[Diritti] Padalino chiede 80 anni di galera per gli antirazzisti
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- From: "Federazione Anarchica Torinese" <fat at inrete.it>
- Date: Mon, 1 Dec 2014 17:57:46 +0100 (CET)
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Padalino chiede 80
anni
di galera per gli antirazzisti
Oggi nella maxi aula 3 del tribunale
di Torino il PM Andrea Padalino ha fatto la requisitoria al
processo contro gli antirazzisti torinesi. Ha chiesto pene
variabili tra l’anno e mezzo e i cinque anni e mezzo,
per un totale di 80 anni. Con la grazia
che lo contraddistingue ha descritto gli antirazzisti come “squadristi”
che non
hanno il coraggio di rivendicare le proprie azioni, dediti alla violenza,
professionisti con tanti carichi pendenti.
Il PM tenta di screditare con epiteti
infamanti chi in questi anni si è battuto contro le leggi razziste, i
CIE,
le retate dei senza documenti, la violenza di fascisti e leghisti.
Nel mirino di Padalino l’assemblea antirazzista, che già nel 2010 tentò senza
successo di trasformare in un’associazione
a delinquere. Venne smentito dalla Cassazione ma non mollò la presa,
imbastendo ben due processi con 67 imputati. Lo scopo è ottenere condanne più
gravi, eliminando il vantaggio della continuazione.
La prossima udienza per le arringhe dei difensori è fissata venerdì 16
gennaio. Il giorno stesso o
poco dopo verrà emessa la sentenza.
Nei prossimi mesi si concluderà la seconda tranche del processo: Padalino
vorrà
pestare duro anche in quell’occasione.
Nel descrivere l’assemblea antirazzista l’ha definita come un ambito
antagonista, in cui sono confluite anime diverse tra cui alcuni esponenti “di
spicco” della Federazione Anarchica
Italiana. Chi ha una mentalità gerarchica pensa che le relazioni di
dominio
siano le sole possibili. Impossibile per il PM cogliere la diversità
intrinseca
delle relazioni tra uomini e donne liberi.
Vale la pena fare un passo indietro per cogliere la lucida criminalità
delle richieste
di Padalino.
Siamo a cavallo tra il 2008 e il 2009. Sono
anni terribili. La propaganda xenofoba e razzista martellante è la
colonna
sonora di provvedimenti che perfezionano un apparato repressivo, che sancisce
un diritto diseguale, per chi ha in tasca
i documenti e per chi non li ha.
E’ in questo periodo che vengono inventati il reato di immigrazione
clandestina, i respingimenti
collettivi in mare, che trasformeranno il Mediterraneo in un
sudario. Nei CIE la detenzione
amministrativa, in se un ossimoro, passa da due a sei mesi di reclusione:
i prigionieri
– per Padalino sono ospiti - danno vita ad un’estate di rivolte e di
fuoco. Due
anni dopo il periodo di trattenimento arrivò a un anno e mezzo. Solo di
recente, dopo anni di sommosse che
hanno fatto a pezzi il sistema CIE, il periodo di reclusione è stato
ridotto a
tre mesi.
Negli ultimi vent’anni il disciplinamento
dei lavoratori immigrati è stata ed è tuttora una delle grandi
scommesse dei governi e dei
padroni:
Nel nostro paese è stata costruita una legislazione speciale per gli
immigrati,
persone che, sebbene vivano in questo paese, devono sottostare a regole
che ne
limitano fortemente la libertà.
Chi si oppone alle politiche e
alle
leggi discriminatorie e oppressive nei confronti degli immigrati entra nel
mirino della magistratura.
Nell’assemblea antirazzista si intrecciarono percorsi e lotte.
Per quelle lotte la Procura torinese
chiede 80 anni di galera.
Si vuole ad ogni costo ottenere condanne per togliere di mezzo compagni e
compagne attivi nelle lotte.
Furono tantissime le iniziative di quegli anni. Iniziative che, sia pure di
minoranza, contribuirono a tenere accesi i riflettori ed a sostenere le lotte
dentro i CIE, contro lo sfruttamento del lavoro migrante, contro la
militarizzazione delle periferie.
Vogliono tappare la bocca e
legare le
mani a chi si ostina a voler cambiare un ordine sociale feroce, ingiusto,
predatorio, razzista.
I 67 attivisti coinvolti nei due processoni sono accusati di fare volantini,
manifesti, di lanciare slogan, di dare solidarietà ai reclusi nei CIE, di
contrastare la politica securitaria del governo e dell’amministrazione
comunale. In altre parole sono accusati di avere idee scomode, che si
traducono
in scelte politiche scomode.
L’intero impianto accusatorio
della
procura si basa su banali iniziative di contestazione.
Nel mirino il “cacerolazo” – 2 giugno 2008 – alla casa del colonnello e
medico
Baldacci, responsabile del CPT, dove un immigrato era morto senza cure il 23
maggio; il presidio al Museo egizio – 29 giugno 2008 – per ricordare
l’operaio
egiziano ucciso dal padrone per avergli chiesto il pagamento del salario; la
contestazione – 17 luglio 2008 – dell’assessore all’integrazione degli
immigrati Curti, dopo lo sgombero della casa occupata da rom in via Pisa; la
giornata – 11 luglio 2008 – contro la proposta di prendere le impronte ai
bambini rom di fronte alla sede leghista di largo Saluzzo; la protesta – 20
marzo 2009 – alla lavanderia “La nuova”, che lava i panni al CIE di corso
Brunelleschi…
ma l’elenco è molto più lungo. In tutto decine iniziative messe insieme per
cucire addosso ad un po’ di antirazzisti accuse tali da portarli in
galera.
In questi anni – pur finita
l’esperienza dell’Assemblea antirazzista, chi vi si era riconosciuto ha
continuato, ciascuno a suo modo, a lottare per le strade di questa
città.
Padalino ha sostenuto che la prova della criminalità degli antirazzisti è
nella
continuità delle lotte, che vanno avanti nonostante la repressione.
L’urgenza politica e morale di quegli anni è la stessa di oggi.
Ma l’indignazione non basta.
Bisogna
mettersi di mezzo.
Rompere il silenzio sugli orrori quotidiani dei CIE, opporsi alle
deportazioni
forzate, agli sgomberi delle baracche, ai militari nelle strade, allo
sfruttamento dei più poveri è oggi più che mai un’urgenza ineludibile.
Provano
a fermarci con la repressione: non ci riusciranno.
Federazione Anarchica Torinese
Di seguito il testo della dichiarazione spontanea fatta oggi in tribunale da
due compagni della FAT, Maria Matteo ed Emilio Penna.
Non siamo qui per difenderci.
I codici riducono le lotte sociali a reati, i pubblici ministeri le
trasformano
in accuse.
Le lotte per le quali siamo qui si sono dipanate tra il 2008 e il 2009.
Siamo qui per raccontare di un’urgenza. Un’urgenza che è venuta crescendo –
giorno dopo giorno – nei luoghi che viviamo e nelle nostre coscienze.
I roghi fascisti contro i rom, le aggressioni contro gli immigrati, la cappa
feroce del razzismo istituzionale già disegnavano il presente terribile nel
quale siamo forzati a vivere.
La nostra era un’urgenza politica e sociale, ma, soprattutto, etica.
In quegli anni provammo a tessere una rete di solidarietà, per porre argine
alla violenza e per gettare i semi di un agire comunicativo capace di rompere
la tenaglia del razzismo diffuso nei quartieri popolari dove la guerra tra
poveri era già una realtà.
Intrecciammo con altri i nostri percorsi di resistenza al razzismo, per
mettere
insieme intelligenze, energie, tempo, capacità e saperi e tentare di
ridisegnare lo spazio sociale della nostra città. Uno spazio violato dalle
retate della polizia contro gli immigrati, dai raid fascisti e razzisti,
dalla
presenza di un CIE dove la favola dell’eguaglianza dei diritti e delle
libertà
mostra – più che mai – l’atroce farsa della democrazia.
Uno spazio dove si vive male tutti, perché il lavoro che non c’è, che è
precario, pericoloso, mal pagato è nella quotidianità di ciascuno. Uno spazio
dove la martellante propaganda razzista crea solchi sempre più larghi,
dove il
risentimento verso gli ultimi prende il posto dell’odio per chi comanda e
sfrutta tutti.
Occorreva rompere il muro del silenzio e dell’indifferenza, spezzare la cappa
dell’odio.
La guerra tra poveri cancella la guerra sociale, distrugge la disponibilità
all’incontro, corrode la solidarietà, apre la strada alla giungla sociale.
Ridisegnare il territorio significava in primo luogo presidiarlo, facendo
sentire ad immigrati e clandestini la nostra presenza solidale. Ma non
solo.
Abbiamo intrapreso un’offensiva culturale che spezzasse il cerchio della
paura,
aprisse spazi di incontro e relazione, ponendo le basi di un’azione comune
contro i nemici di tutti, che restano quelli di sempre, i padroni che ci
portano via la vita, giorno dopo giorno.
Abbiamo un solo rammarico. Non essere riusciti a fare di più.
Nella roulette russa della guerra sociale c’è chi affonda e chi resta a
galla.
Quando la marea sale cresce il numero dei sommersi.
Chi resta ai margini, chi non resiste non dica domani che non sapeva, non
dica
che non voleva.
Quando qualcuno ci chiederà dove eravamo quando bruciavano le baracche dei
rom,
quando la gente moriva in mare, quando i lavoratori immigrati erano poco più
che schiavi, vorremmo poter rispondere che eravamo lì, tra gli altri, per
metterci di mezzo, perché abbiamo sentito il suono della campana e abbiamo
saputo che suonava per noi.
Non c’è più tempo. Se non ora, quando? Se non io, chi per me?
Chi non ferma la barbarie ne è complice.
Maria Matteo, Emilio Penna
www.anarresinfo.noblogs.org
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