L'AVVENIRE DEI LAVORATORI La più antica testata della sinistra italiana, www.avvenirelavoratori.eu Organo della F.S.I.S., centro socialista italiano all'estero, fondato nel 1894 Sede: Società Cooperativa Italiana - Casella 8965 - CH 8036 Zurigo Direttore: Andrea Ermano > > > PDF scaricabile su http://issuu.com/avvenirelavoratori < < < e-Settimanale - inviato oggi a oltre 50mila utenti – Zurigo, 14 dicembre 2017 |
VERSO LA PAUSA DI FINE ANNO - Con il prossimo numero – in uscita anticipata mercoledì 20 dicembre – la Newsletter dell'ADL inizierà la consueta pausa di fine anno. - La red dell'ADL |
Beppino Englaro accanto al ritratto della figlia Eluana IL BIOTESTAMENTO È LEGGE Via libera dall'Aula del Senato al provvedimento sul biotestamento. I sì sono stati 180, i no 71, gli astenuti 6. Quando il testo diventa legge un grande applauso si leva dall'Aula. Con il sì del Senato alle norme in materia di consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento (Dat), arriva in Italia la legge sul testamento biologico. Rifiutare le terapie, comprese nutrizione e idratazione artificiali, è un diritto. Vietato l'accanimento terapeutico. Ok all'obiezione di coscienza per i medici che non vogliono "staccare la spina". La legge si divide in due parti: una più generale sul consenso informato sui trattamenti sanitari e una sulla compilazione delle Dat, attraverso le quali una persona potrà lasciare le sue volontà circa le cure a cui essere sottoposto o da rifiutare quando non sarà più cosciente a causa di un incidente o una malattia. Per chi non lascerà disposizioni scritte ovviamente varrà l'alleanza di cura tra medico e paziente. dalla redazione di Avanti! online www.avantionline.it/ Le norme erano state approvate dalla Camera il 20 aprile scorso e Palazzo Madama non le ha modificate. Il Registro nazionale delle Dat, che non era stato inserito per mancanza di coperture, potrebbe entrare nella Legge di bilancio. Ecco cosa prevede la legge sul testamento biologico CONSENSO INFORMATO. La legge tutela il diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all'autodeterminazione di ogni persona e stabilisce che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata. E' promossa e valorizzata la relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico che si basa sul consenso informato nel quale si incontrano l'autonomia decisionale del paziente e la competenza, l'autonomia professionale e la responsabilità del medico. In tale relazione sono coinvolti, se il paziente lo desidera, anche i suoi familiari o la parte dell'unione civile o il convivente ovvero una persona di sua fiducia.
Roma, 14.12.2017 - Mina Welby, Emma Bonino e la delegazione della ''Luca Coscioni'' dopo il voto sul testamento biologico - (ANSA/GIUSEPPE LAMI) Nella relazione di cura rientrano, per le rispettive competenze, anche gli altri componenti dell'equipe sanitaria. Ogni persona ha il diritto di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo completo, aggiornato e a lei comprensibile riguardo alla diagnosi, alla prognosi, ai benefici e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonché sulle possibili alternative e sulle conseguenze dell'eventuale rifiuto del trattamento sanitario e dell'accertamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi. Il consenso informato è acquisito nei modi e con gli strumenti più consoni alle condizioni del paziente, è documentato in forma scritta o attraverso videoregistrazioni o, per la persona con disabilità, attraverso dispositivi che lo consentano. POSSIBILE STOP A NUTRIZIONE E IDRATAZIONE ARTIFICIALE. Ogni persona maggiorenne e capace di agire ha il diritto di rifiutare, in tutto o in parte, qualsiasi terapia o di revocare, in qualsiasi momento, il consenso prestato, anche quando la revoca comporti l'interruzione del trattamento. Nutrizione e idratazione vengono equiparate a trattamenti sanitari e quindi sarà possibile chiedere lo stop alla loro somministrazione o rifiutarli. ABBANDONO DELLE CURE E OBIEZIONE DI COSCIENZA PER I MEDICI. Al paziente è riconosciuto il diritto di abbandonare le terapie. Ai medici è riconosciuta l'obiezione di coscienza. Di fronte alla richiesta di un malato di "staccare la spina", non avranno quindi "l'obbligo professionale" di attuare le volontà del paziente. Il malato potrà comunque rivolgersi a un altro medico nell'ambito della stessa struttura sanitaria.
Roma, 14.12.2017 - Manuela Repetti in Senato dopo il voto sul testamento biologico - (LaPresse/Roberto Monaldo) DIVIETO DI ACCANIMENTO TERAPEUTICO E SEDAZIONE PROFONDA. Divieto di accanimento terapeutico in caso di malattia terminale. E possibilità, in presenza di sofferenze refrattarie ai trattamenti sanitari, di ricorrere alla sedazione palliativa profonda continua, in associazione con la terapia del dolore. Secondo la legge, il medico deve adoperarsi per alleviare le sofferenze del paziente, anche in caso di rifiuto o di revoca del consenso al trattamento sanitario. È sempre garantita un'appropriata terapia del dolore e l'erogazione delle cure palliative. Nel caso di paziente con prognosi infausta a breve termine o di imminenza di morte, il medico deve astenersi da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure e dal ricorso a trattamenti inutili e sproporzionati. In presenza di sofferenze refrattarie ai trattamenti sanitari, il medico può ricorrere alla sedazione palliativa profonda continua in associazione con la terapia del dolore, con il consenso del paziente. SOSTEGNO PSICOLOGICO. Qualora il paziente esprima la rinuncia o il rifiuto di trattamenti sanitari necessari alla propria sopravvivenza, il medico prospetta al paziente e, se questi acconsente, anche ai suoi familiari, le conseguenze di tale decisione e le possibili alternative e promuove ogni azione di sostegno al paziente medesimo, anche avvalendosi dei servizi di assistenza psicologica. MINORI E INCAPACI. La persona minore o incapace ha diritto alla valorizzazione delle proprie capacità di comprensione e di decisione. Deve ricevere informazioni sulle scelte relative alla propria salute in modo consono alle sue capacità per essere messa nelle condizioni di esprimere la sua volontà. Il consenso informato al trattamento sanitario del minore è espresso o rifiutato dagli esercenti la responsabilità genitoriale o dal tutore tenendo conto della volontà della persona minore, in relazione alla sua età e al suo grado di maturità, e avendo come scopo la tutela della salute psicofisica e della vita del minore. Nel caso in cui il rappresentante legale della persona minore o interdetta o inabilitata oppure l'amministratore di sostegno rifiuti le cure proposte, la decisione è rimessa al giudice tutelare. COSA SONO LE DAT. Ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere, in previsione di futura incapacità di autodeterminarsi, e dopo aver acquisito adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle sue scelte, può, attraverso Disposizioni anticipate di trattamento (Dat), esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, compresi il consenso o il rifiuto a idratazione e nutrizione artificiali.
Roma, 14.12.2017 - Giorgio Napolitano e Sergio Zavoli nell'aula del Senato durante il voto sul testamento biologico - (ANSA/GIUSEPPE LAMI) Le Dat saranno vincolanti per il medico a meno che appaiano manifestamente inappropriate o non corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente, oppure qualora sussistano terapie non prevedibili o non conosciute dal disponente all'atto della sottoscrizione, capaci di assicurare possibilità di miglioramento delle condizioni di vita. Le Dat devono essere redatte per atto pubblico o per scrittura privata autenticata o consegnata presso l'Ufficio dello Stato civile del Comune di residenza, che provvede all'annotazione in apposito registro, ove istituito, oppure presso le strutture sanitarie qualora si servano di modalità telematiche di gestione. Possono essere espresse anche attraverso videoregistrazione o dispositivi che consentano alla persona con disabilità di comunicare. Con le medesime forme esse sono rinnovabili, modificabili e revocabili in ogni momento, anche a voce in caso di emergenze o urgenza. BANCHE DATI REGIONI IN ATTESA REGISTRO NAZIONALE DAT. Le Regioni che adottano modalità telematiche di gestione della cartella clinica o il fascicolo sanitario elettronico o altre modalità informatiche di gestione dei dati del singolo iscritto al Servizio sanitario nazionale possono regolamentare la raccolta di copia delle Dat. Non e' stato possibile, per mancanza di coperture, istituire nel passaggio alla Camera un Registro nazionale delle Dat. Con un ordine del giorno del Pd si è impegnato il governo a trovare una soluzione in un altro provvedimento. Il Registro nazionale dovrebbe entrare nella Legge di Bilancio. FIDUCIARIO. Si potrà indicare una persona di fiducia, che rappresenterà il malato nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie. Al fiduciario sarà rilasciata una copia delle Dat, redatte con atto scritto o con videoregistrazione. PIANIFICAZIONE CONDIVISA DELLE CURE. Nella relazione tra medico e paziente, rispetto all'evolversi delle conseguenze di una patologia cronica e invalidante o caratterizzata da inarrestabile evoluzione con prognosi infausta, può essere realizzata una pianificazione delle cure condivisa tra il paziente e il medico. L'equipe sanitaria deve attenersi a quanto stabilito nella pianificazione delle cure qualora il paziente venga a trovarsi nella condizione di non poter esprimere il proprio consenso o in una condizione di incapacità. La pianificazione può essere aggiornata al progressivo evolversi della malattia su richiesta del paziente o su suggerimento del medico. RELAZIONE ANNUALE MINISTRO SALUTE. Annualmente il ministro della Salute presenta al Parlamento una relazione sull'applicazione della legge stessa. Le Regioni sono tenute a fornire le informazioni necessarie entro il mese di febbraio di ciascun anno, sulla base di questionari predisposti dal ministero della Salute. NORMA TRANSITORIA. Ai documenti atti ad esprimere le volontà di fine vita in merito ai trattamenti sanitari, depositati presso il Comune di residenza o davanti a un notaio prima della data di entrata in vigore della legge, si applicano le disposizioni della legge approvata dal Parlamento.
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EDITORIALE Il Potere e la Rivoluzione secondo Massimo Cacciari Due ragioni di dissenso rispetto a una recente presa di posizione del filosofo ed ex sindaco di Venezia di Andrea Ermano Grazie a Radio Radicale, grande lascito di Marco Pannella alla democrazia italiana, ho potuto ascoltare, tra le numerosissime schede audio-video attualmente disponibili, un'interessante "lecture" tenuta lunedì scorso da Massimo Cacciari alla Scuola di Giornalismo "Walter Tobagi" dell'Università Statale di Milano (vai all'audio su RR). Al centro della lezione – sul tema "La (im)potenza della politica" – c'era una prolusione tenuta da Max Weber presso la libreria Steinicke di Monaco nel gennaio del 1919 intitolata "La Politica come professione", frattanto divenuta un classico del pensiero politico. Su due tesi che Cacciari enuncia segnaliamo il nostro disaccordo, ben oltre l'ambito tecnico e specialistico delle considerazioni, pure interessanti, da lui esposte. La prima tesi attiene al concetto di "potere" in senso politico, che il professor Cacciari definisce sostanzialmente come capacità di disporre dell'obbedienza altrui. Il Potere si esercita governando: «Non è vincere alle elezioni», ma piuttosto «obbligare qualcuno. Io ordino e faccio fare», come nella potenza di Zeus che con un cenno del capo «faceva sì che la cosa che voleva accadesse. Questo è il Potere: far sì che quel che io voglio accada, venga eseguito da altri», afferma il Professore. In questa logica «io devo sapere molto bene» che cosa voglio conseguire come finalità, ma devo anche conoscere molto bene i mezzi con i quali questa finalità va conseguita. E perciò devo conoscere molto bene la natura degli altri uomini, «come se questi "altri" li avessi prodotti io», in quanto proprio essi sono i mezzi che, come componenti di una macchina, «devono eseguire i miei ordini». Cacciari sottolinea con forza questo punto: «Non è sempre evidente questo, ma è così! E istanze tremende della nostra storia politica dimostrano questo presupposto tacito». D'accordo: l'autoritarismo gerarchico – militarista, clericale e fascista – presuppone questa idea del potere, che poi fa naufragio, però, contro la disobbedienza della libertà umana. E quindi riflette un'idea alla fine dei conti irrealistica. Dopodiché questa non è l'essenza del Potere come capacità di governo, ma piuttosto il potere nella prospettiva del "possedere". C'è un errore categoriale tra essere e avere. Perché il potere che si "ha" è la sovranità (il "pos", del pos-sedere) che si manifesta nella gravità delle natiche (il "sedere" del pos-sedere), e chiediamo venia per l'esplicitazione di questa etimologia del potere come idea di possesso.
Gabriele Galantara, Mussolini sulla bara di Giacomo Matteotti, dal "Becco Giallo", 1925. Dal punto di vista dell'"essere", è importante ricordare che l'idea stessa di ragione, fin dalle sue origini nel primo illuminismo greco, prefigura un Sapere finalizzato all'arte del governo della polis e dell'animale politico. Ma questo Sapere ha due nemici: si contrappone alla frode ideologica (mitologica, demagogica ecc.) e alla violenza tirannica. Questa è la via del convincimento come filosofia per uomini liberi. Perché solo dal convincimento, non dalla frode o dalla violenza, può nascere un Potere vero, cioè effettivamente capace di auto-governo. Il governo politico è autogoverno e autonomia. La polis, in fondo, getta essa stessa le radici in questo Potere né mai potrebbe in alcun modo prescindere dal consenso, dalla cooperazione, dalla convivenza degli animali politici. Poiché la polis "è" un plebiscito che si rinnova ogni giorno, la sovranità appartiene al popolo. E tu non puoi governare nessun popolo, se lui non vuole auto-governarsi. Ciò detto, Cacciari ha ragione a disperarsi perché noi non sappiamo governare la nostra epoca, l'"antropocene", che estende il problema dell'auto-governo all'orizzonte di tutti i popoli. Ma l'idea di una catena di comando per cui miliardi di uomini «devono eseguire i miei ordini», oltre che assurda, appartiene a un capitolo oscuro del Novecento che sarebbe esiziale dimenticare. Quindi colpisce nel segno chi solleva qui il tema drammatico della "(im)potenza della politica". Ma sbaglia completamente, a nostro modo di vedere, nel non tematizzare la questione del consensus gentium, perché è in esso che sta l'essenza del "Potere politico". La seconda tesi riguarda la prognosi "rivoluzionaria" che il filosofo pronuncia in rapporto all'attuale situazione politica generale. «Il dramma è questo, chiaramente: che tecnica, scienza ed economia non possono sostituire il politico». D'altronde, la politica è "impotente" di fronte al loro straordinario successo: «Che cosa avete da dire, voi politici, rispetto a questo tipo di cose? Non sanno cosa dire.» Dunque, la politica non può essere sostituita e però non ha potere sulla complessità in cui è trascinato il nostro mondo nell'"antropocene". Ma così si scatena tra tecnica, scienza, finanza ed economia «il "sabba delle streghe" di cui parlavano Sombart e Weber stesso. E allora… Chi lo ferma? Chi lo governa? Chi lo ordina?», domanda Cacciari. In questo snodo emerge la tesi rivoluzionaria. Perché l'impotenza è oggettiva, investe anche i politici che si rendono conto di questo stato di fatto, e si sforzano di aggiustare le cose, «ma sono aggiustamenti. Non c'è niente da fare… Sono riformismi… Da tutto questo casino usciremo soltanto con la rivoluzione», afferma il filosofo veneziano. Qui va precisato che con "rivoluzione" egli intende «l'accadere di un cambio di stato», non un progetto romantico o leninista di conquista del Potere. E questo "cambio di stato" assume ora la valenza di una sorta di gran finale catastrofico, è appunto il "sabba delle streghe". Noi ci troviamo adesso, secondo Cacciari, in un passaggio confuso tra due ordini, poiché si è "staccato" il nesso tra Sapere e Potere politico e poiché «tutto il potere è nel Sapere, che non sarà mai però un potere che governa e che ordina politicamente». Alla domanda di una studentessa milanese circa l'interconnessione tra questa impotenza della politica e il disorientamento delle giovani generazioni (vai al sito de "L'espresso" con un'inchiesta sulla "generazione zero"), Cacciari risponde facendo presente che «negli ultimi due secoli i giovani si sono impegnati e hanno iniziato a fare politica proprio sulla base dell'idea che la prassi politica fosse un lavoro intellettuale a pieno titolo… Tutti noi, fino alla mia generazione, abbiamo fatto politica a partire da idee di questo tipo. Non c'è altro modo perché un giovane preparato faccia politica».
Massimo Cacciari Senza dubbio il filosofo intende che – "staccatosi il nesso" tra Sapere e Politica – i giovani aspiranti alle responsabilità del potere girano ormai alla larga dall'impotenza di partiti, assemblee rappresentative e governi: «Ci sono altre cose nella vita, dice il giovane, che posso svolgere come lavoro intellettuale vero», osserva Cacciari e sottolinea che, stando così le cose, l'unico esito possibile è appunto il rivoluzionario «accadere di un cambio di stato». Il difetto di questo ragionamento ci pare discendere dalla definizione nicianeggiante di cui alla prima tesi, che conteneva un'idea di governo come volontà di potenza: «far sì che quel che io voglio… venga eseguito da altri». Ma nei giovani, come nei meno giovani, la fame di potere diventa tanto più ossessiva quanto più dà sostanza a un fantasma. Che è il fantasma dell'impotenza politica appunto: impotenza individuale, impotenza tecnocratica e impotenza dirigistica. Solo cooperando ci si può autogovernare. Solo il consenso ci può consentire forme di cooperazione. Solo la correttezza può condurre a forme di consenso. Ma questa è la "rivoluzione sociale" del riformista Turati. Dopodiché, il mistero del governo dell'animale politico, oscillante tra fortuna e virtù, si cela solo per troppa evidenza. |
SPIGOLATURE Forse non sa di cosa parla quando ne parla di Renzo Balmelli BRANDELLI. Può darsi che oltre Atlantico sia meno nota che in Europa. A maggior ragione leggere La Gerusalemme liberata potrebbe giovare agli attuali vertici della Casa Bianca e in primis a Donald Trump che forse non sa di cosa parla quando ne parla. Recuperare la memoria letteraria sarebbe oltremodo utile per andare a fondo di una realtà che da millenni si basa su un delicatissimo sistema di equilibri e compromessi. Facendolo saltare si rischia di accendere una miccia dalle conseguenze incalcolabili. Quando il Tasso compose il suo mirabile poema epico l'America era ancora in fasce, ma oggi che è rimasta l'unica grande potenza ha il dovere di dare prova di saggezza. Derubricare la città a spavaldo oggetto del desiderio come fosse una prateria del Far West significa saltare di pari passo dalla Gerusalemme liberata alla Gerusalemme conquistata e di conseguenza ridurre a brandelli ciò che resta del dialogo tra israeliani e palestinesi in quei luoghi ricchi di storia e profonde emozioni che sono di tutti noi. SCHIAFFO. Sulle testate on line e sui blog di destra, di solito così solerti a incensare ogni mossa di Trump, la sconfitta in Alabama del candidato repubblicano al Senato non si è trovata da nessuna parte. O, se c'era, in pochi l'hanno vista, sperduta tra le notizie in breve. E dire che in questo Stato, dove appena un anno fa il Presidente aveva disintegrato Hillary Clinton, il Gran Old Party da vent'anni poteva starsene comodamente nel fortino senza che la sua supremazia venisse mai posta in discussione. Ma nemmeno l'invincibilità più ferrea, quando il troppo è troppo, poteva bastare a contenere le stralunate esternazioni di Roy Moore, estremista filo-razzista, coinvolto in una serie di scandali sessuali e che faceva campagna a cavallo magnificando l'età dello schiavismo. A rompere la roccaforte repubblicana ha provveduto il democratico Doug Jones, che oltre a incassare una vittoria clamorosa rende ancora più striminzita la maggioranza repubblicana al Camera alta. Uno schiaffo per Trump, che era sceso in campo personalmente per sostenere il suo candidato; uno schiaffo destinato a lasciare a lasciare il segno a un anno dalle legislative. Un personaggio come Ray Moore in un altro Stato anche solo un pochino meno reazionario dell'Alabama non sarebbe stato neppure presentabile. DIRITTI. Siamo rimasti impietriti per la tragica fine di Madina, la bimba afgana di sei anni travolta e uccisa dal treno mentre camminava sui binari sognando l'Europa. La sua giovane vita è stata spezzata brutalmente mentre errava da una frontiera all'altra come migliaia di profughi in cerca di asilo. Per lei la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo era solo un pezzo di carta ignorato dai responsabili di tali atrocità. L'anno prossimo si celebrerà il 70esimo anniversario della Dichiarazione, voluta quale risposta agli orrori, le ferite e le rovine della Seconda guerra mondiale. Di progressi in questo campo ne sono stati fatti, certo, ma l'odissea di Madina testimonia, specie di questi tempi segnati dall'intolleranza verso chi fugge dai conflitti e dalla fame, quanta strada resta ancora da fare prima di debellare le peggiori discriminazioni a danno dei più deboli. Se i valori insiti nella Dichiarazione sono i pilastri fondamentali di una società giusta, difenderli può costare la vita o la privazione delle libertà individuali. Guai, quindi, arrendersi. INDIETRO. Il difficile comincia adesso. Agli eurofobici incalliti non sembrava vero di recitare il De Profundis dell'UE dopo il primo parziale successo dei negoziati sulla Brexit. Aggiungendovi, tanto per non farsi mancare nulla, il solito benservito alle " zecche rosse" che svendono l'Italia per trenta denari. Ma l'intesa tra Bruxelles e il Regno Unito è soltanto il primo tassello di una ancora lunga marcia negoziale il cui esito alla fine molto dipenderà dagli equilibri politici a Londra. Theresa May torna a casa con la consapevolezza che il divorzio si consumerà nel reciproco rispetto, ma senza la certezza di riuscire a portarlo a buon fine. La sua sopravvivenza a Downing Street deve fare i conti con gli umori dell'opinione pubblica, consapevole che il distacco sarà molto oneroso, e con la possibilità che i laburisti vadano al governo. Tanto che Oltremanica più di qualcuno vorrebbe rimettere indietro le lancette del referendum. Anche quelle della Brexit. RISORSE. A vederla in televisione con quel viso tirato e gli occhi sempre più grandi e corrucciati, anche i suoi avversari più determinati provano una certo imbarazzo a metterla alle corde. Però, malgrado il dovuto rispetto, non si può fare a meno di analizzare l'operato di Virginia Raggi, che da quando è diventata sindaca di Roma ha fatto e disfatto la sua giunta, ma ha governato e combinato poco. Colei che doveva essere l'alfiere del cambiamento e il simbolo della "rivoluzione grillina" a ragion veduta un anno dopo l'elezione presenta un bilancio molto modesto. D'accordo, cambiare Roma in tempi brevi è impossibile. Ma nella "caput mundi" nulla sembra essere mutato e se la città mantiene ancora intatto il suo fascino agli occhi di milioni di turisti non è certo per il mito appannato della felliniana Dolce vita, ma per il concentrato di storia che vi si respira a ogni angolo. L'inquilina del Campidoglio non è l'unica responsabile del degrado che nell'Urbe ha radici antiche. Ora arriveranno nuove risorse per rilanciare la ripresa, ma resta da vedere se la Raggi sarà ancora alla guida della città anche dopo le elezioni di primavera. SCANDALO. A guardare bene non è poi così esatto sostenere che l'ex cavaliere, tornato di colpo al centro della scena politica, sia il capostipite di quel fenomeno di costume ormai noto e citato in tutto il mondo col nome di "bunga bunga". Le "cene eleganti" sono sempre esistite ed a ricordarcelo è la scomparsa di Christine Keeler, splendida modella degli anni sessanta, che si trovò coinvolta in una torbida vicenda di tale ampiezza da fare tremare l'occidente. Ora il suo nome dice nulla ai più, ma quando aveva appena 19 anni la sua torrida relazione con John Profumo, allora ministro della guerra, portò alla caduta di un intero governo di Sua Maestà, quello conservatore guidato da Harold Macmillan. E poiché tra le relazioni della ragazza figurava anche un agente del controspionaggio sovietico ne scaturì in piena guerra fredda uno scandalo enorme che metteva a repentaglio la sicurezza nazionale e internazionale secondo i canoni di una spy story in piena regola, consumata tra le lenzuola. SIMBOLI. Un altro attentato a New York. Nelle mille luci che illuminano l'immensa metropoli natalizia e festante, di colpo si è fatto buio. Come una folata di vento impetuoso il bagliore dell'esplosione ha paralizzato l'affollatissima Times Square, la piazza simbolo della città dove transitano 500 mila pedoni al giorno. La paura per le conseguenze immediate del folle gesto si è dileguata in tempi brevi, una volta capito che non c'erano vittime. Ma l'inquietudine per quel " terrore fai da te" con l'ausilio di una bomba rudimentale rimane comunque presente nei gangli vitali della città che ha conosciuto prove ben più drammatiche, ma che sempre ha reagito senza cedere all'isteria. L'attentatore, sbucato dal nulla, è un lupo solitario che si definisce militante dell'Isis, che forse è stata debellata ma non nelle menti di chi ne è rimasto contagiato: la qualcosa rende lui ed i suoi imitatori ancora più pericolosi e incontrollabili. Ma New York non sarebbe New York se non tenesse i nervi saldi. Nelle avversità la Grande Mela ha le sue ancore di salvezza, i suoi simboli vincenti entrati nell'immaginario collettivo come il famoso bacio del marinaio all'infermiera, proprio a Times Square; un bacio più forte delle calamità per festeggiare la fine della guerra e di un incubo. |
LAVORO E DIRITTI a cura di www.rassegna.it Sindacalisti e migranti Voci dalla conferenza nazionale sull'immigrazione. "Dalla raccolta dei pomodori agli scioperi". "In Albania non c'era il sindacato". "Facevo il facchino, poi nella Cgil". "Vengo dal Senegal, ma sono italiano". Danesh: lanciamo un messaggio di uguaglianza. di Emanuele Di Nicola È stata una due giorni dedicata ai diritti dei migranti, la Conferenza nazionale della Cgil dal titolo "Nuove sfide, universalità dei diritti, libera circolazione", che si è chiusa oggi (13 dicembre) a Roma al centro congressi Frentani. A seguire i lavori una platea di cittadini stranieri, delegati, funzionari e sindacalisti che nel corso del tempo sono arrivati nel nostro Paese, hanno conosciuto la Cgil e scelto di farne parte. Oggi si impegnano nel sindacato, ognuno nei rispettivi ruoli, per garantire le tutele non solo ai nuovi italiani, ma a tutti i lavoratori. Non si pensi però a un'iniziativa di settore. Lo ha detto chiaramente dal palco Ibrahima Niane, nato a Pikine, Senegal, oggi segretario generale della Fillea Cgil di Brescia: "Se c'è qualcuno che ha meno diritti degli altri, allora non si salva più nessuno, che sia straniero o italiano: per questo i problemi dei migranti in realtà sono i problemi di tutti". La conferenza ospita tanti volti e voci. Come Jamal Qaddorah, Cgil Campania, responsabile dell'immigrazione e direttore dell'Inca regionale: "Sono palestinese, vengo dalla Giordania. Sono arrivato in Italia per studiare nel 1982 - esordisce -. Ho frequentato Lettere e filosofia a Napoli, da studente ero già un attivista. Per mantenermi ho fatto parecchi lavori: ho lavorato a Villa Literno nella raccolta dei pomodori, poi in una pizzeria e nella lavorazione del tabacco. Dovevo guadagnare qualcosa per mantenermi negli studi: a pensarci bene, è quello che fanno oggi molti italiani".
A Villa Literno risale il ricordo più difficile: "Abbiamo lavorato una settimana senza essere pagati, siamo stato perfino minacciati con una pistola. A quel punto è stata proprio la Cgil a portarci dal prefetto di Caserta per segnalare la situazione". La lotta del sindacato era già in atto: "Nel 1988 abbiamo organizzato il primo sciopero degli migranti a Villa Literno: un anno dopo è morto Jerry Masslo. Ora ci troviamo a scioperare insieme ai lavoratori italiani, ma gli stranieri lo hanno fatto prima". Nel frattempo è iniziata l'esperienza in Cgil: "Nel 1986 mi hanno chiesto una mano per gestire la prima sanatoria in Italia, nel 1988 fu creato il primo coordinamento immigrati della Cgil nazionale. A Napoli abbiamo costituito quindici associazione di migranti, provenienti da diversi paesi, ma non ci consideriamo una categoria: già allora gli stranieri andavano all'ufficio migranti per ottenere il permesso di soggiorno, ma poi si iscrivevano alle singole categorie. È questa la forza della Cgil, gli stranieri non si sono mai ghettizzati, sono prima di tutto lavoratori. Oggi la tutela dei migranti è per noi naturale, nell'ordine delle cose: purtroppo gli stranieri vengono strumentalizzati dai partiti politici, mi dispiace non per loro, ma per gli italiani". Jean-René Bilongo, della Flai nazionale, ha incontrato il sindacato a Castel Volturno. "Sono arrivato dal Camerun nel 2000 - racconta -, ho subito partecipato alle battaglie sociali che facevamo sul territorio. In breve sono diventato attivista, ho preso parte a lotte e scioperi per molti anni: poi è partito un percorso graduale che mi ha portato, oggi, a diventare responsabile per l'immigrazione nella Flai". Il sindacalista ricorda i lavori passati: "Moltissimi - dice -: ho fatto il muratore, il bracciante agricolo, perfino il mandriano. Poi ho iniziato a lavorare nelle cooperative, da lì è iniziata la mia esperienza di militanza". Sono vari i percorsi che portano ad avvicinarsi al sindacato. Può capitare, ad esempio, di farsi aiutare nella dichiarazione dei redditi. Charles Tchameni Tchienga oggi fa parte del comitato direttivo della Filt e della Cgil di Ravenna, è anche delegato sindacale. "Sono camerunense e quando arrivai in Italia facevo il facchino: mi sono rivolto per la prima volta a una sede sindacale proprio per la compilazione del 730". Sempre a Ravenna lavora Sokol Palushaj, della Filcams, di origine albanese: "Ho conosciuto la Cgil perché era l'unico sindacato che faceva partecipare i migranti alla vita pubblica. Nel 2003 mi hanno chiesto di entrare a farne parte: ero ancora acerbo, ovviamente, in Albania dopo quarant'anni di dittatura non esisteva il sindacato. Solo qui ho capito cos'è un'organizzazione dei lavoratori". "Io sono italiano", dice Tall Papa Moctar, responsabile coordinamento migranti della Cgil di Parma. "Sono nato in Senegal, ma italiano", ci tiene a specificare. "Sono arrivato in Italia vent'anni fa, ho lavorato con agenzie interinali, poi in un'azienda metalmeccanica a Parma: nel 1999 mi sono iscritto alla Fiom. Partecipavo agli scioperi, così ho conosciuto la Cgil, poi ho lavorato in una multinazionale americana che produce sementi: mi sono candidato come Rsu, ero l'unico nero, sono stato eletto con un alto consenso". Per lui la Cgil è anche "un'agenzia di integrazione per i migranti", così la definisce. Guardando alla situazione di oggi, Moctar è preoccupato: "Ne vedo di tutti i colori. Pensa solo agli episodi di Como e Forlì, ai neofascisti contro le associazioni che sostengono i migranti. L'estrema destra non ha colore, è nemico di tutti: i cittadini insieme devono sconfiggere la paura, e devono farlo attraverso il lavoro. Nelle aziende del nostro territorio gli italiani lavorano ottimamente insieme agli stranieri, sono integrati bene: si tratta di trasferire questo clima all'interno della società". Per farlo è essenziale anche lo Ius soli: "Un bambino che nasce qui è italiano - chiarisce -: è un valore aggiunto della società, lo Stato lo deve riconoscere e concedergli una possibilità". A tracciare un bilancio è Kurosh Danesh, responsabile Ufficio immigrazione della Cgil nazionale: "La due giorni è andata molto bene. Credo che il sindacato confederale avrà un futuro virtuoso se porterà avanti con forza l'idea di uguaglianza e universalità dei diritti. Bisogna mettere insieme la lotta di tutti contro il nemico comune, ovvero le ingiustizie nel mondo del lavoro. Il nostro deve essere davvero un sindacato dei diritti: per i migranti, certo, ma anche per i diritti di tutti. Questi i messaggi che abbiamo voluto lanciare dalla conferenza: il giudizio, dunque, non può che essere positivo". |
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Giamaica È uscito il numero 11/12 di "mondoperaio". Di seguito riportiamo l'editoriale del direttore Luigi Covatta, invitando all'acquisto della rivista in formato PDF (vai al sito) di Luigi Covatta Sconsigliabile, di questi tempi, veleggiare verso la Giamaica. I porti dell'isola – su cui sventola una improponibile bandiera con una croce di sant'Andrea gialla che separa spicchi neri e verdi – non sono sicuri, e sono adatti al massimo al piccolo cabotaggio. Deve essersene resa conto anche Angela Merkel, che pure proprio sotto un vessillo così antiestetico ha dovuto condurre il primo giro di consultazioni per formare un governo dopo il voto del 24 settembre: in cui, peraltro, non ha investito più che tanto della propria energia. In quella direzione l'avevano spinta tanto l'insipienza dei nuovi vertici della Spd (del resto già evidente nel corso della campagna elettorale) che la coazione a ripetere di cui continuano a dare prova gli altri soggetti politici (osservatori o protagonisti che siano): la cui visuale raramente va oltre lo spazio che separa un'elezione regionale dall'altra per assemblare col pallottoliere una coalizione qualsiasi. Il governo federale, invece, deve affrontare una situazione oggettiva che esigerebbe qualche sforzo di fantasia. Se ne è parlato il 17 novembre in un seminario che abbiamo tenuto a Bologna insieme con l'Associazione Socialismo e con la Feps. Ne daremo conto nei prossimi numeri della rivista, e comunque chi vuole può ascoltare fin d'ora sul nostro sito gli interventi di Paolo Pombeni, Silvia Bolgherini, Gabriele D'Ottavio, Mario Caciagli, Pierluigi Ciocca, Michele Marchi e Gilberto Gabrielli. Tutti hanno sottolineato che al fondo della crisi tedesca ci sono le difficoltà in cui versa l'Unione europea, cornice ineludibile del futuro della Germania. Ed anche per questo è più utile rileggere il discorso pronunciato da Macron alla Sorbona qualche settimana fa (che abbiamo pubblicato nel numero di ottobre), piuttosto che analizzare i motivi di dissenso fra liberali e verdi (e soprattutto fra Cdu e Csu). Per Macron l'attuale debolezza dell'Unione europea risale a due dei suoi vizi d'origine: quello di essere cresciuta "al riparo" del Muro di Berlino (in opposizione al blocco sovietico, cioè, prima ancora che per ragione propria); e quello di essere vissuta "al riparo" dei popoli, grazie al carattere verticistico della sua governance. Ed è solo questo il tema su cui si può formare una coalizione in grado di governare un paese senza il quale l'Europa non esiste, ma che a sua volta senza l'Europa non può esistere. A quanto pare ora se ne stanno accorgendo anche i socialdemocratici: ma c'è voluto l'intervento di un dinosauro come il presidente federale Steinmeier per convincerli. Neanche da noi, come sappiamo, nella sinistra mancano i dinosauri. Ma hanno lo sguardo rivolto al passato più recente, senza misurarsi né con la storia, né tanto meno con il presente. Dell'Ulivo che fu maneggiano più volentieri i rami robusti che servono a bastonare gli avversari che non i ramoscelli che annunciano la pace: e qualche volta sembra che preferiscano isolarsi nel Jurassic Park piuttosto che affrontare le sfide che attendono tutti noi mortali. Con buona pace di quanti si compiacciono di essere compagni al duol coi tedeschi, quindi, talvolta si ha l'impressione che persista quella che negli anni '80 qualcuno definiva "la felice anomalia italiana", e che noi individuavamo invece come elemento di debolezza: ora aggravato per il venir meno degli equilibri pur imperfetti che bene o male avevano governato i primi quarant'anni della nostra vita repubblicana, e che da almeno un ventennio sono stati sostituiti dal nulla. Perciò, nel descrivere amaramente "la congiuntura che attraversa la democrazia liberale in Occidente", ha fatto bene Biagio de Giovanni (sul Mattino del 19 novembre), a ricordare anche il discorso che Aldo Moro pronunciò a Benevento quarant'anni fa: quando spiegò ai democristiani che il futuro non era più interamente nelle loro mani, e che occorreva riformare il sistema politico per coinvolgere in qualche modo il Pci nel governo del paese. Inutile sottolineare che oggi nel vocabolario del giornalista collettivo il discorso di Benevento verrebbe automaticamente classificato come "inciucio" (facendo violenza non solo alla razionalità politica, ma anche al dialetto napoletano). Più utile, invece, capire come e perché nel nostro paese il dibattito pubblico sia ancora così lontano da quel contesto europeo in cui comunque il nostro sistema politico si colloca: ed anche chiedersi come mai da noi le coalizioni non solo si fanno prima delle elezioni, ma dopo sono destinate puntualmente a sciogliersi. In realtà in questi anni abbiamo vissuto un altro "miracolo italiano": quello che ha visto formarsi e svilupparsi un sistema dei partiti fondato soltanto sulla manipolazione delle leggi elettorali. Anche ora, per effetto della nuova legge, vediamo risorgere un centrodestra fino a ieri dilaniato da tutte le divergenze possibili e immaginabili, e sotto la guida di un personaggio fino a ieri dato per spacciato a ragione di tutte le nequizie possibili e immaginabili. Ma è innegabile che lo stesso centrosinistra ha preso forma anche in relazione alle convenienze elettorali: che presumevano l'esistenza di un "dirimpettaio" di Berlusconi, come disse Michele Salvati quando avviò la lunga gestazione del Pd. Non so se e quanto sarà effimera la rinascita del centrodestra. Di una rinascita del centrosinistra, invece, a quanto pare non è neppure il caso di parlare. Forse perché la temporanea eclisse del berlusconismo ha messo fuori corso quell'antiberlusconismo che era parte consistente della sua identità. O forse perché in attesa che qualcuno andasse davvero in Africa e qualcun altro si dedicasse a tempo pieno all'enologia – abbiamo assistito al naufragio di gruppi dirigenti che avevano pensato di poter aggiornare la propria cultura politica cambiando nome ogni cinque anni, ma tenendosi anch'essi rigorosamente "al riparo" dal popolo: fino a vedere porzioni consistenti di quello stesso popolo cercare rifugio sotto un cielo trapunto da ben cinque stelle, dopo avere invano atteso che venisse illuminato dal sol dell'avvenire. In Italia infatti anche il populismo è "anomalo". Così come, cinquant'anni fa, era difficile assimilare la Dc alla Cdu (ed il Pci non era catalogabile fra i partiti di stretta obbedienza sovietica), ora il M5s non è assimilabile agli altri movimenti populisti che si stanno affermando in Europa, ma piuttosto rimanda ad alcune caratteristiche – le più discutibili che fino agli anni '90 del secolo scorso hanno distinto il nostro dagli altri sistemi politici europei. Anche nel caso del movimento di Grillo, cioè, non è inutile sfogliare l'album di famiglia. Magari per ricordare che la constituency elettorale del Pci era formata anche da componenti tradizionalmente protestatarie (benché tenute a freno da un gruppo dirigente che praticava con sapienza il centralismo democratico), alle quali poi se ne aggiunsero altre puramente e semplicemente moralistiche. Senza dire che l'album di famiglia potrebbero utilmente sfogliarlo anche molti reverendi padri che fino a trent'anni fa si compiacevano di avere tenuto insieme un elettorato sostanzialmente agnostico rispetto all'asse destra/sinistra. "L'identità della Dc erano i suoi voti", scrisse nel '94 Gianni Baget Bozzo: e con tutte le ovvie cautele si può dire altrettanto dell'identità del M5s: dorotea all'estero, massimalista in patria ed inconcludente in utroque, anche grazie all'esperienza del nullismo politico della seconda Repubblica con cui le nuove generazioni hanno potuto arricchire il menù. Del resto gli italiani sono ancora quelli che vent'anni fa pensarono "di liberarsi del proprio passato depositando nell'urna una scheda sacrificale a costo zero", come scrisse Mauro Calise commentando il successo dell'imprevista discesa in campo di Berlusconi: e che ora si apprestano a depositare la stessa scheda sacrificale ai piedi di un altro parvenu della politica. In questo quadro il centrosinistra non sarà più o meno "largo" a seconda dell'esito delle esplorazioni di Piero Fassino, ma solo se smetterà di essere quella "sinistra senza popolo" di cui parlava de Giovanni già una decina di anni fa: e sempre che il "popolo" non vada a cercarlo fra i pensionandi ai quali risparmiare cinque mesi di lavoro, ma fra i giovani che non riescono a scalfire l'armatura corporativa della nostra società e fra i talenti che la nostra società non valorizza. Del resto, ora che non ci sono più premi di maggioranza da lucrare e collegi sicuri da elargire, non è detto che questa condizione non giovi al centrosinistra che verrà: e che auspicabilmente non fonderà la propria identità solo sulle convenienze elettorali. |
FRESCHI DI STAMPA Per assoluta mancanza di spazio la pubblicazione della 28.ma puntata di "Freschi di stampa" è rinviata all'ADL della prossima settimana. |
Letzte Front
Mostra zurighese dedicata alla vita e all'opera di Andy Rocchelli (1983-2014), curata da Miklós Klaus Rózsa. Iniziativa promossa nel 120° dell'ADL Ingresso libero. Orari: mercoledì-sabato 12-21. domenica 12-18 Abbiamo promosso questa mostra per chiedere che si faccia luce sull'assassinio di Rocchelli e Mironov. Protestiamo contro la disumanità della guerra e contro l'uccisione dei giornalisti di guerra per mano di chi vuole negare il diritto di tutti a essere informati da fonti indipendenti su ciò che realmente accade nei teatri bellici. – La red dell'ADL Organizzano: Collettivo Cesura, Coopi, Fabbrica di Zurigo, Famiglia Rocchelli, Fondo Gelpi Ecap Schweiz, Photobastei, Società Dante Alighieri, Syndicom Schweiz. Con il patrocinio dell'Istituto Italiano di Cultura Zurigo e della Camera di Commercio Italiana per la Svizzera. Info: +41 44 2414475 - cooperativo at bluewin.ch Crowdfunding OBIETTIVO RAGGIUNTO Il nostro obiettivo di auto-finanziamento è stato raggiunto e superato: abbiamo, infatti, raccolto 7'625 CHF (circa € 6'550). All'inizio del 2018 pubblicheremo sull'ADL il bilancio consuntivo dell'iniziativa. |
LETTERA Biotestamento: Avvenire contro papa Francesco La linea di "Avvenire" sul testamento biologico è in contraddizione con gli inviti di papa Francesco a un esplicito dialogo positivo con le "diverse visioni del mondo, le diverse convinzioni etiche e le diverse appartenze religiose". L'Avvenire di martedì e di mercoledì, come ancora nel recente passato, reca in apertura di prima pagina la questione della legge sul fine vita. Da tempo editoriali e continui interventi contrastano in modo enfatico il progetto di legge in discussione con argomentazioni ripetitive che cercano di dare autorità soprattutto alle posizioni barricadiere di un piccolo gruppo di parlamentari di destra e di alcune associazioni ancora pronte a richiamarsi ai ruiniani "valori non negoziabili". Quasi nascoste sono le posizioni, ampiamente presenti nel mondo cattolico, che sono di segno diverso. Ricorderò quella della rivista dei gesuiti "Aggiornamenti sociali", quella di Mario Marazziti, portavoce di S.Egidio, che in quanto Presidente della competente Commissione della Camera ha contribuito alla redazione del testo in discussione, quella del prof. Francesco D'Agostino, Presidente dell'Unione Giuristi Cattolici e la ben nota appassionata lettera dell'allievo di don Milani Michele Gesualdi, ammalato di SLA, inviata ai parlamentari. Ci sembra che la vera e propria campagna del quotidiano cattolico voglia prendere la rivincita sui casi Welby ed Englaro, rispetto ai quali una riflessione autocritica di chi si comportò male nella Chiesa arriverà sempre troppo tardi. La linea dell'Avvenire è quella di sostenere che la sua sarebbe anche la posizione del papa. Però la lettura dell'intervento di Francesco del 16 novembre su queste questioni non solo ricorda l'insegnamento tradizionale della Chiesa, disatteso nei due casi ricordati che fecero tanto scalpore, ma delinea anche come ci si debba comportare nello spazio pubblico su un tema così delicato . Questo brano illuminante del discorso del papa è stato ignorato. Esso parla di soluzioni condivise tenendo "conto della diversità delle visioni del mondo, delle convinzioni etiche e delle appartenenze religiose, in un clima di reciproco ascolto e accoglienza" "per trovare soluzioni-anche normative- il più possibile condivise" . Perché il silenzio su questa apertura alla pluralistica società civile e questo suo indiretto invito a non fare le barricate? Il testo in discussione tenta di dare dei binari minimi stabili, validi per malati, famigliari e sanitari, per i comportamenti che hanno a che fare con la difficile zona grigia del fine vita, densa di dubbi e di difficoltà, contenendo il tradizionale preponderante ruolo del personale sanitario, facilitando l'alleanza terapeutica, l'accompagnamento del malato e auspicando le cure palliative. Il testo è il prodotto di anni di discussione con le varie aree indicate dal papa di differente orientamento culturale con cui è necessario discutere in una società democratica. Le assillanti obiezioni hanno da tempo ricevuto argomentate risposte. Noi Siamo Chiesa, in ripetuti testi leggibili sul proprio sito, le ha esaminate e contraddette con attenzione. Perché insistere oggi in una linea che si dovrà accettare in futuro e sulla quale auspicabilmente si dovrà poi fare autocritica? Vittorio Bellavite, coordinatore di Noi Siamo Chiesa |
L'AVVENIRE DEI LAVORATORI EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897 Casella postale 8965 - CH 8036 Zurigo L'Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigrazione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del "Centro estero socialista". Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall'Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all'estero, L'ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mondiale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l'Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L'ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l'integrazione dei migranti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all'eclissi della sinistra italiana, siamo impegnati a dare il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appartiene a tutti. |
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