[Diritti] Una valle di terroristi. Maddalena, il compressore e i No Tav



Una valle di terroristi. Maddalena, il compressore e i No Tav

Il giorno dopo l’anniversario della presa di Venaus, il 9 dicembre del
2013 quattro No Tav vennero arrestati con l’accusa di attentato con
finalità di terrorismo, per un’azione di sabotaggio al cantiere del 14
maggio precedente. In quell’occasione venne danneggiato un compressore,
presto riparato e rivenduto. Un’imputazione che ha sottratto alle loro
vite, ai loro affetti, alle lotte Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò.
Qualche mese dopo è stata la volta di Francesco, Graziano e Lucio.

Lo scorso dicembre i quattro No Tav vennero assolti dall'accusa di
attentato con finalità di terrorismo e condannati a tre anni e mezzo per
danneggiamento e uso di armi da guerra.
Qualche mese dopo anche Francesco, Graziano e Lucio sono stati condannati
a due anni e otto mesi per lo stesso episodio.

La democrazia reale ammette il dissenso, purché resti semplice opinione,
mero esercizio di eloquenza, banale gioco di parola. Se il dissenso
diviene attivo, se si fa azione diretta, se rischia di far saltare le
regole di un gioco feroce, la democrazia reale mette in campo ogni arma
per piegare, chi ne contesta le decisioni e, quindi, la stessa
legittimità.
Lo fa con la leggerezza di chi sa che l’illusione democratica è tanto
forte da coprire come una coltre di nubi scure un dispositivo che chiude i
conti con ogni forma di opposizione che non si adatti al ruolo di mera
testimonianza.

L’accusa di terrorismo è stata smentita in corte d’assise e più volte in
Cassazione, ma la Procura non demorde.
Al processo d’appello contro Chiara, Claudio, Mattia e Nicolò il
procuratore generale Marcello Maddalena continua a sostenerla.
Il 27 giugno del 2014 vennero rese note le motivazioni della seconda
sentenza della Cassazione.
Pochi giorni fa sono arrivate le motivazioni di un'ulteriore sentenza
sfavorevole alla Procura torinese.
Secondo i giudici ci sarebbe una “sproporzione” tra quanto avvenuto nella
notte del 14 maggio al cantiere e la presunzione che un tale atto possa
effettivamente indurre lo Stato a fare marcia indietro, cancellando il
progetto della Torino Lyon.
Sul piano giudiziario quella sentenza ha dato un duro colpo alla Procura
torinese.
E’ possibile che l’impalcatura accusatoria contro i sette No Tav accusati
di terrorismo non regga neppure in appello.
Ma la partita resta aperta.

Le armi messe in campo dalla Procura sono affilate ed insidiose, perché
chiunque si opponga concretamente ad una decisione dello Stato italiano o
dell’Unione Europea rischia di incappare nell’accusa di terrorismo.
Questo è lo spirito dell’articolo 270 sexies, l’articolo che definisce “la
finalità di terrorismo” indicata negli articoli 280 e 280 bis, dei quali
sono accusati i quattro No Tav.
Un giorno l’accusa di terrorismo potrebbe essere applicata a chiunque
lotti contro le scelte non condivise, ma con il suggello della regalità
imposto dallo Stato Italiano.
In altri termini: se di giorno o di notte, in tanti o in pochi, l’azione
dei No Tav fosse tale da indurre lo Stato a fare marcia indietro, anche
per la Cassazione i No Tav sarebbero terroristi. Tutti terroristi.

In questi anni i No Tav hanno sostenuto ed appoggiato la pratica
dell’azione diretta contro il cantiere e le ditte collaborazioniste, i
blocchi delle strade e delle ferrovie, lo sciopero generale, le grandi
marce e i sabotaggi.
Fermare il Tav, costringere il governo a tornare su una decisione mai
condivisa dalla popolazione locale è la ragion d’essere del movimento No
Tav. Ogni gesto, ogni manifestazione, ogni passeggiata per tutti, non
diversamente dalle azioni di assedio del cantiere, di boicottaggio delle
ditte, di sabotaggio dei mezzi mira a questo scopo.
Di fatto il processo ai sette No Tav per la notte del compressore è un
processo all'intero movimento di lotta contro la nuova linea da Torino a
Lyon.

Marcello Maddalena, dopo aver tentato invano di far riaprire il
dibattimento, lunedì 14 dicembre, nell'aula bunker del carcere delle
Vallette, ha fatto la propria requisitoria. Maddalena ha cercato di
aggirare le sentenze della Cassazione che negavano che i No Tav accusati
del sabotaggio, volessero far male alle persone o potessero realmente
mettere in difficoltà il governo al punto da indurlo a fare marcia
indietro. Il fulcro della sua argomentazione è che a definire un'azione
come “terrorista” basta la volontà eversiva di bloccare il Tav.
Mette in campo la personalità politica dei quattro anarchici e, per dare
forza alle sue tesi, utilizza gli schemi del diritto penale del nemico, in
cui il senso ed il peso giuridico di un’azione non stanno nell’azione in
se, ma nel chi l’ha fatta, non stanno nella materialità del gesto, ma
nell’intenzione di chi lo ha messo in atto.
Maddalena rievoca gli anni Settanta sostenendo una sorta di rapporto di
filiazione tra le pratiche di sabotaggio e la lotta armata, con un
paragone a dir poco ardito, rispetto ai fatti.

La chiave di volta della requisitoria è la tesi che il sabotaggio del
maggio 2013, come tanti altri gesti di lotta No Tav, siano un attacco alla
democrazia, un attacco al potere del governo di decidere e imporre con la
forza le proprie decisioni. Poco importa che il gesto in se sia poca cosa,
quello che conta è la sua portata simbolica, la sua capacità di erodere la
fiducia dell’avversario, una goccia, che insieme a tante altre potrebbe
finire con lo scavare nel profondo.
A suo parere Matteo Renzi, contrario all’opera prima di assumere
responsabilità di governo, ne è divenuto fautore quando è diventato primo
ministro, perché si sarebbe reso conto che la mancata realizzazione
dell’opera avrebbe messo a rischio la democrazia.

I No Tav lo sanno da tanto tempo che non è più (soltanto) una questione di
treni, non è più (soltanto) una questione di soldi pubblici drenati per
fini privati. Sanno che è in ballo la libertà di decidere del proprio
futuro, la volontà di resistere, la scelta di lottare contro l’imposizione
dell’opera e la militarizzazione del territorio.

Maddalena ha fatto propria la logica delle leggi che definiscono il reato
di terrorismo. In base a queste leggi, contestate da più parti ma
saldamente iscritte nel nostro ordinamento, gran parte della popolazione
valsusina è costituita da terroristi. E con loro i tanti che, in ogni
dove, ne hanno condiviso motivazioni e percorsi.
Le migliaia di persone che resero ingovernabile la Val Susa nel dicembre
del 2005 erano “terroristi”. Riuscirono nel loro intento: il governo
cancellò il progetto sulla sinistra della Dora.

Oggi come allora i No Tav vogliono obbligare il governo a fare marcia
indietro.
Maddalena ha chiesto nove anni e mezzo di reclusione per Chiara, Claudio,
Mattia e Nicolò.

Venerdì 18 dicembre la parola passa agli avvocati della difesa, lunedì 21
ci saranno le repliche e verrà pronunciata la sentenza.

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