[Diritti] Torino. La maschera della democrazia. La legge è uguale per tutti?
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- Date: Thu, 26 Feb 2015 17:56:15 +0100 (CET)
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Torino. La
maschera della democrazia. La legge è uguale per tutti?
La
maschera della democrazia
La legge è uguale per tutti?
Il
fronte della guerra interna: i processi ai No Tav e agli antirazzisti, la
sorveglianza speciale, i fogli di via... Il diritto penale del nemico, il
paradigma repressivo che mostra la trama dell'ordine liberale.
Un
modo per scandagliare l’osmosi tra operazioni belliche e ordine
pubblico
Ne parliamo venerdì 27 febbraio
ore 21
corso Palermo 46.
Introduce Lorenzo Coniglione
Di seguito un
suo articolo per Anarres e qui l’intervista fatta a radio Blackout
Gli ultimi fatti giudiziari, che hanno coinvolto
decine di compagni torinesi, attivi nel movimento antirazzista e nel
movimento No Tav, mettono sul tavolo una questione cruciale: la
sostanziale modifica del diritto penale liberale.
Al centro
degli ultimi processi è stata posta la personalità dell’imputato,
rendendola oggetto di valutazione in base a criteri di pericolosità
sociale, al di là della condotta specifica. Il diritto penale
liberale ha il suo cardine in due concetti chiave:
a) l’azione
giudiziaria è rivolta verso la condotta del reo e non contro la persona
dello stesso
b) gli imputati sono soggetti giuridici ovvero titolari
di alcuni diritti inalienabili, sono persone inserite all’interno di un
contratto sociale
Questi due principi, sulla cui effettività
torneremo più avanti, vengono pesantemente messi in crisi dalla teoria del
diritto penale del nemico, elaborata negli anni ottanta dal giurista
tedesco Jakobs. Secondo Jakobs oltre al criminale comune, che è
recuperabile alle regole del contratto sociale, esiste un’altra specie di
criminale: il nemico. Costui non è recuperabile al contratto sociale e di
conseguenza per proteggere la società (torneremo poi su questo concetto) è
necessario neutralizzarlo. Una logica di guerra entra nel diritto
penale.
Per definire la figura del nemico, che nella teoria di
Jakobs rimane sempre molto vaga, forse volutamente, si deve ricorrere
all’osservazione della personalità dell’imputato, alla sua messa a nudo da
parte dei tribunali e di una pletora di esperti. A questi il compito di
valutare se si è di fronte ad un semplice deviante o ad un nemico. Ma
attenzione: chi definisce in termini politici il nemico? Chi indirizza
l’azione giudiziaria? E qua torna un altro concetto forte della teoria
politica occidentale: quello di sovranità. Infatti tocca al potere
sovrano, quello dotato del potere di porre eccezioni, definire chi è il
nemico. Il diritto penale del nemico è una visione fortemente
politicizzata della teoria del diritto in quanto si basa sull’esercizio
del potere di porre eccezioni da parte di chi detiene la sovranità. Sarà
questi ad indicare di volta in volta quali i nemici, ovvero gli individui
e le collettività costitutivamente avverse all’ordine
costituito.
Costoro non saranno più soggetti titolari di diritti
giuridici ma bensì nuda vita biologica soggetta ad una possibilità di
violenza illimitata da parte del potere. È l’esatto contrario di quanto
viene affermato dalla concezione liberale del diritto.
Per questa sua caratteristica di essere estremamente politico
il diritto penale del nemico poggia fortemente anche sulla costruzione del
nemico tramite il discorso pubblico. Il discorso pubblico italiano, che
negli ultimi 15 anni è sostanzialmente virato a destra con la retorica
sulla sicurezza e la legalità, ha già individuato da tempo quali sono i
soggetti che vanno etichettati come nemici: coloro che hanno la disgrazia
di essere contemporaneamente immigrati e poveri, ovvero forza lavoro
esclusa dalle tutele conquistate dai movimenti sociali. La legislazione
differenziale su cui si basano i CIE-CPT è modellata intorno alla
concezione di nemico. Una volta individuata la classe di individui che
vanno considerati come nemici, la detenzione, con i suoi corollari di
tortura, morte, ed l’espulsione ovvero sia i processi di neutralizzazione
fisica diventano semplici passaggi amministrativi, mera contabilità per
tanti piccoli Eichmann della burocrazia.
E non faccio il paragone con
il contabile della shoa a caso: la detenzione amministrativa,
l’individuazione di categorie sociali come nemiche, la riduzione di
soggetti a nuda vita biologica sottoposti a violenza illimitata, sono
quanto esplicitato dal nazismo.
Ma attenzione: fuor di retorica
questo è quanto succede di norma all’interno delle logiche capitaliste che
vedono gli individui come portatori di forza lavoro da mettere a valore e
basta. Il nazismo, e non solo lui, ha semplicemente esplicitato queste
dinamiche portandole all’estremo e, in questo, ha prodotto scandalo.
Il diritto penale del nemico, per quanto teorizzato in modo
sistematico solo negli ultimi decenni, è presente sottotraccia in tutta la
storia contemporanea. E non solo a livello teorico, si pensi a Carl
Shmidt, ma anche a livello fattuale: il codice Rocco del 1936 con le sue
misure di sorveglianza speciale, ereditate in buona parte dal diritto
repubblicano, è sostanzialmente basato sul concetto di nemico. E anche lo
stesso codice Zanardelli del 1897, la pietra angolare del diritto liberale
italiano, contiene al suo interno dispositivi repressivi per le classi
pericolose basati sul concetto di nemico.
Le leggi sono il
precipitato normativo dei rapporti di forza presenti nella società. Non
sono concezioni che discendono dall’empireo platonico per farsi norma
tramite l’opera di qualche demiurgo. Negli ultimi 40 anni abbiamo
assistito ad una mitigazione delle concezioni più dure delle teorie
giuridiche perché i rapporti sociali messi in campo dai movimenti sociali
e la così detta “società civile”, intesi qua nella loro concezione più
larga, dalle organizzazioni più o meno rivoluzionarie a pezzi della
borghesia progressista come il Partito Radicale, erano tali da poter
imporre delle garanzie all’interno dei procedimenti giuridici. Garanzie
ipocrite, parziali, insufficienti e tutto fuor di dubbio. Ma comunque
garanzie. Con la crisi dei movimenti sociali a fine anni ’70 e il
disimpegno degli anni ’80 si è potuto assistere ad un prepotente ritorno
delle concezioni più dure del diritto: la guerra alle formazioni
lottarmatiste, l’introduzione delle leggi sul pentitismo, l’ingresso dello
psicologo nelle carceri per analizzare la personalità dei rei politici e
decidere su di una loro recuperabilità al consesso sociale, l’applicazione
dello stato di eccezione permanente ovvero della sovranità.
E non è
un caso che in momento di profonda ristrutturazione degli assetti politici
e sociali dell’occidente ci sia anche in Europa un ritorno di queste
concezioni, che hanno ricevuto una formalizzazione e una sistematizzazione
solo in tempi recenti ma sono state un sottotraccia e una costante di
tutta la storia contemporanea.
La necessità di difesa della
società teorizzata da Jakobs è in realtà la necessità di difendersi delle
classi dominanti. Negli ultimi 15-20 anni coloro che sono stati
stigmatizzati come nemici sono stati gli immigrati, oggi cominciano ad
esserlo tutti gli oppositori sociali e domani? Di fronte ad una
disoccupazione costantemente a due cifre e alla marginalizzazione di fasce
sempre più ampie di popolazione chi sarà individuato come nemico, ovvero
come non recuperabile e disciplinabile (o non facilmente tale) ai processi
di accumulazione di capitale?
Bisogna difendere la società? Si,
certamente: dall’attacco messo in atto costantemente dallo Stato e dal
capitale.
Altre info:
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Parigi
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vita
No Tav. Un tranquillo fiume
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La rottura dell’ordine
liberale, ovvero il diritto penale del nemico
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