L'AVVENIRE DEI LAVORATORI La più antica testata della sinistra italiana, www.avvenirelavoratori.eu Organo della F.S.I.S., organizzazione socialista italiana all'estero fondata nel 1894 Sede: Società Cooperativa Italiana - Casella 8965 - CH 8036 Zurigo Direttore: Andrea Ermano > > > PDF scaricabile su http://issuu.com/avvenirelavoratori < < < e-Settimanale - inviato oggi a 45964 utenti – Zurigo, 8 settembre 2016 |
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Investimenti - «Che noi investiamo in mine antiuomo o in arti artificiali, l’importante è dove c’è il guadagno. E va bene. Cioè, no. Non va bene!» – Francesca Rigotti Dalla lezione magistrale “Onore democratico”, tenuta al Festival di Filosofia di Modena >>> vai al video sul sito del Festival di Modena |
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EDITORIALE Pianeta dei robot in Presa diretta Cresce la proposta del salario di cittadinanza nella prospettiva di una fuoriuscita umana dalla produzione. di Andrea Ermano Profughi, muri, Europa, Erasmus, disoccupazione giovanile galoppante. Eventi sismici, dissesto idro-geologico e ambientale, messa in sicurezza di case e città tra farciture di furbismo e ingenuità. Globalizzazione finanziaria, multinazionali della mega-evasione fiscale e autorità monetarie sull’orlo di una crisi di nervi. Nel panorama, frastagliatissimo, dei “mezzi di distrazione di massa” riemerge, come una turba dal rimosso, l'esigenza di discutere… programmi politici. Riemerge la necessità della Politica con la “p” maiuscola, intesa come l'agire di una comunità finalizzato al bene comune. E si verrebbe presi dal dubbio amletico di cui scrive Cacciari in un suo saggio, bello ma inquietante, circa la natura fantasmatica (angelica? spettrale?) dell'agire, del volere e de l'umane posse. Sì, si verrebbe presi dalla “tenia metafisica” se gli eventi non urgessero e quindi veniamo al punto. Decisamente bella la puntata di “Presa diretta” dal titolo Il pianeta dei robot, andata in onda il 6 settembre su RaiTre e dedicata al tema della robotizzazione, dell'intelligenza artificiale, della disoccupazione tendenzialmente universale e del salario di cittadinanza “incondizionato” (cioè slegato da prestazioni lavorative e collegato soltanto a una dimensione estesa, ma ancor vaga, dei diritti civili). Domanda: siamo alla vigilia di quel processo epocale che condurrà alla fuoriuscita del genere umano dalla produzione? I dispositivi tecnologici stanno senza dubbio per assumere una parte notevole dei compiti connessi alla generazione di prodotti, beni, servizi e quindi ricchezza. Si giudica che una macchina possa “lavorare” 24 ore al giorno, ogni giorno, senza pausa, senza lamentarsi, senza chiedere aumenti salariali, senza salti nelle prestazioni, senza minacciare e men che meno attuare agitazioni sindacali.
Il mimo Daniel Richter nella scena degli ominidi in 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrik (1968) Dunque, la docilità dei dispositivi tecnologici – per chi sia in grado di implementare nel proprio ciclo produttivo un incremento di automatizzazione – comporta notevoli abbattimenti dei costi con gli enormi vantaggi competitivi che ne conseguono rispetto al gradimento del mercato e dei consumatori. Dunque, la forza materiale che volens nolens ci trascina a un'utilizzazione e a una fruizione sempre più massicce di dispositivi tecnologici in vece delle prestazioni del lavoro umano ha un nome a tutti ben noto, è la massimizzazione del profitto. Il problema di questa quarta rivoluzione industriale consiste nel fatto che essa non costringerà i contadini a trasferirsi nelle fabbriche tessili e nelle miniere mosse dall'energia a vapore (prima rivoluzione industriale), né indurrà altri contadini o figli di contadini a trasferirsi nelle industrie a matrice chimica o siderurgica delle grandi città mosse dall'energia fossile ed elettrica (seconda rivoluzione industriale), né infine motiverà i figli degli operai a ritagliarsi un ruolo più o meno solido o precario nel settore dei servizi e delle prestazioni intellettuali (terza rivoluzione industriale). Il problema di questa quarta rivoluzione industriale consiste nel fatto che essa tenderà a rendere disoccupati quasi tutti gli esseri umani. Né più né meno. Ma ecco sorgere allora la seguente domanda: se i pochi o pochissimi lavoreranno e quasi nessuno sarà in grado di guadagnarsi uno stipendio, chi mai potrà – alla lunga – acquistare i beni e i servizi generati dal sistema economico-tecnologico, una volta che l'automazione avrà escluso la maggior parte di noi dal ciclo produttivo? La risposta suggerita da un numero crescente di economisti consiste nel proporre l'introduzione di un salario di cittadinanza incondizionato. Sarà questa “mossa del cavallo” a catapultarci tutti in una nuova era? Ci stiamo muovendo verso la riedizione planetaria delle fraternità proto-cristiane all’interno delle quali “tutti quelli che possedevano poderi e case li vendevano, portavano l’importo delle case vendute, e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi, veniva distribuito a ciascuno, secondo il bisogno”? (At. 4, 35 - corsivo mio).
Manifesto elettorale socialista per l’Assemblea Costituente (1946) Questa antica “comunione dei beni” è stata ripresa e rilanciata, come si sa, da Karl Marx (“da ciascuno secondo le sue capacità e a ciascuno secondo i suoi bisogni”) nel prefigurare l’esito cui tende la rivoluzione sociale: “Al posto della vecchia società borghese con le sue classi e le sue contrapposizioni di classe, subentra un'associazione in cui il libero sviluppo di ciascuno è condizione del libero sviluppo di tutti”. Lì, dunque, ci porta l’economia globalizzata nel giro di uno-due decenni? È da dubitarne. Ma il discorso si sta facendo troppo difficile e complesso. Occorrerà ritornare diverse volte ancora su questa singolare variante della Questione socialista come, dove e quando non te l'aspetteresti. |
LE RAGIONI DEL MIO NO (2/3) A spese di tutti La revisione costituzionale rafforzerebbe unilateralmente il Governo indebolendo tutti gli altri poteri costituzionali. di Felice C. Besostri Abbiamo visto che la revisione costituzionale in procinto di essere sottoposta a Referendum i poteri del Governo aumentano. Ma – dopo aver rafforzato il Primo Ministro – c’è che il Governo, e solo il Governo (neppure la Camera dei Deputati a maggioranza assoluta!), può “intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva” (grazie al nuovo art. 117 c. 4 Cost.) basta che affermi di farlo per tutelare l'interesse nazionale o l'unità giuridica ed economica della Repubblica In forza del nuovo art. 72 c. 7 Cost., il Governo, quando dichiari un disegno di legge essenziale per il proprio programma (dichiarazione non soggetta a controllo), può imporne l’iscrizione nel programma dei lavori della Camera affinché possa essere approvato in via definitiva entro 70 giorni. Un'umiliazione di un Parlamento nel quale il Governo detiene comunque la maggioranza grazie al premio (vedi alla voce “Italikum”) che gli attribuisce 340 seggi su 630. Ma non si fida neppure della sua maggioranza! Bastava introdurre il voto di sfiducia costruttiva, istituto che funziona benissimo in Germania. In questo modo, invece, la Camera è ridotta a ratificare senza discussione tutto quel che vuole il Governo e il suo Presidente. In realtà il Governo si rafforza indebolendo tutti gli altri poteri costituzionali. Il Senato di 100 membri non rappresenta più il popolo italiano, che comprende anche i cittadini residenti all'estero, e neppure le “istituzioni territoriali” come falsamente dice il nuovo art. 57 c. 1 Cost. I cinque membri della Corte Costituzionale sono stati finora eletti da un Parlamento di 945 membri in seduta comune. D’ora in poi ci sarebbero tre membri eletti da una Camera nelle mani del Governo e due da un Senato di appena 100 membri, a mezzo servizio, i quali penseranno ovviamente a nominare giudici che difendano i loro interessi e non i principi costituzionali. L’elezione del Presidente della Repubblica dipenderà dalla lista vincitrice grazie al premio di maggioranza, la quale può bloccare all'infinito la procedura, frattanto occupando il posto di Capo dello Stato provvisorio con il “proprio” Presidente della Camera (nuovo art. 86 c. 1 Cost.). Il Presidente della Camera appartiene infatti al Governo conseguendone l’elezione dal “bottino maggioritario” (vedi alla voce “Italikum”). Il capo della lista tributaria del premio di maggioranza ha uno strumento di pressione in più nei confronti del Presidente della Repubblica, perché questi può essere messo in Stato d'accusa dalla maggioranza assoluta del Parlamento in seduta comune (art. 90 Cost.). Ma non c’è più un Parlamento di 945 membri eletti, né il quorum è di 473 voti. D’ora in poi c’è solo una Camera di 630 membri dominata dal partito di Governo più 100 Senatori nominati. Cioè il quorum è ora di 365 voti. A tal fine il Capo del Governo non deve far altro che trovare 25 senatori. Impresa particolarmente facile tra i sindaci e i consiglieri regionali appartenenti allo stesso partito tributario del premio di maggioranza e quindi influenzabili (ricattabili?) o perché in scadenza di mandato o perché comunque sensibili alla benevolenza finanziaria del governo. I costi della politica sono stati identificati soltanto con le indennità di carica dei rappresentanti eletti dal popolo e non con una riduzione dei costi degli apparati: la sola Presidenza del Consiglio ha più addetti (e costa più) del Senato a causa di una pletora di consulenti strapagati e scelti discrezionalmente, la grande maggioranza senza concorso pubblico, in spregio all'art. 97 c. 3 Cost.. Una riduzione del 10% di tutte le indennità avrebbe comportato un risparmio maggiore della riduzione di 215 senatori. Che il costo delle indennità dei senatori consiglieri regionali e sindaci sia pagata dalle loro Regioni o Comuni è un risparmio per il bilancio dello Stato, ma un costo maggiore per Regioni e Comuni, che pagano un'indennità per svolgere un lavoro diverso da quello per cui sono stati eletti, con l'aggravio di indennità di trasferta. E che dire dell'assurdità d’indennità diverse per la stessa funzione senatoriale, ove questa sia svolta dal deputato regionale siciliano, pagato come un parlamentare nazionale, piuttosto che dal sindaco di un piccolo Comune che percepisce 2.000 euro al mese? Il nuovo Senato dovrebbe rappresentare le “autonomie”, ma non è vero: rappresenta solo i consigli regionali che scelgono i sindaci all'insaputa dei loro colleghi nella stessa Regione. Il nuovo Senato dovrebbe rappresentare le autonomie… Ma allora perché si tiene nascosto che, se il Sindaco di una delle Città Metropolitane (le entità territoriali più importanti) si fa eleggere direttamente, non può essere nominato senatore: un'assurdità. (2/3. Continua) |
SPIGOLATURE I profughi in TV e la paura nelle urne di Renzo Balmelli DESTINO. Grazie alla salutare tenuta della SPD forse sarà ancora possibile sfuggire alla marea nera del Meclemburgo. Tuttavia sarebbe vano illudersi che la minaccia sia sventata. Infatti, comunque la si declini, l'attrazione fatale esercitata dalla AfD (Alternative für Deutschland) va oltre l'emergenza migranti, usata in gran parte quale grimaldello elettorale in funzione del potere. E ciò non tanto per le ricadute politiche immediate, che restano ancora da valutare, quanto per le reazioni che il risultato potrà produrre sul piano psicologico nella mente della gente in questa fase di grande incertezza nella vita di ogni giorno e di non minori paure nelle urne. Se una percentuale tanto alta sostiene l'estrema destra in un Land che i profughi li ha visti quasi soltanto in televisione, il governo non dovrebbe reinventare la propria politica migratoria, bensì quella dell'educazione e la corretta lettura dei media. E sarà appunto ragionando in questi termini che capiremo se il buon senso riuscirà, col contributo decisivo della sinistra, a rafforzare gli anticorpi democratici oppure se quello della Cispomerania sarà stato davvero il “voto del destino”, lo Schiksalswahl che in tedesco si carica di significati inquietanti e tenebrosi. BUONISMO. Chiunque salva una vita salva il mondo intero. Memore della citazione incisa nel Talmud e che rimanda all'orrore della Shoah, la comunità dei popoli civili dovrà rivedere le proprie priorità e di conseguenza raddoppiare gli sforzi per articolare una risposta atta a contrastare l'estrema destra nel suo tentativo di rovesciare i valori universali dell'accoglienza e della tolleranza, sostituendoli con l'odio, il razzismo e la violenza. Il dramma dei profughi necessita una strategia sul piano politico e molta solidarietà nei confronti di chi si batte per i loro diritti. Oggi chi considera che dare una mano al prossimo in gravi ambasce sia un gesto altamente umanitario va incontro a brutte sorprese da parte dei nazionalisti xenofobi che declinano la parola “buonismo” con scherno e disprezzo. Non Angela, ma l'altra Frau tedesca del momento, la signora Frauke Petry leader incontrastata degli ultra conservatori, si arrabbia se si definiscono illiberali le sue soluzioni. Però non spiega come le vede lei. CATTIVISMO. Che l'Occidente abbia il fiato corto è un sintomo che non si scopre oggi bensì una tendenza in atto da parecchi anni. Anche il recente vertice in terra cinese, povero di risultati come tutti i summit troppo affollati, ha segnato una ulteriore battuta d'arresto del pensiero occidentale sulla mappa geopolitica del mondo. Non pochi osservatori tendono a fare risalire l'inizio del declino alla mancanza di un nuovo ordine multipolare capace - come scrive Franco Venturini sul Corriere della Sera - “di gestire le tensioni di un dopo-Muro che è stato sin qui sinonimo di stragi e impotenze”. E non è difficile immaginare quali sarebbero gli scenari se alla Casa Bianca dovesse arrivare Trump, intrattabile commesso viaggiatore di muri, filo spinato e armi in libera uscita. L'analisi è severa, ma ciò nondimeno riflette l'impaccio dei leader presenti al G20 nel formulare strategie condivise per rimediare al “cattivismo” delle guerre che provocano terrificanti tragedie umanitarie. Dall'Occidente culla dell'Illuminismo, ahinoi finito a sua volta nelle fauci dei revisionisti, sarebbe lecito attendersi qualcosa di più e di meglio. RISVEGLIO. Chissà se a Virginia Raggi, nelle ore più difficili e delicate del suo ancor giovane mandato, sarà successo di canticchiare, sola nel suo ufficio, le strofe di “Roma non fa la stupida stasera” e di capire, più in fretta di quanto avesse desiderato, che la politica non è uno stornello, ma un campo minato che non da tregua. Arrivata al Campidoglio sulle ali del consenso e il bisogno di cambiamento di una città segnata dal malgoverno, la sindaca ha avuto un risveglio piuttosto brusco finendo nel mezzo di una di quelle bufere che sovente nel corso dei secoli hanno scompigliato la vita dell'Urbe, capace del meglio e del peggio. Per capire come funzionano certi meccanismi, forse le converrebbe, per una curiosa quanto casuale omonimia, rivedere l'irriverente film di Monicelli/Sordi “Il marchese del Grillo”. Al povero nobiluomo, su è giù nei corridoi della Roma papalina, ne accadono di tutti i colori proprio come succede a lei nei ranghi del traballante Movimento 5 Stelle che sta vivendo una metamorfosi dolorosa e non sa che pesci pigliare per uscire dal caos. LIBERTÀ. Ha provocato non pochi mal di pancia e ancor più numerosi problemi di coscienza la discutibile vignetta di “Charlie Hebdo” sul terremoto che ha colpito il Centro Italia. Nel disegno che col solito stile irriverente rappresenta le vittime del sisma simili a “ penne al pomodoro” o “ lasagne” fatte di corpi ammassati, i luoghi comuni sul Paese sono stati tirati in ballo senza nessun rispetto per chi ha perso la vita, i propri familiari e le proprie case. Ma se è giusto indignarsi e criticare il pessimo gusto di una rivista che fu al centro della solidarietà mondiale quando venne colpita dai jihadisti, non è meno lecito interrogarsi sulla libertà della satira che va comunque tutelata anche se non ci piace, anche se stavolta, pensando alle vittime, si è comportata in modo indegno. Per giunta sbagliando il riferimento al sugo. Perché a tavola, caso mai, il simbolo di questa terra ferita a morte è l'amatriciana, un grande classico della tradizione culinaria. Perciò, nel caso specifico, se d'ora in poi qualcuno si sentirà un po' meno “Je suis Charlie” non si potrà fargli torto. Perché anche questa è libertà. |
LAVORO E DIRITTI a cura di www.rassegna.it Terremoti, profitti e povera gente Trascorso il dovuto rispetto per il grave lutto seguito all’ultimo terremoto del Centro Italia, vorrei condividere con voi la rabbia e alcune considerazioni che purtroppo mi si ripropongono immutabili a ogni evento sismico. di Agnese Palma Parto da una storia personale risalente a tanti anni fa, quando stavo laureandomi in Scienze geologiche alla Sapienza. L’argomento della mia tesi di laurea era: “Misure di resistività nella zona di Montereale (Aq) nel periodo giugno 1983-giugno 1984”. Senza entrare in dettagli tecnici, la mia tesi era una frazione temporale di una ricerca geofisica in cui si misuravano per un lungo periodo di tempo le variazioni di resistività elettrica del terreno al fine di verificare eventuali correlazioni con eventi sismici. Erano anni in cui americani, sovietici e cinesi si erano lanciati in ricerche sulla possibilità di prevedere i terremoti, dopo una felice previsione avvenuta in Cina nel 1975 che permise di salvare 150.000 persone. Sulla previsione dei terremoti tornerò più avanti. Partiamo dalla scelta della zona: l’altopiano di Montereale era già noto per la elevata sismicità, sebbene proprio in quegli anni si stesse procedendo a una classificazione sismica dell’Italia da parte dell’Ingv (Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia), i cui affinamenti sono durati decenni. Dopo aver riflettuto a lungo sullo stato dell’arte in paesi ben più avanzati del nostro, mi sembrò opportuno inserire nell’introduzione alcune considerazioni a latere che pensavo dessero un pizzico di valore aggiunto all’asetticità dell’esposizione dei dati. In estrema sintesi, pur continuando la ricerca nel campo della previsione per raccogliere eventuali benefici a lungo temine, in un territorio a fitta urbanizzazione come l’Italia non potevamo esimerci dal costruire con criteri antisismici i nuovi edifici e gradualmente adeguare gli esistenti per metterli in sicurezza, utilizzando appunto la mappatura Ingv in corso di realizzazione. Noi italiani dovevamo soprattutto attrezzarci a convivere con il terremoto. Niente di rivoluzionario, era quello che veniva fatto da anni in Giappone ed in California, ad esempio. Fu quindi grande il mio stupore quando il relatore mi “consigliò” di tagliare quelle considerazioni e attenermi solo ai dati. Cercai di tener duro perché non capivo cosa ci fosse di sbagliato, e mi fu risposto che non era sbagliato ma che si entrava nella politica (??), che la scienza deve essere neutra (!!), che l’introduzione è l’unica cosa che la commissione legge di una tesi di laurea (vero, ma infatti volevo la leggessero), che quella premessa non era pertinente. Ovviamente alla fine lasciai perdere, tagliai la parte non gradita, presi la mia bella laurea e nella vita ho fatto tutt’altro, ma questa è un’altra storia. Sono passati trentatré anni e ne passeranno altrettanti e a ogni italico terremoto si sentono – e sentiranno – sempre le stesse giaculatorie, promesse, piagnistei e ipocrisie; come dice una canzone di De Andrè lo Stato s’indigna, s’ingegna e poi getta la spugna. Non mi soffermo sulle responsabilità delle amministrazioni locali, dello Stato, delle mafie, della corruzione, dei costruttori e pure di qualche privato cittadino. Si è già detto molto, non si è fatto mai nulla. Parliamo per una volta delle responsabilità della classe scientifica, perché la scienza non è affatto neutra, come diceva il mio relatore. Ricordate il processo ai sette componenti della Commissione Grandi Rischi per il terremoto de L’Aquila? Condannati, sono poi stati salvati in Cassazione (tranne uno) con la motivazione che i terremoti non si possono prevedere, ed anche in questi giorni di lutto viene ripetuto il ritornello della inevitabile fatalità. Non è esattamente così, perché esistono e vanno valutati attentamente i cosiddetti fenomeni precursori. Il punto non è che gli scienziati debbano fornire predizioni esatte come fossero il mago Otelma. Il punto è che nostri scienziati di chiara fama stettero tutti zitti nella famosa riunione del 31 marzo 2009 a L’Aquila, dando in tal modo un segnale di rassicurazione alla popolazione, quando fenomeni precursori quali lo sciame sismico e le variazioni di gas radon in falda rendevano probabile a breve termine un terremoto di consistente magnitudo. Non si può conoscere con esattezza quando e dove sarà l’epicentro, e questo è il motivo per cui si afferma che i terremoti non si possono prevedere, ma fu intellettualmente disonesto tacere sul rischio che era evidente. Come noto questo silenzio calò perché Bertolaso gradiva una posizione rassicurante espressa non da lui ma dalla crema dei luminari nel campo. Le intercettazioni sono più che eloquenti. Per rinfrescarsi la memoria c’è la puntata di Presa Diretta del 20 gennaio 2013. La scienza non è quindi neutra, a maggior ragione quando è serva della politica, e non bastano i meriti scientifici a lavare l’onta dell’ignavia. Nella smemorata Italia tutto questo è già stato dimenticato, si ricade presto nel fatalismo e nella rassegnazione. C’entra qualcosa la nostra Cgil in tutto questo? C’entra perché anche noi sindacalisti siamo impegnati nella campagna di solidarietà in aiuto alle popolazioni terremotate, confidando e controllando che questi aiuti vengano ben gestiti dalle amministrazioni. E’ nostro dovere aiutare nell’emergenza, ma noi che siamo un sindacato che promuove l’autotutela solidale e collettiva (art.1 dello Statuto) dobbiamo batterci affinché questo paese inizi ad uscire dalle emergenze. Non è così scontato perché le emergenze e le ricostruzioni sono molto redditizie, molto più del rispetto delle regole di costruzione antisismiche. Il profitto se ne infischia delle vite umane. Il nostro oltretutto è un profitto privato becero e straccione, perché paesi capitalisti quali il Giappone e la California investono nella sicurezza, che nel medio-lungo termine è più redditizia… È tempo che la Cgil prenda una posizione ancora più forte e qualificata sul tema della ricostruzione e della messa in sicurezza, che potrebbe oltretutto portare lavoro nell’edilizia in crisi, senza consumo di suolo. Finora i governi hanno fatto il contrario, deportando le popolazioni terremotate, costruendo altrove, devastando l’ambiente. Abbiamo promosso una campagna sulla legalità. Responsabilità e mala gestione delle cosiddette calamità naturali ci riguardano perché riguardano quella collettività di cui vogliamo l’autotutela. Credo, in conclusione, che siano ancora attualissime le parole che scrisse nel 1965 Ignazio Silone nel suo Uscita di sicurezza, commentando il terremoto in Marsica del 1915, che lui aveva personalmente vissuto e che fece circa 30.000 morti: “Nel 1915 un violento terremoto aveva distrutto buona parte del nostro circondario e in trenta secondi ucciso circa trentamila persone. Quel che più mi sorprese fu di osservare con quanta naturalezza i paesani accettassero la tremenda catastrofe. In una contrada come la nostra, in cui tante ingiustizie rimanevano impunite, la frequenza dei terremoti appariva un fatto talmente plausibile da non richiedere ulteriori spiegazioni. C’era anzi da stupirsi che i terremoti non capitassero più spesso. Nel terremoto morivano infatti ricchi e poveri, istruiti e analfabeti, autorità e sudditi. Nel terremoto la natura realizzava quello che la legge a parole prometteva e nei fatti non manteneva: l’uguaglianza. Uguaglianza effimera. Passata la paura, la disgrazia collettiva si trasformava in occasione di più larghe ingiustizie. Non è dunque da stupire se quello che avvenne dopo il terremoto, e cioè la ricostruzione edilizia per opera dello Stato, a causa del modo come fu effettuata, dei numerosi brogli frodi furti camorre truffe malversazioni d’ogni specie cui diede luogo, apparve alla povera gente una calamità assai più penosa del cataclisma naturale. A quel tempo risale l’origine della convinzione popolare che, se l’umanità una buona volta dovrà rimetterci la pelle, non sarà in un terremoto o in una guerra, ma in un dopo-terremoto o in un dopo-guerra”. *) Agnese Palma è segretaria Fisac-Cgil Roma Sud, Pomezia, Castelli |
ECONOMIA La Fed persevera nelle politiche monetariste del Quantitative Easing I governi dovrebbero assumere la piena responsabilità decisionale di rimettere in moto l’economia, senza lasciare alla politica monetaria e alle banche centrali questo compito eminentemente politico. di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi) e Paolo Raimondi, Economista L’oracolo di Jackson Hole ha parlato per bocca del governatore della Federal Reserve, la signora Janet Yellen. Ma come sempre, dai tempi di Delfi in poi, non è stato molto chiaro. Sì, forse, ma anche no, sulla possibilità di un piccolo ritocco, un rialzo del tasso di sconto da parte della banca centrale americana. Organizzato come ogni anno alla fine di agosto dalla Fed di Kansas City, il convegno di banchieri ed esperti internazionali era spasmodicamente atteso da tutti gli operatori finanziari del mondo. Conoscere le future intenzioni monetarie americane, come noto, è da sempre un fatto cruciale per i mercati per poi prendere le decisioni sulle grandi operazioni finanziare. Naturalmente anche quelle speculative. Nella sua analisi, Janet Yellen ha riconosciuto che la persistente debolezza nella ripresa degli investimenti, la bassa produttività e la troppo alta propensione al risparmio frenano l’economia, nonostante l’aumento dell’occupazione registrato anche negli ultimi tre mesi negli Usa. I differenti e molteplici indicatori economici non permettono, quindi, di affermare con chiarezza se ci sia l’intenzione di aumentare il tasso di interesse, come in precedenza ventilato anche nei documenti ufficiali del Federal Open Market Committee della Fed. La lettura delle proiezioni e degli scenari elaborati dalla stessa banca centrale indicherebbe un 70% di probabilità che esso possa variare tra lo 0 ed il 4,5% entro la fine del 2018! E’ una vaghissima stima che non giustifica affatto l’aver scomodato centinaia di importanti esperti. La ragione di tale vaghezza sarebbe ovviamente da ricercare nell’andamento dell’economia che spesso è colpita da rivolgimenti imprevedibili. Perciò “quando avvengono forti choc e l’andamento economico cambia, la politica monetaria deve adeguarsi”, ha affermato la Yellen. Si spera che non sia questo il suo vero oracolo. Leggendo con più attenzione il suo discorso vi è comunque un messaggio molto chiaro: continuare senza limiti di tempo la politica monetaria accomodante del Quantitative easing. In merito si consideri che, secondo una ricerca della Bank of America, il totale delle politiche di Qe condotte dalle banche centrali a livello mondiale ammonterebbe a 25 trilioni di dollari. Sul piano concreto la Fed ha anzitutto deciso di mantenere i titoli, compresi quelli più complessi e quindi potenzialmente pericolosi come gli abs, che ha acquistato negli anni passati, liberando così le banche dai loro titoli rischiosi e fornendo maggiore liquidità all’intero sistema bancario. In questo contesto la Yellen riconosce che il bilancio della Fed è passato da meno di un trilione a circa 5 trilioni di dollari e ritiene pertanto che una sua riduzione potrebbe avere delle conseguenze imprevedibili sull’economia. E’ evidente che per il governatore americano la politica di acquisto di titoli e di “guidance” resterà una componente essenziale della strategia complessiva della Fed. Per “guidance” si intende anche l’annuncio che il tasso di interesse potrebbe restare vicino allo zero per un lungo periodo di tempo. Più che di economia monetaria trattasi di una politica della comunicazione! Ma l’annuncio più importante è quello di voler prendere in considerazione l’utilizzo anche di nuovi strumenti d intervento monetario, tra cui quello di allargare il raggio di acquisto di titoli e di altri asset finanziari. Ciò inevitabilmente potrebbe voler dire l’acquisto di titoli e derivati ancora a più alto rischio. Si considererà anche la possibilità di alzare il target del tasso di inflazione dal 2 al 3%, allungando così i tempi di applicazione del Qe. Allo stato non ci sembra una prospettiva rosea. Tuttavia la Yellen deve ammettere che una prolungata politica del tasso di interesse zero potrebbe incoraggiare le banche e gli altri operatori finanziari a intraprendere operazioni eccessivamente rischiose. Si calcola che il Qe ha determinato che titoli per circa 11 trilioni di dollari oggi siano a tasso zero o negativo. Trattasi di circa il 20% del debito sovrano mondiale! Un terzo di tutti i titoli di debito pubblico globale emessi nel 2016 sono stati ad un tasso negativo. E’ chiaro che la continuazione delle politiche monetarie accomodanti riflettono “la paura che siamo di fronte ad un prolungato periodo di stagnazione economica secolare”, come ha ammesso persino Stanley Fisher, il vice presidente della Fed. E’ evidente, quindi, che il tasso di interesse zero non sempre si rivela efficace nel sostegno alla ripresa e alla crescita. Per questa ragione, senza iattanza, da sempre noi ribadiamo la necessità che i governi non lascino alla politica monetaria e alle banche centrali il compito di rimettere in moto l’economia, ma se ne assumano essi la piena responsabilità decisionale. Servono politiche di investimento di partenariato pubblico privato nei campi delle infrastrutture, delle nuove tecnologie. In Italia anche nel campo della messa in sicurezza del territorio sempre più minacciato da inondazioni, frane, dissesti idrogeologici e terremoti, come dimostrano i drammatici recenti disastri di Amatrice e della vasta area laziale-marchigiana-umbra. |
Da Avanti! online www.avantionline.it/ Renzi show In splendida forma, esibizione trionfale, muti i suoi interlocutori, accondiscendente il Vespa-moderatore. Renzi ha stravinto il match televisivo, il primo sul referendum elettorale parlando praticamente solo lui. In realtà Feltri sembrava lì per caso e senza conoscere minimamente il testo della riforma, mentre Padellaro ha recitato, anticipato da Travaglio e Zagrebelsky, il testo contorto dell’articolo 70, come se l’unica obiezione fosse la forma, offrendo così a Renzi l’assist per dichiararsi d’accordo. Tanto il problema è il contenuto. E allora quel che conta oggi è la nuova disponibilità del presidente del Consiglio a cambiare la pessima legge elettorale approvata. di Mauro Del Bue Mi limito a due considerazioni, di contenuto. La prima riguarda la piena disponibilità di Renzi a rivedere la legge elettorale, difendendo nel contempo l’Italicum. Come si possa rivedere la legge elettorale se si parte da un giudizio positivo su quella approvata risulta misterioso. E’ la logica dell’Italicum difesa da Renzi che è invece sbagliata. Cioè quella che affida all’Italicum uno, ma anche al possibile Italicum due, la scelta di un vincitore. Possibile che né Feltri né Padellaro, né lo stesso Vespa, gli abbiano ricordato che questo avviene solo in un sistema presidenziale e che il paragone coi sindaci, che Renzi ha più volte richiamato, è fuorviante perché la legge sui sindaci prevede la loro elezione diretta mentre l’Italicum non prevede l’elezione diretta del presidente del Consiglio? La legge elettorale in un sistema parlamentare, come quello italiano, serve solo a eleggere un Parlamento. Non a sancire un vincitore. Di più. Se per vincitore si intende una lista, allora tale lista dovrebbe non tanto prevedere come conseguenza necessaria la designazione, anche questa non prevista dall’Italicum, di un futuro presidente, prerogativa che resta del presidente della Repubblica, ma un tetto per ottenere il premio di maggioranza al primo turno. Esiste il 40 per cento, ma nel contempo è prevista un’assurda subordinata. E cioè che se una lista non ha raggiunto il 40 per cento va al secondo turno assieme alla seconda per disputare una specie di finalissima. E qui emerge un’altra profonda contraddizione, perché, contrariamente alla legge per l’elezione dei sindaci, tra il primo e il secondo turno non è previsto alcun apparentamento. Dunque una lista che al primo turno raggiunge il 30 per cento dei voti, al secondo turno arriva al 50,1 grazie a un venti per cento di elettori che hanno votato al primo turno altre liste, le quali non ottengono alcun premio e se non hanno raggiunto il tre per cento al primo turno non conseguono alcuna rappresentanza. Il doppio turno va eliminato perché non si vota per un presidente ma per un Parlamento e perché distorce una corretta rappresentanza del voto politico. Quel che conta oggi è però la nuova disponibilità del presidente del Consiglio a cambiare la pessima legge elettorale approvata. Questa disponibilità gli può servire a convincere la sua opposizione interna a non seguire il fronte del no capitanato ormai da Massimo D’Alema. Ritengo sia una mossa saggia. E arrivo alla seconda considerazione. Se dovesse vincere il no, inutile nasconderlo, verrà seppellita ogni velleità riformatrice. A meno che il fronte del no non presenti compatto prima del referendum una sua proposta di riforma costituzionale. Se dovesse farlo, magari proponendo la Costituente e il presidenzialismo, allora credo che tutto il Psi (eufemismo) potrebbe schierarsi per il no. Ma vi pare un’ipotesi realistica? Diamo uno sguardo alle diverse posizioni. Da sinistra, tra Anpi e Sinistra italiana, si lanciano le vecchie parole d’ordine sul “giù le mani dalla Costituzione”, D’Alema invece propone una mini riforma che toglierebbe al Senato solo il voto di fiducia, i dissidenti del Pd accettano questa riforma con una legge elettorale diversa, Parisi, solo, propone la Costituente mentre i suoi vorrebbero una Costituente di Forza Italia per farlo fuori, Salvini e Meloni vogliono la testa di Renzi e basta, subito elezioni e a casa. Non oso pensare a cosa punti Casa Pound. Dunque, la posta in palio al referendum non riguarda la scelta tra questa legge e una legge migliore, ma tra questa legge e lo stato precedente. Con la chiusura a data da destinarsi di ogni cantiere riformatore. C’è qualcuno, assennato, che può sostenere il contrario? Vai al sito dell’avantionline |
Da l’Unità online http://www.unita.tv/ Casa Italia, al via gli incontri per la “scommessa infrastrutturale” Iniziati i primi confronti tra governo e istituzioni, organizzazioni professionali, associazioni imprenditoriali, sindacali e ambientaliste di Silvia Gernini - @SGernini Comuni, Regioni, sindacati, associazioni, ma anche tantissimi esperti tra geologi, ingegneri, architetti. Oggi Palazzo Chigi è il luogo del confronto sul progetto Casa Italia per la ricostruzione dopo il terremoto del 24 agosto. Una ricostruzione che dovrà basarsi su procedure semplici e veloci, ma allo stesso tempo trasparenti e verificabili in qualsiasi momento. E ovviamente sarà una ricostruzione partecipata, come si capisce dai lunghi incontri con il governo, presieduti da Matteo Renzi. Parla di “una scommessa infrastrutturale” il presidente del Consiglio, un lavoro che dovrà “andare avanti almeno per un decennio, senza che su questo si giochi alcuna battaglia politica”, perché oltre a essere incentrata sugli interventi sugli edifici, prevederà anche un progetto a lungo termine con bonifiche, interventi sul dissesto idrogeologico, prevenzione: il tutto in “un progetto complessivo che abbia linee guida chiare e una regia di insieme” ha detto Renzi durante i primi confronti. “Vorrei – ha aggiunto – che a tutti i sindaci, i presidenti di Regione e gli amministratori arrivasse il messaggio che in Italia si torna a progettare, si torna a fare progettazione con criteri nuovi e tecnicamente all’avanguardia”. Insieme al premier, presenti anche il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Claudio De Vincenti, e il rettore del Politecnico di Milano Giovanni Azzone, project manager di Casa Italia. Tra i punti che non sarebbero previsti all’ordine del giorno, l’assicurazione obbligatoria sulle abitazioni per i terremoti, almeno non “nel breve termine”, avrebbe dichiarato Renzi dalla Sala Verde di Palazzo Chigi. Un progetto condiviso e strutturato che si può riassumere in quattro punti fondamentali: mappatura, linee guida sugli interventi, finanziamenti e procedure, formazione, come annunciato da Azzone. Il nuovo metodo è stato salutato favorevolmente da tutti quelli che finora si sono riuniti nella sede dell’esecutivo, a partire dal presidente dell’Anci Piero Fassino che ha parlato di “una strategia che vada al di là dell’emergenza con interventi che prevengano ogni tipo di rischio”: “Oggi – ha detto Fassino – c’è un salto di qualità nel senso che, fermi restando i programmi iniziati, si cerca di rendere organico un grande programma di innalzamento della qualità dell’assetto del territorio del nostro Paese”. Vai al sito dell’Unità |
FONDAZIONE NENNI http://fondazionenenni.wordpress.com/ G20, nel teatro dell’ipocrisia I grandi della terra, ancora una volta, hanno recitato brillantemente la commedia del “sarebbe bello ma non posso”, o se preferite quella del “mi piace ma la situazione non lo permette”. di Silvano Miniati I grandi sono tornati dalla Cina con un copioso bagaglio di promesse mancate e di finti rimpianti. La guerra in Siria sembra proprio non esistere, visto che Obama e Putin arrivano al massimo a prometterci che chiederanno ai loro ministri degli esteri di continuare a discutere di una Pace e di una tregua imboccate da tutti coloro che sullo scacchiere internazionale potrebbero e magari vorrebbero dire la loro ma che ormai non ci provano eppure considerato che nessuno li prende sul serio. Sull’eccesso di produzione dell’acciaio, altro tema caldo del summit, la Cina, bontà sua ha accettato l’idea di varare un comitato per studiare la situazione. Se il tutto non si presentasse in modo tragicomico, esisterebbero tutti gli ingredienti per seppellire ognuno con una crassa risata. Che a conclusione di questa ennesima festa delle occasioni mancate, ci sia tanta passione a esaminare i risultati elettorali tedeschi compresa la sconfitta della signora Merkel, non possiamo certo fingere di meravigliarci. Rimane però da chiedere e da chiederci quanto la nostra pazienza potrà sopportare una finzione cosi clamorosa sull’andamento delle cose del mondo. Quelli che stanno peggio (miliardi di uomini e donne) crescono ogni giorno mentre il controllo della ricchezza è ormai prerogativa esclusiva di meno del 10% degli abitanti del pianeta. È ormai del tutto evidente che i magnati dell’industria e del commercio; i controllori delle banche e delle politiche finanziarie responsabili delle scelte che stanno strangolando il mondo intero quando si trovano in sedi come quella del G20, non fanno tante distinzioni e complimenti. Una schiera molto ampia di sceicchi, finanzieri, affaristi di ogni specie, controllori delle borse e dei mercati non distinguono certo fra bianchi e neri, tra religioni e ideologie, l’unica ragione che li muove direbbe Papa Francesco è il Dio denaro. E come dimostrato, non ha nessuna importanza se sono alla testa di paesi e governi che hanno abolito ogni parvenza di democrazia se usano la pena di morte come strumento di controllo sociale dei loro paesi. Lo fanno perché hanno ormai capito che “il raffinato” esponente del governo occidentale con le proprie richieste sulla democrazia e sull’uguaglianza non fa affatto paura a nessuno anzi. Tornerà al prossimo G20 od occasione analoga con codazzo impressionante di giornalisti del proprio paese a spiegare che occorre rilanciare e riequilibrare lo sviluppo, pensare di più ai poveri e a chi non ha niente. Si sa già che nel pomeriggio si può sempre trovare un localetto appartato al riparo di occhi indiscreti all’interno del quale stillare l’ultimo accordo sulla vendita delle armi, sul prezzo del petrolio, sul controllo dei pacchetti azionari delle grandi multinazionali. Può capitare e a volte capita che in tutte questo tramestio, qualche avvenimento scappi di mano. Il problema è non farci troppo caso, e di aver consapevolezza che tutto passa e che quelle che durano di meno sono proprio le buone intenzioni. Una volta si diceva che di buone intenzioni è lastricato anche l’inferno. Oggi forse è lecito e necessario chiedersi se di buone intenzioni ne esistono davvero in qualche parte del mondo. |
Da MondOperaio http://www.mondoperaio.net/ Saragat, probabilmente A proposito dell’esigenza di costruire al più presto “Case, scuole, ospedali” di Danilo Di Matteo Ascoltavo distrattamente il Tg2 quando, a proposito del terremoto del Centro Italia, il cronista ha sottolineato l’esigenza di costruire al più presto “case, scuole e ospedali”. Così mi sono ricordato del celebre trinomio di Giuseppe Saragat: quello che nel dopoguerra sembrava un programma “minimo” e rinunciatario nel XXI secolo attende ancora di venir realizzato. Abitare, imparare e curarsi restano esigenze fondamentali dei cittadini, e i problemi a esse collegati rappresentano una sfida cruciale e un rompicapo per i governi. Se prima era più evidente l’aspetto quantitativo del trinomio, oggi si considera ancor di più la qualità. Si guardi alle espressioni e agli slogan attuali: “Casa Italia”, la “Buona Scuola” e, in negativo, gli episodi di “malasanità”. Insomma: pur in un momento storico caratterizzato da un’amnesia diffusa, risuonano le intuizioni di un grande socialista democratico. |
LETTERA / MANIFESTO GENERAZIONE ERASMUS Nel 1987 nasceva il progetto Erasmus: borsa di studio europea che ha dato la possibilità' a migliaia di universitari europei di vivere e studiare in un altro paese membro da un minimo di 3 mesi ad un massimo di un anno. Questo semplice provvedimento ha generato un cambiamento radicale. Ha inciso sullo stile di vita di una generazione che per la prima volta ha usufruito in massa dell'opportunità di sperimentare la cittadinanza a termine in un altro paese europeo. Migliaia di giovani ed ex giovani ora ultra quarantenni hanno verificato che un altro stile di vita, altre regole, altre opportunità' diverse da quelle offerte dal proprio sistema paese sono possibili. Per l'Italia paese tradizionalmente campanilista, provinciale, autocritico ma anche molto auto compiaciuto del proprio sistema educativo e' stata una ventata di freschezza e cambiamento. La frase “si può' fare” è' entrata nel lessico comune perché' i giovani che hanno vissuto e studiato in altri sistemi hanno toccato con mano il fatto che effettivamente le cose si possono fare “the italian way” ma anche in modo diverso, spesso migliore più' semplice. Tutti “gli Erasmus” hanno affrontato al loro ritorno dall'estero il sospetto ed sorrisi di sufficienza dei loro colleghi e professori convinti che fossero andati a passare un anno di vacanza all'estero sfruttando le risorse di famiglie benestanti comunque necessarie ad integrare quelle scarse messe a disposizione dalla borsa Erasmus. Molti di loro messi a confronto con sistemi piu' dinamici, pragmatici e semplici non sono più' tornati se non il tempo necessario a finire gli esami ed a salutare amici e parenti. L'Erasmus li ha cambiati e li ha resi insopportabili brontoloni per quanti sono restati, insofferenti al provincialismo italico e curiosi di conoscere altri paesi o semplicemente desiderosi di costruirsi un futuro nel paese che li aveva ospitati come studenti. L'Erasmus e' il marchio di una generazione, un modo di essere che non ti abbandona e rischia di renderti inviso a chi all'estero ci va solo per fare lussuose vacanze nei resort a 5 stelle o a chi magari quella fortuna di avere un minimo di sostegno economico dalla famiglia non l'ha avuto. La nostra tesi è' che il programma di scambio abbia formato una generazione di europeisti e potenziali riformisti: gente che le riforme le ha viste in pratica in altri paesi, che sa che le cose si possono fare, che l'Italia non è' destinata a restare un paese sonnacchioso e periferico dominato da baroni, lobby, criminalità' diffusa e ostile a giovani creativi e con voglia di fare, perché' loro sanno che basta poco. Loro il cambiamento l'hanno vissuto in un Europa che lungi dall'essere solo regole e burocrazia per loro è' stata semplicita', vento di libertà' e opportunità'. Un'Italia più' semplice, sorridente, dinamica e funzionale già' c'è', si chiama Europa e basta andarsela a prendere. Noi Erasmus ci candidiamo a completare il sogno dei padri fondatori, noi nativi europei vogliamo più' Europa in Italia e c'è la porteremo. Provate a fermarci. Fabrizio Macrì Leonardo Scimmi |
L'AVVENIRE DEI LAVORATORI EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897 Casella postale 8965 - CH 8036 Zurigo L'Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigrazione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del “Centro estero socialista”. Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall'Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all'estero, L'ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mondiale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l'Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L'ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l'integrazione dei migranti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all'eclissi della sinistra italiana, siamo impegnati a dare il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appartiene a tutti. |
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