare torto in merito alla
> Confindustria che in finale fa il "lavoro" suo.
> Ma non sarebbe il caso di mettere l'accento su altre cose?
> In effetti questo gran can-can che si sta facendo sull'art.18 a me sembra
> tanto il chudere la stalla quando i buoi sono scappati, e rientra tanto
bene
> nel gioco delle parti da governo "sinistro" o destro e sindacalismo
> cosidetto, e in questa fase è un giocare di rimessa.
> Se noi pensiamo che la maggior parte dei lavoratori sono atipici, a
termine,
> a perte-time,precari e tutti gli aggettivi che qualificano il fatto "il
> posto garantitio ve lo scordate, non c'è più spazio per questa oscenità,
nel
> senso che il mercato richiede che siate schiavi e basta", dico dopo aver
> ingoiato questi rospi le cui leggi, guarda un pò, proprio dai sinistri di
> governo sono state fatte, non vi pare patetico piangere sull'articolo 18?
> dico, a breve i contratti saranno tutti del tipo che se pure lasciano
> l'articolo 18 nessuno è nella condizione contrattuale di potervi
ricorrere.
> Nemmeno il pubblico impiego si salva dalla precarità.
> E allora non sarebbe il caso invece di giocare di rimessa di alzare il
tiro?
> e magari incominciare a lottare contro tutto il lavoro a termine?
> Vittoria
> L'Avamposto degli Incompatibili
> http://www.controappunto.org
>
>
> >From: "Istituto di Studi Comunisti Karl Marx - Friedrich Engels"
> ><istcom@libero.it>
> >Reply-To: dirittiglobali@peacelink.it
> >To: dirittiglobali@peacelink.it
> >Subject: ART. 18
> >Date: Wed, 13 Mar 2002 10:28:43 +0100
> >
> >ALL'ATTENZIONE DEI COMPAGNI
> >
> >CON PREGHIERA DI VOLERVI DARE LA DIFFUSIONE ED IL SOSTEGNO CHE SI RITIENE
> >PIU' OPPORTUNI.
> >
> >grazie
> >
> >istcom
> >
> >PS.
> >
> >siamo interessati ad un vostro giudizio sull'allegato.
> >
> >
> >
> >
> >
> >ISTITUTO DI STUDI COMUNISTI
> >KARL MARX - FRIEDRICH ENGELS
> >istcom@libero.it
> >http://digilander.iol.it/istcom/istcom
> >
> >
> >ARTICOLO 18
> >I vuoti di memoria della Confindustria.
> >ovvero:
> >La CONFINDUSTRIA CI RIPROVA
> >
> >La tesi della Confindustria, e consequenzialmente dei suoi teorici, è
> >quella che una liberalizza-zione della possibilità di licenziamento
> >consente una maggiore occupazione, crea nuove possibilità di occupazione.
> >Esiste, quindi, un rapporto diretto tra licenziamento di una unità ed
> >aumento dell'occupazione.
> >Sul piano strettamente teorico e scientifico non esiste un tale rapporto:
> >licenziamento ed aumento dell'occupazione rispondono a criteri diversi e
> >sostanzialmente opposti.
> >L'aumento di occupazione, le nuove possibilità di occupazione sono
> >determinate dalle leggi del mercato, ossia dal ciclo economico, se cioè
si
> >è in fase di espansione o in fase recessiva, se cioè quella merce ha un
> >mercato, se esiste una domanda insoddisfatta tale da richiedere un
aumento
> >della produzione. L'aumento della produzione non sempre comporta
> >automaticamente un aumento dell'occupazione, entro certi limiti essa può
> >essere soddisfatta aumentando i ritmi di lavoro.
> >Per esserci aumento di occupazione, per esserci le nuove possibilità di
> >occupazione occorre che tale domanda insoddisfatta sia di una entità
tale,
> >e quanto meno di medio-breve periodo, da far divenire conveniente
l'aumento
> >di una unità lavorativa. Se è solo un aspetto contingente, in questo caso
> >non conviene aumentare l'occupazione in quella fabbrica. Nelle condizioni
> >date, infine, tale domanda insoddisfatta deve essere di tale entità da
> >superare la massa delle merci invendute nei precedenti cicli produttivi.
> >Il licenziamento di una singola, o di singole unità lavorative non
comporta
> >in nessun caso un au-mento dell'occupazione, ma solamente una
sostituzione.
> >Il licenziamento non per chiusura e contrazione della forza lavoro
> >impiegata, il licenziamento di una singola unità risponde invece a
criteri
> >e regole dettati dal codice civile, oltreché da quello penale:
> >scarso rendimento, ecc. Ma questo comporta unicamente ed esclusivamente
la
> >sostituzione di quella unità lavorativa con danni nell'immediato
> >all'impresa ed alla produttività, giacché l'unità sostituita deve essere
> >immessa nel ciclo produttivo e di solito occorrono 5-8giornate lavorative
> >prima che la nuova unità impiegata entri a pieno regime.
> >
> >La Confindustria quindi mente sapendo di mentire.
> >Gli intellettuali che si fanno paladini di tali teorie mentono sapendo di
> >mentire.
> >Ma il problema non è quello del mentire ed il sapere di mentire.
> >La verità è che la Confindustria ci riprova.
> >La regolamentazione dei licenziamenti individuali, imposta proprio per
> >impedire i licenziamenti individuali e limitare l'arroganza e lo
strapotere
> >padronale, imposta sotto il possente movimento di lotta che saliva dalle
> >fabbriche, risale all'accordo del 7. agosto. 1947.
> >Con tale accordo venivano istituite le Commissioni Interne ed affidata
alle
> >Commissioni Interne la complessa materia dei licenziamenti individuali e
> >collettivi.
> >All'indomani della rottura dell'unità sindacale, 1948, e dentro il più
> >generale attacco al movimento operaio scatenato dalla borghesia, la
> >Confindustria decise di disdettare l'accordo del 7. agosto. 1947. Tale
> >assalto borghese venne preceduto da una massiccia, violenta, prolungata,
> >premeditata, programmata azione di repressione, che combinava tre
elementi:
> >la scissione in campo sindacale, la repressione in fabbrica, la
repressione
> >statale.
> >Dal 1948 ai primi mesi del 1950 ci furono
> >62 operai uccisi, 3.126 operai feriti, di quelli che furono costretti a
> >ricorrete alle cure ospedaliere,
> >92. 169 arrestati, 19. 306 condannati a 8.441anni di carcere;
> >licenziati per rappresaglia 674 membri delle Commissioni Interne, 1.128
> >attivisti della C.G.I.L.
> >Dopo questo possente ' fuoco di sbarramento' la Confindustria ritenne di
> >essere oramai in grado di procedere alla formalizzazione dei nuovi
rapporti
> >di forza, che credeva essere riuscita ad imporre, e quindi procede a
> >disdettare l'accordo del 7. agosto. 1947.
> >Il motivo che determinò la Confindustria a disdire nel 1950 l'accordo sta
> >nel fatto che in esso erano, appunto, regolamentati i licenziamenti
> >individuali e collettivi.
> >La Confindustria all'atto della disdetta dichiarò che riteneva ancora
> >applicabile l'accordo Buozzi-Mazzini del 1943, che la lasciavano
> >completamente libera di procedere come meglio le pareva.
> >Possente ed immediata fu la risposta dell'intera classe operaia, che
> >convinse immediatamente la Confindustria di aver sbagliato calcoli, che
le
> >fece toccare con mano come tutto il possente assalto dispiegato non era
in
> >realtà servito granché nello spezzare, sfiancare il movimento operaio e
> >sinda-cale italiano. Dinanzi alla possente controffensiva operaia deve
> >attuare una precipitosa ritirata.
> >Gli accordi del 18. ottobre e 20. dicembre 1950 stabilivano una nuova  e
> >più avanzata disciplina per i licenziamenti individuali e collettivi,
> >affermando nel caso dei licenziamenti individuali il principio della
giusta
> >causa.
> >         Da allora l'accordo del dicembre 1950 costituisce una bruciante
> >mortificazione della borghesia italiana, che ritorna ricorrente ad
agitarle
> >il sonno e che da oltre cinquant'anni alimenta i suoi più reconditi
sogni.
> >Aveva pensato che la sconfitta elettorale dell'aprile 1948 ed il sostegno
> >attivo dell'imperialismo a-mericano potevano ben costituire base
> >rassicurante per reimporre la sua dittatura in fabbrica e spaz-zare via
la
> >democrazia in fabbrica, perché poi il punto vero di tale attacco era, ed
è,
> >esattamente questo: spazzare via la democrazia dalla fabbrica.
> >La classe operaia e l'intero popolo lavoratore aveva ben assimilato la
> >lezione del fascismo, ossia che se in fabbrica regna la dittatura del
> >padrone, se in fabbrica la democrazia è uccisa, la democrazia non può
> >sopravvivere nel Paese. Essa nasce nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro
e
> >si alimenta di questa e da questa si propaga a tutta la società civile.
> >L'aveva ben assimilata e seppe dare la dura, immediata, possente
risposta,
> >tale da imporre alla Con-findustria una disordinata e confusa ritirata ed
> >una bruciante ed umiliante sconfitta.
> >La Confindustria questa volta si è sentita ben più sicura del 1950, la
> >vittoria elettorale del centro de-stra, ha eccitato i suoi sogni, la
> >presenza diretta, fisica di uno dei suoi al governo le ha fatto perdere
> >qualsiasi prudenza e senso della realtà ed ha ritenuto di poter attuare
la
> >rivincita.
> >Attuare la rivincita per imporre in fabbrica la sua dittatura, per
spazzare
> >via la democrazia dalla fabbrica, fare piazza  pulita con assemblee,
> >incontri ed imporre un capovolgimento radicale delle relazioni
industriali.
> >La libertà di licenziamento è la libertà di mettere fuori chiunque non si
> >adatti a tutti i ritmi e carichi di lavoro, a tutta la flessibilità
> >dell'orario di lavoro: straordinario e orario fles-sibile - ma questo è
> >l'esatto opposto del creare nuove possibilità di occupazione: ma voi
> >provate a dirlo ai dotti e sapienti docenti ed accademici di economia
> >politica!!. Libertà di licenziamento in re-altà è la libertà del
> >supersfruttamento, dello sfruttamento bestiale, in grado di sopperire
> >all'assenza di ammodernamento degli impianti e dei processi produttivi:
la
> >vecchia storia della borghesia italiana: mentecatta ed accattona, altro
che
> >nuove possibilità di occupazione.
> >Ma la libertà di licenziamento è anche la libertà di licenziare quanti
sono
> >attivi sul piano sindacale e politico in fabbrica, quanti non si
dimostrano
> >duttili alle esigenze della produzione in sede elettorale La libertà di
> >licenziamento è la libertà di spazzare via dalla fabbrica qualsiasi
istanza
> >di democrazia.
> >La CONFINDUSTRIA CI RIPROVA INSOMMA!!
> >
> >lunedì 11 marzo 2002
> >
> >
> >
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>
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>
> L'Avamposto degli Incompatibili
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