[Diritti] ADL 141009 - Turbo



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L'AVVENIRE DEI LAVORATORI

La più antica testata della sinistra italiana, www.avvenirelavoratori.eu

Organo della F.S.I.S., organizzazione socialista italiana all'estero fondata nel 1894

Sede: Società Cooperativa Italiana - Casella 8965 - CH 8036 Zurigo

Direttore: Andrea Ermano

 

Settimanale in posta elettronica – Zurigo, 9 ottobre 2014

   

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IPSE DIXIT

 

Turbo-trasformismo - «L'Italia è il paese dove si è sempre verificato questo fenomeno curioso: gli uomini politici, arrivando al potere, hanno immediatamente rinnegato le idee e i programmi d'azione propugnati da semplici cittadini.» – Antonio Gramsci (luglio 1918)

   

    

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    L'AVVENIRE DEI LAVORATORI contribuisce da oltre 115 anni a tenere vivo l'uso della nostra lingua presso le comunità italiane nel mondo tra quelle persone che si sentono partecipi degli ideali socialisti-democratici di Giustizia e Libertà.

    

    

EDITORIALE

 

La proprietà del potere

 

di Andrea Ermano

 

"Che i re filosofeggino o i filosofi diventino re non è da attendersi e neppure da desiderarsi, poiché la proprietà del potere corrompe inevitabilmente il libero giudizio della ragione". Questo celebre passo kantiano, risalente al saggio Per la pace perpetua (1795), mi è stato gentilmente segnalato da una lettrice in merito all'editoriale della scorsa settimana nel quale sostenevo che l'orizzonte della politica è intrinsecamente filosofico e il fine della filosofia complessivamente politico.

    Le parole di Kant mettono a fuoco un'armonia discordante tra queste due dimensioni assiali della nostra civiltà, dimensioni che non sembrano riuscire a rapportarsi l'una all'altra senza produrre paradossi.

    La necessità del rapporto è evidente, quanto meno in senso moderno, poiché una decisione politica deve presupporre il consenso dei cittadini, deve fondarsi su buone ragioni di carattere generale, deve rispettare i diritti umani. Ecco, dunque, i limiti posti dalla filosofia alla politica: legittimità, universalità e dignità. Limiti tutt'altro che "astratti", dato che – quando un potere si colloca in modo sostanziale al di fuori di questi limiti – esso tende poi, regolarmente, a esplodere o implodere in tempi abbastanza rapidi.

    Qui, però si manifesta un'implicazione paradossale per la filosofia. Essa consiste nell'impossibilità programmatica di conoscere con esattezza i limiti – di legittimità, di universalità e di dignità – che la filosofia stessa indica alla politica affinché non esploda e non imploda. Il paradosso sta nel fatto che la filosofia è convinta che i Limiti della Legge esistano, ma ritiene impossibile "possedere" una volta per tutte, in modo fermo e stabile, un Sapere di quei Limiti. Eppure i Limiti della Legge, come recita l'Antigone di Sofocle, stanno lì "non certo da oggi né da ieri, ma sempre / essi vivono, e nessuno sa donde si manifestino".

    Dunque, la filosofia, non potendo conoscere i Limiti della Legge, si limita a cercarli. Ed è anche perciò che non si chiama "Sapere", ma "Amore del Sapere" (philo-sophia): Amore di un Sapere dei Limiti della Legge che è anche, forse, una speranza di riuscire a riconoscerli allorquando essi ritornino a manifestarsi.

 

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Amore del Sapere dei Limiti della Legge… Un Amore molto speciale, al quale si addice tuttavia la definizione che Jaques Lacan fornisce dell'amore in generale: "L'amore consiste nel donare quel che uno non ha a qualcuno che non lo vuole".

    Già, perché, in effetti, il potere non vuole affatto questo dono filosofico, anzi odia tutti i limiti, che vive come altrettanti dissidenti da isolare ed eliminare. A maggior ragione tende perciò ad abbattere i Limiti della Legge, o a sospenderli, o a spostarli più in là, o quanto meno ad aggirarli. In sé il potere vuole solo assecondare il proprio insaziabile desiderio d'infinito fino al culmine iperbolico dello scatenamento e della catastrofe successiva.

    Insomma, il potere ha un tipico decorso maniaco-depressivo. È un eterno ritorno di entusiasmi e disastri. E ci sarebbe da ridere, se non ci fosse da piangere, trattandosi ormai di una ciclotimia gigantesca che sta aggredendo irreversibilmente il nostro habitat su scala globale.

    Ma noi, come nel film di Abel Ferrara 4:44 Last Day on Earth, sembriamo attendere che "la fine di tutte le cose" arrivi quieta e netta, di primissima mattina, senza eccessivi rompimenti di scatole, accompagnata solo da qualche comprensibile baruffa laggiù in strada mentre i nostri loft risuonano di trasmissioni televisive che sfumano pacatamente nel nulla.

    Ed ecco allora il paradosso della politica: disegni di legge, decretazioni munite dei requisiti di gravità e urgenza, emergenze a manovella, missioni di "pace" di qua e di là, stati d'assedio e d'eccezione… Ma, di grazia, a che serve codesto "decisionismo", se costantemente veniamo sequestrati da eventi che la politica insegue e rincorre a perdifiato senz'alcun costrutto di fatto e nemmeno di diritto?

    Qualcuno mai ha celebrato un referendum sui motori a scoppio, sui carburanti fossili o, almeno, sui materiali fissili?

    Non ce n'è bisogno, la devastazione planetaria è un plebiscito che si rinnova ogni giorno.

    Eppure, sciogliendosi i ghiacciai e salendo il livello del mare, ci troveremo inevitabilmente a fare i conti con situazioni perturbanti.

    Come governare allora sette-otto miliardi d’individui perturbati?

    Sarà possibile governarli tutti senza il loro consenso, la loro collaborazione, la loro cooperazione attiva?

    Sì, in effetti, sommessamente, noi attendiamo di conoscere delle proposte su come governarli tutti.

    Li minacciamo a mano armata?

    Li sediamo, o aizziamo, con l’ipnosi?

    Gli spalmiamo addosso ulteriori triliardate di derivati finanziari?

    A buon diritto attendiamo proposte su ciò. Tra l'altro anche perché "loro", in ultima analisi, siamo "noi".

 

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Giunti sin qui, mi viene in mente il seguente passo, tratto da La Repubblica di Platone 'riscritta' da Alain Badiou:

    «"Ma non desideriamo noi che gli abitanti del Paese di cui stiamo immaginando il destino... abbiano tutti tutte le qualità dell’indole filosofica? Perché a loro e solo a loro, a tutti loro, ai nostri amici del grande popolo, dovremo affidare gli incarichi richiesti per l’organizzazione di una vita collettiva finalmente liberata, finalmente degna dell’Idea che l’umanità possa costruire se stessa al di là delle semplici costrizioni della propria sopravvivenza".

   "Che tutti siano filosofi?!".

    "Tutti senza eccezione", dice Socrate a bassa voce. "Sì, senza nessuna eccezione".»

 

 

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La copertina de La Repubblica di Platone

di Alain Badiou (Ponte alle Grazie, 2013)

       

            

SPIGOLATURE 

 

Rigoristi vs Flessibilisti?

 

di Renzo Balmelli 

 

DIVERGENZE. Sembrano preludere alla fine dell'incantesimo tra Roma e Berlino, le forti divergenze sul piano economico emerse in questi giorni tra le due capitali, mentre in Italia la ripresa fatica a manifestarsi e la Germania mostra a sua volta qualche inciampo. Nel delinearsi di un ipotetico asse franco-italiano in alternativa alla presunta egemonia tedesca si intravvedono i segni premonitori di uno scontro tra le così dette tesi rigoriste germaniche e una linea di maggiore flessibilità che a nord del Reno chiamano immobilismo. Sono concetti antitetici e deleteri per l'UE, tenuta a remare nella stessa direzione, e che invece sono grasso che cola per gli euroscettici sempre in agguato.

 

MERCATO. Quando è a corto di mano d'opera la Germania fa shopping in Italia. Certo non sono più i tempi dei lunghi convogli carichi di emigranti con le valige di cartone, fiaschi di vino e panini alla mortadella. Ciò malgrado la Repubblica federale continua a guardare con interesse a quanto offre il mercato del lavoro italiano e promuove iniziative nel Meridione per reclutare personale. Poi lo forma, insegna la lingua e offre un periodo di prova di sei mesi. Insomma non più solo braccia, ma uomini. Forse anche in questo sta la differenza tra i due Paesi: nella disoccupazione che nella Penisola sfiora il 13% (contro il 4,9%) e nelle incognite di un domani ancora scarso di prospettive.

 

FUGA. Non solo sud. Anche il nord, che per definizione dovrebbe essere la locomotiva del Paese, contribuisce in misura ragguardevole a incrementare il nuovo flusso migratorio. Dati alla mano, è la Lombardia la regione dai cui parte il numero più cospicuo di emigranti diretti in Europa e nelle Americhe alla ricerca di lavoro e di opportunità che la madre patria non sa offrire. Tanti italiani se ne vanno coi loro titoli di studio non per libera scelta, ma per necessità, in attesa che sul problema del lavoro, al centro del vertice di Milano, si compiano davvero passi importanti. Ma al momento la fuga dei cervelli resta un fenomeno inquietante sul quale il governo deve intervenire con prontezza.

 

SDEGNO. Crisi o no, io questo lavoro non lo fò. Più o meno con queste parole e la voce vibrante di sdegno, un avvocato di Berna, disoccupato di lungo corso mantenuto dalla città, ha respinto il posto di spazzino che gli era stato proposto per non pesare sulle spalle dell'assistenza pubblica. In cambio pretendeva un impiego più consono alla sua formazione, finendo però col perdere il sussidio. Nella ricca Svizzera chi è disoccupato è guardato con sospetto, non di meno il caso ha aperto il dibattito sull'opportunità di accettare un impiego qualsiasi, considerato che determinate attività sembrano ormai riservate agli immigrati, deprecati ma indispensabili.

 

TORTURA. Se gli animali domestici avessero il dono della parola, quante ne racconterebbero ai loro Sigmund Freud sulle asfissianti e discutibili attenzioni cui vengono sottoposti dai loro proprietari. Per capire l'ampiezza del fenomeno che tende a trasformare cani e gatti in bellissime persone basti sapere che in Occidente si spendono miliardi e miliardi di dollari l'anno in cibi raffinati e accessori inutili per gli amici a quattro zampe. Più che amore è ormai una tortura che oltre a snaturare l'animale, rende ancor più crudele il confronto con le aree del sud del mondo in cui milioni di individui muoiono di fame e di sete o al massimo dispongono di un dollaro al giorno per sopravvivere.

 

BON TON. Con la sua ormai leggendaria collezione di "gaffes", Joe Biden, sfidando l'ironia di Washington, ha spiattellato un paio di verità scomode sull'Isis che attacca, uccide e decapita. Ciò che non si può dire in via ufficiale, il vicepresidente lo ha fatto trapelare con parole sue, lasciando intuire la frustrazione della Casa Bianca per la coalizione degli indecisi che in passato avrebbe avuto un comportamento troppo passivo nei confronti del califfato. Le reazioni inviperite non si sono fatte attendere, ma sebbene il vice di Obama non padroneggi la gelida Realpolitik di un Kissinger, quanto è sfuggito dalle maglie del bon ton diplomatico forse non è ne casuale ne sbagliato.

 

RIGORE. Pur desiderando soltanto il meglio per i suoi abitanti, non si può certo dire che l'Italia sia priva di problemi, anche molto grandi. In simili circostanze non si avvertiva assolutamente la necessità di cavalcare le mille polemiche del dopo Juventus-Roma per pavoneggiarsi in Parlamento con una interrogazione sul calcio che sfida il ridicolo per il palese il tentativo di mietere facili consensi. Anziché placare gli animi, già tesi per ragioni più serie di una partita, l'idea di portare il pallone in aula e' stato un cattivo servizio reso alla politica. Meglio sarebbe stato attenersi alla saggezza del compianto Boskov il quale affermava che "rigore è quando arbitro fischia". E tanto basta.

   

    

 

Le idee

 

CONTRO LA GUERRA

 

DISCORSO NEL CENTENARIO DELLA RISOLUZIONE PER LA

PACE DEI SOCIALISTI ITALIANI E SVIZZERI A LUGANO

 

di Felice Besostri

 

(Lugano, 28 Settembre 2014) - Oggi è una ricorrenza importante perché il 27 settembre 1914 i socialisti italiani e svizzeri due dei pochi partiti socialisti che non si fecero travolgere dalla deriva bellicista, redassero una Risoluzione contro la Guerra, la prima guerra mondiale. Lo è anche perché nello stesso luogo dove sorgeva l’Hotel Helvetia si trovano socialisti ticinesi e lombardi per ricordare quell’evento. Voglio trarre un positivo auspicio che la giornata sia stata aperta da una compagna doppia nazionale, come è un doppio nazionale il compagno Filippo Contarini, presidente dell’Antenna italiana del PSS, organizzatore dell’incontro nato da una proposta del compagno Giovanni Scirocco che ho fatto mia. Io stesso sono un doppio nazionale ma non ticinese, benché l’italiano sia la mia lingua madre, ma neo-castellano. Sono anche un doppio socialista membro della Direzione Nazionale del PSI e della Presidenza della Internationale Sektion del PSS/SPS.

    La più antica (fondata nel 1897) e tuttora esistente rivista del movimento operaio e socialista in lingua italiana è L’Avvenire dei Lavoratori, che si pubblica a Zurigo e che ha avuto come direttori – oltre a Ciro Menotti Serrati, Angelica Balabanoff, Ignazio Silone e Pietro Nenni – anche tre grandi socialisti ticinesi come Guglielmo Canevascini, Ezio Canonica e Dario Robbiani. La Federazione Socialista Italiana in Svizzera è stata fondata nel 1894 come organizzazione di socialisti di lingua, non di cittadinanza, italiana, e lo stesso valeva e vale per il Cooperativo, loro luogo di riunione.

 

 

Angelica Balabanoff (1877-1965)

 

Qualcuno leggendo i nomi dei socialisti italiani e svizzeri in calce all’appello si è chiesto se siamo altrettanto rappresentativi. Non dobbiamo preoccuparci anche se fossimo dei nani se ci sediamo sulle spalle di quei giganti possiamo vedere più lontano di loro. Loro avevano individuato i pericoli di una guerra, noi e le generazioni che ci hanno preceduto le abbiamo sperimentate sia della Prima che della Seconda Guerra Mondiale e dei loro dopoguerra, con la divisione del mondo tra Est e Ovest e il confronto nucleare.

    Manes Sperber ricevendo il Friedenpreis degli editori tedeschi nel discorso di ringraziamento si era chiesto come fossa stato possibile che i milioni di cittadini che da Parigi a Berlino, da Vienna a Londra avevano manifestato contro la guerra pochi mesi dopo si sarebbero sparati addosso da opposte trincee. E il dramma del movimento socialista, che non avrebbe più ricostruito un’Internazionale Socialista, comprensiva di tutte le sensibilità. Bandiera Rossa la conosciamo tutti ma si dimentica sempre la terza strofa “Avanti popolo non più frontiere/ stanno ai confini rosse bandiere”-. Negli anni 60 faceva ancora parte della nostra formazione politica Addio Lugano Bella e Gorizia, un grido contro la guerra. E’ necessario ritornare ai valori del passato quelli espressi nella risoluzione contro la guerra di cento anni fa. In un cero senso è il Socialismo una nostalgia del futuro. Si colgono segni di pericolo inquietanti non solo nei focolai di guerra nel Medio oriente e nel Mediterraneo con il tradimento delle primavere arabe nella stessa Europa in Ucraina, ma tutto avviene anche perché ce stato uno sviluppo ineguale. La globalizzazione e la finanziarizzazione dell’economia non hanno ripartito la ricchezza con modalità più eque nel mondo, ma spesso hanno accentuato le differenze tra le parti più sviluppate e quelle più arretrate ed anche ha aumentato le diseguaglianze tra la parte più ricca e quella più povera anche nei nostri paesi.

    L’Europa Unita ha preso il Nobel per la Pace, ma non è all’altezza della sua missione anche simbolicamente se la guardiamo su una carta geografica ha un vuoto nel suo centro, in corrispondenza del cuore di un corpo umano: La Svizzera non ne fa parte e quindi ci manca la sua esperienza di collaborazione tra popoli di lingue e religioni diverse. Ha una sua responsabile di i politica estera e di sicurezza, con l’altisonante grado di Vicepresidente della Commissione Europea ma non una politica estera e di sicurezza comune. Non gioca quindi un ruolo sullo scenario internazionale. Non è quello che si immaginava nel manifesto di Ventotene, né quello per cui si sono battuti europeisti socialisti come Ignazio Silone o Eugenio Colorni. Oggi con il nostro incontro abbiamo ripreso in mano la loro bandiera.

        

 

L'AVVENIRE DEI LAVORATORI - Voci su Wikipedia :

(ADL in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori

(ADL in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori

(ADL in spagnolo) http://es.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori

(Coopi in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in tedesco) http://de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana

   

 

Riceviamo e volentieri segnaliamo

 

I CONSIGLI DI GESTIONE
E LA DEMOCRAZIA INDUSTRIALE
E SOCIALE IN ITALIA


Ne discutono Amato, Carniti, Martini, Pepe, Schiattarella e Fammoni in diretta su RadioArticolo1


Venerdì 10 ottobre dalle ore 10.00

 

Domani, venerdì 10 ottobre, a partire dalla ore 10.00, RadioArticolo1 (www.radioarticolo1.it) trasmetterà in streaming l’iniziativa promossa dalla Cgil, dalla Fondazione Di Vittorio e da Ediesse di presentazione del volume “I Consigli di gestione e la democrazia industriale e sociale in Italia”. Presiede Fulvio Fammoni, presidente Associazione Bruno Trentin, e interverranno: Giuliano Amato, giudice della Corte Costituzionale; Pier Carniti, già segretario della Cisl; Franco Martini, segretario confederale Cgil; Adolfo Pepe, direttore della Fondazione Di Vittorio; Roberto Schiattarella, docente di Economia politica.

   

         

LAVORO E DIRITTI

a cura di www.rassegna.it

 

«L'Europa volti pagina»

 

Lavoro, economia: l'appello dei sindacati al vertice di Roma. Le confederazioni del lavoro europee hanno adottato la "Dichiarazione di Roma" e rilanciano la proposta di un nuovo corso per il continente: “Dieci anni di investimenti per uscire dalla sofferenza industriale e promuovere l'occupazione”.

 

Alla vigilia del summit Ue sul lavoro che si terrà a Milano mercoledì 8 ottobre, i sindacati europei rilanciano da Roma, dove hanno tenuto un vertice lunedì 6 ottobre, la proposta di un nuovo corso per l’Europa, un Piano del lavoro che nei prossimi dieci anni porti il continente fuori dalla crisi e dalla sofferenza industriale, e che sia alimentato da 2.500 miliardi di euro (250 miliardi l’anno), pari al 2% del Pil europeo.

    I leader dei maggiori sindacati europei, nonché i vertici della Confederazione europea dei sindacati, si sono ritrovati oggi nella capitale, adottando al termine dei lavori la ‘Dichiarazione di Roma’ (QUI IL TESTO INTEGRALE) per sottolineare come l’Europa abbia bisogno di “voltare pagina, rispetto a una conduzione dell’economia basata su politiche di austerità e di solo rigore contabile”. Per farlo mettono al centro una proposta: appunto ‘Un nuovo corso per l’Europa’, ossia “un piano straordinario europeo di investimenti per la crescita sostenibile e l’occupazione”. E su questo punto rilanciano “il dialogo sociale tra le parti sociali, rinnovato e rafforzato nel suo significato e nel suo valore”, che è “architrave del modello sociale europeo e uno dei pilastri su cui si è fondato, nei decenni alle nostre spalle, il successo dell’economia europea”.

    Per quanto riguarda nello specifico i temi del lavoro, i sindacati europei nella dichiarazione di Roma ricordano come interventi legislativi sul lavoro e sul mercato del lavoro, operati senza il confronto con le parti, “hanno provocato aumento della disoccupazione e delle disuguaglianze di trattamento dei lavoratori, diminuzione delle tutele e delle protezioni, indebolimento degli accordi e della contrattazione collettiva”. Per questo ribadiscono che “il lavoro stabile dignitoso e di qualità deve essere il punto di riferimento per il futuro, che la flessibilità non può né deve trasformarsi in precarietà, che la contrattazione dei salari e delle condizioni di lavoro deve rimanere autonoma responsabilità delle parti sociali, che i diritti e le tutele fondamentali dei lavoratori non devono essere oggetto di interventi unilaterali e non concordati”. Ecco perché, si chiude la dichiarazione di Roma, “solo attraverso la contrattazione collettiva si potranno negoziare le riforme che ci consentiranno di uscire dalla crisi e perseguire la giustizia sociale. Ciò è indispensabile affinché i lavoratori si possano sentire parte del progetto europeo”.

    “L’illusione che la finanza e le esportazioni fossero sufficienti a un nuovo sviluppo è stata un fallimento sotto gli occhi di tutti, mentre in Europa si continua a discutere dei compiti a casa, indebolendo, se non cancellando le politiche espansive”. Così il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, nell’aprire il vertice ospitato nella sede della confederazione (LEGGI L’INTERVENTO INTEGRALE DI CAMUSSO). “Siamo quasi a metà del semestre europeo e dalla presidenza italiana non è arrivato ancora nessun cenno di dialogo sociale con i sindacati”, ha detto il segretario generale della Cgil. “Accadde una sola volta in altri semestri europei - ha ricordato Camusso - in un periodo unico di non dialogo sociale: quello di madame Thatcher”. Dai sindacati nazionali e dalla Ces sono arrivate innumerevoli richieste di incontro e dialogo - ha ricordato il segretario generale Cgil - per ora rimaste inevase. Ma le organizzazioni dei lavoratori non rinunciano a “mettere in campo la loro proposta” per un dialogo sociale che costruisca un’”agenda del buon lavoro” e per uscire dal “modello del rigore europeo” e dell’austerità, che ha “tradito” lo spirito sociale della Carta d’Europa. Da qui parte la proposta per un nuovo corso: “Non bisogna rinunciare - sottolinea Camusso - a cambiare davvero verso alla politica europea”. Il piano della Ces prevede 10 anni di investimenti per creare lavoro: “Innovazione è per noi economia della conoscenza, industria verde, alta tecnologia, tutti investimenti che generano buon lavoro e non precarietà”. Come finanziare questa spesa? “Anzitutto con la tassazione europea sulle rendite finanziare e con un fisco che universalizzi la patrimoniale e le rendite improduttive”. E poi con “lo scorporo degli investimenti” dalle manovre nazionali unito alla lotta “all’evasione e ai paradisi fiscali”.

    “Abbiamo sentito che il futuro Presidente della Commissione Juncker parla di 300 miliardi in 3 anni. Seppur meglio dell’assenza di scelte della Commissione precedente sono troppo pochi per poter cambiare l’Europa. Pochi e inadeguati alla fase che stiamo vivendo. Quanto all’Italia, Camusso ricorda il mancato confronto tra il premier Renzi, presidente del semestre europeo, e i sindacati continentali. “In questi giorni - aggiunge - c’è forse un cambio di orientamento, speriamo che sia un vero e serio ripensamento, perché l’idea del Jobs Act è di riduzione globale dei diritti e dei salari. Noi pensiamo al ‘buon lavoro’ e all’occupazione di qualità, alla cancellazione della precarietà, agli investimenti sul lavoro. Preoccupa, invece, l’idea del governo di restringere il ruolo dei sindacati e dell’autonomia delle parti nella contrattazione. Siamo pronti al confronto - precisa - ma altrettanto al conflitto. Al solito ritornello ‘ce lo chiede l’Europa’, vogliamo controbattere con ‘Lo facciamo in e con l’Europa’, cioè con un vero piano del lavoro”.

    “In Europa”, ha detto il segretario della Ces, Bernadette Ségol, “ci sono oltre 25 milioni di disoccupati, è come se fosse il 29simo Stato europeo. Aumentano i rischi di povertà, le situazioni personali drammatiche e non solo in Grecia e Spagna, ma anche in paesi come il Regno Unito dove i salari sono sempre più bassi”. La Ces – ha proseguito Ségol – “non è più disposta ad accettare dai leader politici l’idea che la crisi è superata. La crisi sarà superata solo quando avremo raggiunto la piena occupazione e un lavoro dignitoso per tutti. I sindacati ritengono che l’economia debba essere al servizio della società. Non vogliamo una società al servizio dei mercati. Se non esiste un’Europa sociale – ha aggiunto – al servizio dei cittadini, a medio e lungo termine fallirà anche l’Europa politica”. Secondo il segretario della Ces, le proposte della Commissione Ue per creare occupazione “sono completamente sbagliate” perché “la soluzione di rendere il lavoro precario e flessibile crea concorrenza fra i paesi, in particolare sui salari”.

    “Al presidente del Consiglio Matteo Renzi abbiamo chiesto un incontro ma non è stato ancora convocato”. Così Ségol ha risposto ai giornalisti che le chiedevano un commento sul semestre italiano di presidenza europea, aggiungendo: “è necessario che lo faccia, non si può parlare di dialogo sociale e poi ignorarlo. Ma non ci rinunciamo, la presidenza del Consiglio europeo è ancora all’inizio”.

 

Vai su RadioArticolo1 per ascoltare i podcast di tutti gli interventi.

    

                    

Da Avanti! online

www.avantionline.it/

 

USA. Tassi manipolati,

banche sotto inchiesta

 

Sottotitolo

 

di Liberato Ricciardi

 

La Giustizia americana riaccende i riflettori sulle Grandi Banche, colpevoli di collusione nel manipolare il mercato dei cambi. A riportare la notizia è il NYT che spiega nel dettaglio le accuse formulate da parte della Giustizia americana, ancora alle prese con i vecchi casi di speculazione finanziaria.

    Le prove si concentrano su un certo numero di banche straniere e americane che avrebbero alterato il prezzo delle valute estere e ora le indagini dei pubblici ministeri mirano a trovare prove contro almeno una banca entro la fine dell’anno. Anche se l’inchiesta potrebbe durare e trascinarsi per anni: l’indagine colpisce al cuore Wall Street che fissa i parametri di riferimento per tutto il mondo della finanza. Inoltre il Dipartimento di Giustizia ha incluso nell’indagine penale le banche che fissano un punto di riferimento importante per i derivati ​​sui tassi di interesse, ovvero le banche che cercano di beneficiare attraverso i tassi Libor, come la “04:00 Londra fix” per le valute che gli investitori usano per analizzare le loro posizioni, ed emerge che le banche si addebitano reciprocamente prestiti, presentando falsi tassi, per beneficiare delle loro posizioni di trading. Le autorità sospettano che le banche, hanno utilizzato le informazioni raccolte dai loro clienti, per inondare in accordo tra loro, il mercato con ordini, pochi secondi prima che il cosiddetto 4:00 fix, fissasse il tasso di cambio. L’obiettivo, secondo gli inquirenti, è stato quello di far alzare il prezzo di un tot prima di vendere ai clienti ad un prezzo gonfiato.

    La pubblica accusa sta inoltre cambiando la strategia e punta a usare le nuove indagini come leva per riaprire eventualmente i casi precedenti. L’obiettivo è dimostrare che le nuove infrazioni violano i precedenti patteggiamenti già raggiunti da cinque istituti di credito in analoghi casi di manipolazione dei tassi di interesse.

    Nel mirino stavolta sono proprio le Grandi Banche: Deutsche Bank, Citigroup, JPMorgan, Barclays e UBS, insieme a un’altra dozzina di banche minori sotto inchiesta, per un’indagine che potrebbe distinguersi da quella frammentaria svoltasi all’epoca dello scoppio della grande crisi del 2007/2008.

    Tra le banche prese di mira, c’è però chi spiega le indagini  come una revanche personale del procuratore generale di Giustizia Eric H. Holder Jr. – a rischio sostituzione –  che è stato accusato in passato di non aver aperto procedimenti giudiziari contro i dirigenti di Wall Street.

 

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Da MondOperaio

http://www.mondoperaio.net/

 

Miseria del Keynesismo

 

A colloquio con Riccardo Bellofiore *)

 

Intervista curata da Danilo Di Matteo

 

Tante volte gli esseri umani si sono persuasi dell’ineluttabilità della propria condizione e dell’universalità, ad esempio, di teorie e modelli economici, e puntualmente sono stati smentiti dai fatti. Ciò di certo vale anche per i modelli oggi dominanti.

Non credo che sia solo una questione di mancanza di immaginazione politica e sociale. Credo piuttosto che abbia a che vedere con la dura materialità dei rapporti di classe, con l’incapacità della sinistra di analizzare i movimenti del capitale, con una rinuncia talora programmatica al conflitto sociale, con una perdita della dimensione centrale del lavoro e del suo sfruttamento. La frase di Margaret Thatcher (TINA = there is no alternative, non c’è alcuna alternativa) è il suggello di una sconfitta del mondo del lavoro e dei movimenti di contestazione e alternativi degli anni Sessanta e Settanta del Novecento. Questa sconfitta è stata vissuta in modo emblematico qui a Torino con i 35 giorni della Fiat, tra il settembre e l’ottobre del 1980. È una sconfitta che non viene dal nulla, ma da una lunga costruzione di quel modello che è stato chiamato “neoliberismo”, e dalla crisi del cosiddetto modello fordista-keynesiano (una crisi che viene anche “da sinistra” e “dal basso”). Credo che oggi si dovrebbe riprendere non solo una critica del neoliberismo un po’ meno abborracciata di quella esistente, ma anche una critica del keynesismo.

    Mi pare che il limite della parola “neoliberismo” sia nel comprendere tendenze e fenomeni anche assai diversi, dalle politiche di Margaret Thatcher a quelle di Angela Merkel. Cos’è davvero il neoliberismo?

    Questo è un nodo cruciale. Il neoliberismo è stato troppo spesso identificato con il monetarismo, e con il ritorno al laisser faire. Nulla di tutto ciò. Il neoliberismo non è liberista, non solo perché il liberismo non è mai esistito, ma anche perché si tratta di un progetto di costruzione politica di un diverso Stato, non di un fantomatico libero mercato. L’esperimento monetarista è durato pochissimo, dal 1979 al 1982. Restrizioni monetarie, alti tassi di interesse, caduta degli investimenti; compressione della spesa pubblica (soprattutto sociale), riduzione delle imposte a favore dei ceti abbienti, attacco al sindacato, declino della quota dei salari, e dei consumi dal reddito. Le condizioni di un crollo per insufficienza di domanda, per il ripetersi di una dinamica come quella degli anni Trenta del Novecento, si sono riprodotte abbastanza presto, ed in modo esplosivo: basti pensare, nel 1982, alla crisi del debito dell’America Latina, che indusse Reagan a un drastico cambio di politica economica. Il neoliberismo vero e proprio ha lì la sua data di nascita, con una svolta verso quello che, con altri autori, chiamo ‘keynesismo privatizzato’. Prima le guerre stellari e la spesa militare, che crea negli Stati Uniti il doppio disavanzo (interno ed esterno). Poi l’era Greenspan. Al lavoratore traumatizzato si accompagna presto l’entusiasmo dei risparmiatori, che vedono apprezzarsi le loro attività finanziarie e immobiliari grazie a una politica monetaria che De Cecco ha denominato del banchiere centrale quale lender of first resort (“prestatore di prima istanza”, ndr). Quando i prezzi dei titoli o delle case vanno su, il valore dei risparmi accumulati va su anch’esso, e fasce sempre più ampie di risparmiatori entrano in uno stato ‘maniacale’, e risparmiano sempre meno del loro reddito; ma costoro rischiano di entrare in fase ‘depressiva’ quando il meccanismo si blocca, e a quel punto la loro paura innesca il fenomeno noto come deflazione da debiti (tutti riducono la spesa per uscire dal debito, finendo invece sempre più indebitati). Di lì, dal combinato disposto del lavoratore traumatizzato e del risparmiatore maniacale-depressivo, ha origine il consumatore indebitato (si consuma a fronte del capitale che si è valorizzato, o sfruttando le più facili condizioni di indebitamento). È stato questo il traino dei modelli neo-mercantilisti in giro per il mondo (anche da noi), sopperendo così  ai bassi consumi da salario, agli insufficienti investimenti, al tentativo (che si sopprime da solo) di comprimere i deficit pubblici. È essenziale capire che la finanza perversa è stata essenziale per la dinamicità di questo modello, che tutto è stato meno che stagnazionistico (come crede il sottoconsumismo di molti sedicenti keynesiani, o di quei marxisti che sostengono la tesi della caduta tendenziale del saggio del profitto). Il problema dunque non è solo quello di troppa ineguaglianza e poca domanda: è, più fondamentalmente, del tipo di rapporto tra finanza e produzione; è questo che ha fatto credere che l’ineguaglianza fosse un bene per la crescita, e che ha spinto verso l’alto la domanda una bolla dopo l’altra. Insomma, il neoliberismo è un modello politico nutrito da una ridefinizione (non da una cancellazione) del ruolo dello Stato e della politica economica, e per combatterlo bisogna conoscerlo per come è davvero.

    In Italia (forse più che altrove) vi sono, fra gli altri, due problemi di fondo: le notevoli dimensioni della cosiddetta rendita parassitaria (e qui vengono in mente le analisi di Thomas Piketty) e i forti tratti corporativi della nostra società, con il corollario di fenomeni quali la corruzione e il clientelismo. Come provare a uscirne?

    Il problema della rendita è un problema di sempre, in Italia ma anche altrove: e ahimè, senza rendita non ci sarebbero stati sviluppo e occupazione. Sogna chi pensa che ci sia una finanza cattiva e una impresa buona. Come ho detto, la diseguaglianza, problema serissimo, non è però il nodo della questione. Così corruzione e clientelismo. Il punto chiave è che sono crollati sia il modello keynesiano postbellico, che si fondava sulla spesa militare o generica (gli aspetti positivi di quel modello sono venuti dalle lotte sociali e operaie che lo hanno messo in crisi!), che quello keynesiano privatizzato. Quest’ultimo si basava su una inflazione nei mercati finanziario e immobiliare che determinava, per un verso, la “sussunzione reale” del lavoro al capitale (ovvero, una incorporazione subalterna delle famiglie dentro la finanza e dentro il debito bancario: è il capitalismo dei gestori finanziari, il money manager capitalism); e per l’altro verso una “centralizzazione senza concentrazione” (il comando capitalistico si concentra, ma le imprese non si concentrano: vi è una dispersione e frammentazione dei lavoratori, magari nella forma paradossale dell’in house outsourcing). Per uscirne bisogna rovesciare la logica, e ricominciare a pensare in grande: non è una crisi qualunque, non basta un po’ meno di austerità, di spesa pubblica purchessia, di finanziamento bancario. Occorre, più specificamente, una ‘socializzazione dell’investimento’ (ovvero, una diretta creazione di valori d’uso sociali da parte dello Stato), una socializzazione dell’occupazione (un ‘piano del lavoro’ e lo Stato come occupatore diretto non residuale ma in prima battuta), una socializzazione della banca e della finanza. Insomma, una spesa pubblica che ritorni ad essere il motore della crescita, ma in forma del tutto inedita, secondo modalità molto diverse da quelle del keynesismo. Un paragone semmai potrebbe trovarsi, con qualche distinguo, nel New Deal. Roosevelt non amava i deficit pubblici, invece sono la condizione di una spesa pubblica attiva. E Roosevelt, come Keynes, voleva salvare il capitalismo. Invece il punto è di fare un passo deciso verso una forma di socialismo.

    Crede che il reddito di cittadinanza, magari nella forma di un salario di ingresso nel mondo del lavoro, rappresenti una strada percorribile anche nel nostro paese?

    Non credo. Innanzitutto si dovrebbe parlare di reddito (universale) di esistenza: in termini rigorosi, si dovrebbe intendere un sussidio monetario erogato a tutti – e quando dico tutti, intendo tutti: da Marchionne (ammesso e non concesso che i suoi redditi li percepisca in Italia) al precario o al disoccupato. Il che, per funzionare, richiederebbe un sistema fiscale altamente progressivo e senza evasione o elusione. Fantascienza. Sotto quel nome si contrabbandano sussidi ai precari, ai giovani, a fasce particolari, che riproducono un fenomeno noto dai tempi della rivoluzione industriale: una corsa al ribasso dei salari (tanto c’è il sussidio), l’odio tra poveri, la riduzione dei poveri a mendicanti. È quello che, ancor più di Marx, è stato stigmatizzato da Polanyi ne La Grande Trasformazione. Bisogna invece creare lavoro, un lavoro dignitoso e di qualità, mirando con determinazione alla piena occupazione con lavoro fisso e un salario ‘decente’ (solo con piena occupazione permanente la flessibilità gioca a favore dei lavoratori, qualche volta), e risolvere così il problema del reddito da lavoro. Invece tutta la sinistra, moderata e non, assume come un dato di natura la fine del contratto di lavoro a tempo indeterminato, o il precariato (ci sono poi addirittura quelli che vedono nel basic income l’uscita dalla gabbia del lavoro: follie). Sto pubblicando con Laura Pennacchi un libro di Minsky,  Ending Poverty: Jobs Not Welfare, molto chiaro su queste cose. Più che sussidi, poi, lo Stato dovrebbe intervenire con forme di retribuzione in natura: la scuola, l’assistenza sanitaria, e così via. Una economia di piena occupazione e alti salari, ovviamente, non patirebbe le costrizioni finanziarie alla spesa pubblica che (sulla base di dottrine economiche false, anche se dominanti) ci vengono messe davanti un giorno sì e l’altro pure. Ci si può chiedere se questo sarebbe un capitalismo sostenibile: io credo di no. Proprio per questo, però, il nodo sul tappeto è immaginarsi una forma sociale oltre il capitalismo, da costruire attraverso un soggetto sociale alternativo, plurale, con lotte dal basso, in un periodo, che si prospetta lungo, di incertezza e sprofondamento nella crisi. In qualche misura non è lontano dal modello di Gramsci nelle Tesi di Lione. Solo che non abbiamo nessuna mappa della transizione e del conflitto. Si tratta di opporre al senso della realtà il senso della possibilità di cui parlava Musil. Purtroppo la discussione, soprattutto in Italia, è lontana da questi temi.

   

 

*) Il 6 e 7 ottobre prossimi si è svolto a Torino il convegno internazionale “Economia e Teologia – Per una visione economica solidale”, promosso dal Centro Teologico (fondato nel 1973 da un gruppo di padri gesuiti), dal Centro evangelico di cultura “Arturo Pascal” e dal Centro Studi Filosofico-religiosi “Luigi Pareyson”, con il contributo dell’otto per mille della Chiesa valdese. Fra i relatori, il professor Riccardo Bellofiore, economista dell’Università di Bergamo, intervistato qui da Danilo Di Matteo per MondOperaio. 

      

       

FONDAZIONE NENNI

http://fondazionenenni.wordpress.com/

 

E’ in via di trasformazione la

partecipazione politica in Italia?

 

I dati sono incredibili, nel 2014 il Partito Democratico avrebbe perso 400.000 iscritti e oggi sarebbero appena 100.000, prevalentemente concentrati nelle Regioni rosse come Emilia Romagna, Toscana e Marche. Questo, nella Prima Repubblica, sarebbe stato un Partito di testimonianza del 2%. Se i dati sul tesseramento 2014 saranno confermati sarebbe la fine dell’ultimo Partito di massa in Italia;

 

di Antonio Tedesco

 

Come prospettato dal sociologo Ilvo Diamanti su Repubblica ad aprile 2014, sullo sfondo vi è la crisi dei Partiti di massa novecenteschi basati sulla militanza e l’appartenenza identitaria, capaci di comunicare direttamente con le società; e vi è l’irrompere in questa crisi della “democrazia del pubblico”. (…)

    I partiti della Prima Repubblica crescevano in un contesto socio-economico-culturale totalmente diverso. Oggi prevale l’assenza di fiducia e l’individualismo, quindi sarebbe più opportuno parlare non di elettore indeciso ma elettore pronto a votare il partito o il politico più “conveniente”. Ma non bastano più annunci generici tipo “riduciamo le tasse”. Oggi l’elettore “disponibile” si affida a quelli che fanno annunci concreti: 80 € in busta paga, la restituzione della tassa sulla casa etc.

    In una società dove si sono ridotte drasticamente le risorse di tempo e denaro individuali non vedremo più le sezioni piene di fumo e di militanti impazienti di intervenire. Oggi funziona la formula di Grillo, sullo smartphone arrivano le news e le direttive del Movimento e del Blog che il simpatizzante può comodamente leggere nei treni o nei bus(che vanno a 12 km orari) mentre si reca al lavoro. E poi la sera esprimere la propria preferenza ai quesiti proposti dal Blog. Questa formula in grado di mobilitare un discreto numero di cittadini è destinata in poco tempo ad entrare in crisi se non ha la capacità di trovare nuovi stimoli e nuove formule e soprattutto se non si traduce in fatti concreti.

    Se i Partiti sono in crisi non è vero, però, che i cittadini non siano disponibili ad attivarsi e a partecipare.

    Oggi i cittadini tendono a sperimentare nuove forme di partecipazione; ne è un esempio, che sicuramente diventerà contagioso, il fenomeno “Ratake”, organizzazioni di cittadini che operano per il decoro delle città che troviamo nei nostri quartieri, nelle stazioni e nei luoghi degradati. Un fenomeno contagioso, di cittadini che hanno trovato un canale per sfogare la frustrazione e la rabbia per lo stato di abbandono delle nostre città, di quello che dovrebbe essere il bene comune.

    È prevedibile che in Italia si svilupperanno con maggiore capacità Movimenti spontanei dal basso con uno scopo in parte mutualistico(forse un po’ come all’inizio del 900′), come sostegno ai ceti bassi e ai poveri, inevitabilmente cresciuti con la crisi del sistema capitalistico occidentale e in parte nel tentativo di riparare alle inefficienze della politica e per sviluppare il senso civico.

    Quindi il futuro della partecipazione politica non è l’impersonale Blog antipartitico, ne le riunioni fiume dei partiti di Prima Repubblica. Forse il futuro della partecipazione politica è nell’azione concreta di gruppi portatori di interessi, sintetizzando con una formula: “piccole azioni da compiere la domenica nel proprio quartiere”.

    Esisterà ancora la sinistra? Esisterà se sarà capace di cogliere le trasformazioni della società, superando le inutili divisioni, conservando e difendendo i valori del socialismo(lavoro, libertà, uguaglianza, diritti) e gli uomini che hanno fatto grande la storia del socialismo italiano ed europeo(Nenni, Pertini, etc..)e puntando sulla cultura e sulla formazione sfruttando tutte le potenzialità della rete e dei nuovi canali comunicativi.

       

       

Da CRITICA LIBERALE

riceviamo e volentieri pubblichiamo

 

Ma mettiamoci nei

panni di Berlusconi

 

di Lepre Marzolina

 

Un qualunque leader che avesse frequentato almeno le elementari della politica, prima di mettersi d'accordo sulla più indecente accoppiata di tutti i tempi per la Corte costituzionale, avrebbe avuto la prudenza di pretendere da Berlusconi almeno un candidato che non avesse avuto a che fare con la giustizia. E così la cosiddetta sinistra italiana si trova a votare (si fa per dire) un allievo di un vero maestro del diritto come Previti, autore di manuali che hanno fatto scuola: Come corrompere giudici e avvocati senza farsi un giorno di carcere oppure L'avvocato generoso: comprare una sentenza per fare un regalo-sorpresa al suo cliente. Però non facciamo i criticoni. Mettiamoci nei panni di Berlusconi, dove trova nel suo "partito dei disonesti" un laureato in giurisprudenza che non abbia conosciuto i tribunali dall'interno?

 

Vai al sito di Critica liberale

      

   

Da vivalascuola riceviamo

e volentieri pubblichiamo

 

Una buona scuola

per la Repubblica

 

Il 2 ottobre la LIP (Legge di iniziativa popolare per una buona scuola per la Repubblica) è stata ripresentata pubblicamente, a Roma, alla presenza di parlamentari di diversi schieramenti politici, sindacati, associazioni, movimenti e giornalisti.

 

di Giorgio Morale

 

In questa puntata di vivalascuola le senatrici Mussini e Montevecchi e l'onorevole Paglia spiegano perché hanno deciso di presentare la LIP come disegno di legge in Camera e Senato:


http://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2014/09/29/vivalascuola-178/

La LIP nasce dal mondo della scuola, è stata discussa e sottoscritta da oltre 100.000 persone, presentata in Parlamento da un gruppo di senatori di diversi Gruppi come disegno di legge rispettivamente 1583 al Senato e 2630 alla Camera.

    Quale differenza con la “Buona Scuola” di Matteo Renzi, calata dall’alto, annunciata con un filmato, oggetto di un questionario a risposta chiusa in cui non è possibile esprimere dissenso.

    Facciamo nostro l’invito di Marina Boscaino “Che i Presidenti della Camera e del Senato intervengano per garantire che la proposta di legge di iniziativa popolare (LIP), formalmente presentata da parlamentari di diversi gruppi politici (PD compreso) sia portata al confronto con la proposta governativa in modo da consentire all’opinione pubblica un corretto e democratico confronto“.

       

    

L'AVVENIRE DEI LAVORATORI - Voci su Wikipedia :

(ADL in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori

(ADL in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori

(ADL in spagnolo) http://es.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori

(Coopi in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in tedesco) http://de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana

   

        

LETTERA

 

Ciarle

 

Ho smesso di vedere i talk show perché  a me non dicono più niente d’importante. Mi hanno letteralmente stufato, poi ci sono sempre gli stessi personaggi, la stesse domande, con risposte non concrete. Non si vedono risultati, tutto rimane lettera morta. Personalmente  ho provato di entrare nel dibattito inutilmente, non puoi telefonare.

    Sindacato e arrivato il momento di cambiare. Siamo nel 2014 e non più negli anni sessanta. Il sindacato non lo ha ancora capito. Le fabbriche sono sparite e loro dove erano a controllare

l'andamento dell'azienda? Adesso si è nella palta e non lo hanno ancora capito sia loro che i nostri GRANDI POLITICI.

    La FRANCIA adesso che sono anche loro nella palta fanno la voce grossa. Prima ci prendevano in giro,  oggi si lamentano perché loro vogliano sforare, noi giustamente diciamo che fanno bene. Pero noi i sacrifici ce li hanno fatti fare FRANCIA E  GERMANIA. 

    Mi fermo. Scusate il disturbo della mia esternazione.

 

G. V., e-mail

        

                

L'AVVENIRE DEI LAVORATORI

EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897

Casella postale 8965 - CH 8036 Zurigo

 

L'Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigrazione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del "Centro estero socialista". Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall'Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all'estero, L'ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mondiale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l'Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L'ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l'integrazione dei migranti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all'eclissi della sinistra italiana, siamo impegnati a dare il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appartiene a tutti.

  

 

Allegato Rimosso
Allegato Rimosso