L'AVVENIRE DEI LAVORATORI La più antica testata della sinistra italiana, www.avvenirelavoratori.eu Organo della F.S.I.S., organizzazione socialista italiana all'estero fondata nel 1894 Sede: Società Cooperativa Italiana - Casella 8965 - CH 8036 Zurigo Direttore: Andrea Ermano Settimanale in posta elettronica – Zurigo, 11 settembre 2014 |
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28.9.1864 - 28.9.2014 150° dell’Internazionale Certificato prematuro e superficiale - «Se Marx è morto, lo è per qualche filosofo deluso dalla storia del mondo. Stenderne il certificato di morte è quanto meno prematuro e superficiale.» – Norberto Bobbio Socialismo etico, senza distinzione di colore di fede e di nazionalità - «L'Associazione internazionale dei lavoratori (…) dichiara che tutte le società e gli individui che vi aderiscono riconosceranno come base della loro condotta verso tutti gli esseri umani – senza distinzione di colore di fede e di nazionalità – la Verità, la Giustizia, la Morale.» – Karl Marx |
Conformemente alla Legge 675/1996 tutti i recapiti dell'ADL Newsletter sono utilizzati in copia nascosta. Ai sensi del Codice sulla privacy (D.L. 30.6.2003, 196, Art. 13) rendiamo noto che gli indirizzi della nostra mailing list provengono da richieste d'iscrizione, da fonti di pubblico dominio o da E-mail ricevute. La nostra attività d'informazione politica, economica e culturale è svolta senza scopi di lucro e non necessita di "consenso preventivo" rivestendo un evidente carattere pubblico come pure un legittimo interesse associativo (D.L. 30.6.2003, 196, Art. 24). L'AVVENIRE DEI LAVORATORI contribuisce da oltre 115 anni a tenere vivo l'uso della nostra lingua presso le comunità italiane nel mondo tra quelle persone che si sentono partecipi degli ideali socialisti-democratici di Giustizia e Libertà. |
Riceviamo e volentieri pubblichiamo Isis – No ad azioni militari di terra. Sì all’unità tra musulmani, laici e cristiani di Nicola Latorre, senatore (PD) e presidente Commissione Difesa del Senato Le atrocità compiute dall'Isis testimoniano che il terrorismo ha sequestrato l'Islam ed è nemico dei musulmani. L'Italia, come annunciato dal presidente Renzi nell'ultimo vertice Nato, sarà pienamente partecipe della coalizione internazionale per sconfiggere l'Isis, che ad oggi esclude azioni militari di terra. Il nuovo governo Al Abadi in Iraq è una buona notizia che lascia sperare in una più determinata stabilità politica in quel Paese con l'obiettivo di coinvolgere anche la componente sunnita della popolazione. Il terrorismo si potrà sconfiggere solo con la consapevolezza che musulmani, laici e cristiani saranno uniti in questa battaglia. |
SPIGOLATURE Un’altra guerra? Non la vuole Obama, non la vuole l'America di Renzo Balmelli MENTALITÀ. Nessuno sa dire come andrà a finire la sfida che gli jihadisti della peggior specie hanno deciso di lanciare al mondo intero per imporre la supremazia del Califfato. Qualunque sia l'esito di questa guerra non sarà comunque una vicenda a lieto fine. Sempre più gli osservatori si fanno, infatti, persuasi che per contrastare l'inquietante fenomeno la risposta sul terreno da sola non basterà e che qualsiasi iniziativa avrà scarse possibilità di riuscita senza un salto di mentalità, per ora ferma alla notte dei tempi. Sotto la pressione degli eventi sta cambiando anche il punto di vista della Casa Bianca che prova a ridare smalto alla politica estera di Washington con una strategia del contenimento che in qualche modo riesca a formulare una sintesi tra il dialogo e l'uso mirato della forza. Tuttavia senza mandare allo sbaraglio un solo soldato statunitense. Non lo vuole Obama, non lo vuole l'America. Sarà un impegno di lunga lena che consente di archiviare come necrologi prematuri molti pronostici della destra sul declino del presidente. DISINVOLTURA. In Italia ha fatto la sua apparizione uno schieramento che finora era rimasto confinato tra le storielle di un lettone (il lettòne di Putin, s’intende) diventato famoso durante i fasti dell'infausto ciclo berlusconiano, ma che adesso sta assumendo contorni molto più netti. Anche se non è facile tracciarne l'identikit. Si tratta dei putiniani, una strana compagnia di giro nella quale sono confluiti tutti gli arcigni euroscettici del continente, i vecchi e fieri anticomunisti di un tempo che col loro zelo anti-Obama e filo russo stanno oscurando la fama di Stalin. Le inquietanti tentazioni neo-zariste della nuova Russia, la disinvoltura con la quale è stata ignorata l'integrità territoriale dell'Ucraina risvegliano in effetti brutti ricordi. Eppure è curioso come la memoria corta possa giocare brutti scherzi, un po' come nel film-culto di Franco Maresco, "Belluscone", opera straordinaria presentata a Venezia in cui tutti sembrano avere dimenticato tutto, cosa sono stati, di chi e cosa sono stati complici, volontari o involontari. SOGNO. Nel silenzio pesante e assordante che fa da sfondo ai quotidiani racconti di violenze, devastazioni, stupri e quant'altro l'uomo riesce a concepire per rendere ancora più feroce la prevaricazione a danno dei suoi simili, si finisce quasi sempre col parlare di due o tre guerre; quelle che saltano all'occhio e sono su tutte le prime pagine. Ma nel mondo si svolgono in contemporanea molti conflitti caduti nel dimenticatoio, ma non per questo meno dolorosi. Oltre a quelli più noti, si calcola che gli scontri armati stiano imperversando in una sessantina di stati per i più svariati motivi. A combatterli sono le milizie fuori controllo, i cartelli della droga, i gruppi separatisti. Il fondatore di Emergency Gino Strada, per averne toccato con mano le conseguenze si proclama contrario a qualsiasi azione militare. Come non dargli ragione? Le statistiche però tendono purtroppo a rendere irraggiungibile se non impossibile il sogno di abolire la guerra. DISAPPUNTO. Si racconta che Elisabetta II nei 62 anni di regno da quando salì al trono alla morte del padre Giorgio VI, in nessuna circostanza abbia perso la sua proverbiale imperturbabilità. Nemmeno quando per sua stessa ammissione ebbe a dichiarare di avere vissuto un annus horribiis in seguito alle disgrazie che travolsero la vita di corte. Pare tuttavia che alla sovrana sia sfuggito un moto di disappunto nell'apprendere che i sondaggi davano in testa per la prima volta il Sì all'indipendenza della Scozia, la terra cui la unisce un legame speciale. Nella consapevolezza che la corona è fragile, davanti alla regina di colpo si è palesata l'immagine di un mondo senza Gran Bretagna e quindi della fine di un modello e di un'epoca che ha segnato la storia di cinque continenti, anche se il suo ruolo di Queen of Scotland non è messo in discussione. Ma dopo il 18 settembre potrebbe cambiare radicalmente la fisionomia di quello che fu un grandioso impero. RIVINCITA. Con Mitterrand, che pure non era uno stinco di santo, la farsa amorosa che investe il presidente Hollande e con lui il partito socialista non sarebbe mai accaduta, fosse anche solo per una semplice questione di stile. Intanto, a guadagnarci è l'estrema destra del Fronte nazionale che ci sguazza alla grande. Non è la prima volta che nell'opulenza a volte sfacciata della "grandeur" la Francia si è trovata a spettegolare sulle storie di alcova che hanno infarcito le segrete vicende del potere da Versailles in poi. Anche ai giorni nostri Parigi ha qualcosa di cui sparlare dopo il libro-vendetta di Valérie Trierweiler, l'ex première dame dell'Eliseo, che fa vacillare la presidenza della seconda economia della zona euro. Molti librai però, o per pudore o per non essere il bidone della spazzatura mediatica, non espongono il volume in vetrina rifiutandosi di piegarsi alle regole del mercato vendendo robaccia. In compenso ostentano le opere di Balzac, Dumas, Maupassant. Una bella rivincita della "grandeur" all'altezza della sua fama. |
LAVORO E DIRITTI a cura di www.rassegna.it Politiche globali del lavoro Il G20 di Melbourne e le rivendicazioni dei sindacati. Il 10 e 11 settembre si riuniscono a Melbourne i ministri del Lavoro dei paesi del G20. I sindacati, riuniti nel raggruppamento L20, hanno presentato un documento di analisi e di proposte che chiede conto degli impegni più volte dichiarati di Leopoldo Tartaglia Il 10 e 11 settembre si riuniscono a Melbourne i Ministri del Lavoro dei paesi del G20. La Confederazione Internazionale dei Sindacati (ITUC-CSI), il Comitato Consultivo Sindacale presso l'OCSE (TUAC), le Federazioni Mondiali di Categoria (GUFs) e i sindacati dei paesi del G20 – riuniti nel raggruppamento L20 – hanno presentato un documento di analisi e di proposte (vedi traduzione allegata) che chiede conto degli impegni più volte dichiarati nel corso dei precedenti vertici dei governi del G20. In particolare, nella loro riunione di febbraio 2014, i Ministri delle Finanze e i Governatori delle banche Centrali del G20 si sono impegnati a misure coordinate per innalzare il PIL dell'area di 2% al di sopra delle attuali proiezioni, nei prossimi 5 anni. Ma, come mettono in luce i documenti preparatori del vertice di Melbourne, predisposti da ILO, OCSE, FMI e Banca Mondiale, negli stessi paesi delle maggiori economie mondiali, continua la crisi dell’occupazione e della qualità del lavoro… > > > > Continua sul sito di rassegna.it |
Economia La “mano armata” della finanza speculativa Onesto e giusto sarebbe applicare i criteri delle agenzie di rating alle agenzie stesse, complici non secondarie della più grande crisi finanziaria della storia. di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi) e Paolo Raimondi, Economista Come al solito le agenzie di rating americane sono ritenute degne di fede dai media italiani. L’ultimo caso è quello della Moody’s che, sulla base non si sa di quale competenza superiore, corregge al ribasso la valutazione dell’Ocse, l’organizzazione internazionale per la cooperazione e lo sviluppo economico che raccoglie 34 Paesi, tra cui tutti quelli della cosiddetta economia avanzata. Mentre l’Ocse prospetta una piccola crescita dello 0,5% del Pil italiano nel 2014, Moody’s la azzera, anzi la porta in zona negativa. Conosciamo tutti, e troppo bene, le difficoltà economiche del “sistema Italia” e quanto lenta e difficile sia ancora la ripresa della produzione e dell’occupazione. Non si tratta quindi di voler creare delle illusioni intorno a qualche decimale vicino allo zero. Ciò che per noi è inaccettabile, e per questo motivo ancora una volta torniamo a parlarne, è che le agenzie di rating americane, la cui credibilità, questo si, è veramente sotto lo zero, possano dettare analisi e condizioni economiche senza sollevare l’indignazione delle nostre forze politiche ed economiche e dei media italiani. Non proponiamo una censura. Sosteniamo che i responsi di Moody’s e delle altre sorelle del rating siano considerati nel giusto modo, sottolineando quindi che, oggi nel caso della Moody’s, le suddette agenzie non godono di tanta e ovvia credibilità. Si ricordi che esse sono state pesantemente coinvolte in gravissimi conflitti di interesse e sono state, e sono, sottoposte ad indagini importanti. Ogni loro valutazione dovrebbe quindi essere sempre accompagnata almeno dalle citazioni di rapporti ufficiali preparati dalle più importanti commissioni d’indagine degli USA. Per esempio: - Nel rapporto “Wall Street and financial crisis: Anatomy of a financial collapse”, presentato nell’aprile 2011 dalla Commissione d’inchiesta sulla crisi finanziaria guidata da Phil Angelides, si dice: «Noi sosteniamo che il fiasco delle agenzie di rating sia stato un elemento essenziale del meccanismo distruttivo finanziario. Esse sono state le promotrici chiave del melt down finanziario, cioè della dissoluzione sistemica. Non si sarebbe potuto vendere i titoli ipotecari, che sono stati al cuore della crisi, senza il loro timbro di approvazione. Gli investitori si sono ciecamente fidati dei loro giudizi. In alcuni casi il loro rating era obbligatorio. La crisi non sarebbe potuta accadere senza le agenzie di rating. Tra il 2007 e il 2008 il loro rating ha fatto prima salire i mercati e poi, con l'abbassamento repentino delle loro valutazioni, li ha fatti precipitare». - La Commissione Levin-Coburg del Senato americano ha affermato a sua volta che «la crisi non è stata un disastro naturale, bensì il risultato di alti rischi, prodotti finanziari complessi, conflitti di interesse coperti, il fallimento degli organi di controllo, il ruolo delle agenzie di rating e dello stesso mercato che hanno permesso e guidato gli eccessi di Wall Street». «I rating gonfiati hanno contribuito alla crisi finanziaria mascherando i veri rischi dei titoli ipotecari», diceva ancora la Commissione. Si potrebbe aggiungere l’indagine fatta dal pm Michele Ruggiero della Procura di Trani nei confronti della Moody’s per “manipolazione del mercato in cui gli analisti fornivano intenzionalmente informazioni tendenziose e distorte”. Negli Usa sono molti i procedimenti legali aperti contro la Moody’s e le altre agenzie di rating. E’ il caso CalPERS, il più grande fondo pensione californiano per gli impiegati pubblici, che ha chiesto a Moody’s e a Standard & Poor’s un rimborso di un miliardo di dollari. Le agenzie avevano fornito valutazioni totalmente erronee di alcuni titoli da comprare in seguito crollati rovinosamente. D’altra parte, al di là dell’ottimismo o delle lamentele del nostro primo ministro, la nostra economia e l’intero “sistema Italia” devono quasi quotidianamente dimostrare al mondo intero, a cominciare da quello della finanza, che le politiche del governo di Roma sono realistiche, realizzabili ed effettivamente applicate per ottenere il benestare della Bce, della Commissione Europea e delle tante altre istituzioni internazionali. Perciò sarebbe onesto e giusto applicare gli stessi rigorosi criteri alle agenzie di rating, cioè a chi, non a parole ma nei fatti, è stato purtroppo complice e primo attore nel copione della più grande crisi finanziaria globale della storia. |
FONDAZIONE NENNI http://fondazionenenni.wordpress.com/ Propaganda e verità Rieccoci col nostro blog dopo un mese di – disastrose – vacanze. Ripartiamo con un sommario bilancio. Renzi ha ottenuto il 40,8% alle elezioni europee. Si tratta di 11.172.000. Una cifra cospicua in confronto agli 8.644.000 di Bersani alle politiche del 2013: oltre 2.500.000 voti in più non sono una bella cifra? Ma che cosa ha fatto Renzi? di Giuseppe Tamburrano Il bonus di 80 euro è servito certamente a chi lo ha ricevuto, ma non altrettanto certamente all’economia che è stagnate anzi in vera e propria depressione o deflazione. Il Senato ha votato la sua riforma la quale ha una lunga navigazione tra Camera, Senato e probabilmente un referendum per approvarla. Il nuovo Senato, se andrà in porto, sarà una ibrida figura istituzionale che a mio parere combinerà ben poco perché i suoi componenti – sindaci e presidenti dei regione – debbono trascurare i loro compiti istituzionali, venire a Roma, per svolgere funzioni di scarsa importanza e senza percepire un euro. Renzi ha messo in cantiere altre iniziative (ne parleremo se e quando…) ma nulla o quasi per affrontare il problema economico. E’ vero, la Mogherini è la nuova Lady Pesc. Ma la vittoria non è di Renzi; è della Polonia che si aggiudica l’importante carica di Presidente del Consiglio europeo. Ben più importante della carica della Mogherini, perché com’è noto l’Europa non ha una sua politica estera che resta appannaggio, insieme con la Difesa, dei singoli stati. E’ una vittoria della Merkel della quale la Polonia è fedelissima alleata. Alfano è riuscito ad ottenere un impegno europeo sul problema dell’immigrazione clandestina dalle coste libiche. A me pare ben poco. Tra le nuove misure è prevista la distruzione dei barconi della morte: vuol dire che questi natanti, carichi anche di cadaveri, fin ora sono stati rispediti verso le coste libiche per riempirsi di un nuovo carico di disperazione e di morte verso l’Italia? Respinti e guidati da chi? Dagli stessi scafisti autori di gravi reati? Vorremmo capire. E penso a Berlusconi il quale diventò amico di Gheddafi e da lui poteva ottenere facilmente di fermare il traffico umano dalla Libia. La quale ora è nel caos e nessuno può fare nulla per affrontare il problema all’origine. Mala tempora currunt! |
Da Avanti! online www.avantionline.it/ Il Festival Iusy di Malta “All over the world to change it” di Elisa Gambardell e Riccardo Galetti Malta, agosto 2014 – Una delegazione della Federazione dei Giovani Socialisti (FGS) ha preso parte tra il 20 e il 26 agosto al Festival Mondiale dell’Internazionale dei giovani socialisti (IUSY) a Malta. La partecipazione a questo importante appuntamento internazionale, cui hanno preso parte oltre 1.200 giovani provenienti da tutti i continenti, ribadisce il forte impegno dell’FGS sul piano delle relazioni internazionali e della politica estera. Importanti campagne per i diritti umani (come quella per il rilascio del compagno venezuelano Paniz) per le libertà dei popoli (come quella per i fratelli curdi) e le partecipazioni agli ultimi congressi internazionali da protagonisti, hanno garantito alle politiche dei giovani socialisti italiani il rispetto ed il riconoscimento dei compagni di tutto il mondo. Per i nostri delegati è stata un’esperienza umana e politica straordinaria. Siamo entrati a contatto con compagni dalle storie più diverse, con un vissuto politico e personale per noi difficile da immaginare. Pensiamo ai compagni ucraini, bielorussi, curdi, palestinesi, israeliani, saharawi o birmani. Compagni per i quali l’impegno politico può significare l’arresto, l’esilio o l’essere vittima di violenza. La forza dei compagni norvegesi dell’AUF, presenti con più di 100 partecipanti, per non dimenticare la strage di Utoya, ricordata con commozione alla cerimonia d’apertura del festival… Continua al sito di AvantiOnline
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Da l’Unità online http://www.unita.it/
Eccome se ci serve Dalle feste una sola voce: riaprire l'Unità di Pietro Spataro «L'Unità ci serve, eccome se ci serve», dice Franco Marini suscitando l'applauso delle tante persone venute alla festa di Bologna ad ascoltare un dibattito sui rischi che corre l'Europa. I rischi che corre l'Unità, paradossalmente, qui mettono più ansia. Si vede dalla tensione che c'è, dai battiti di mani che si rincorrono e durano minuti e minuti quando si dice che il giornale fondato da Gramsci deve riaprire, e non per il suo glorioso passato che pure è importante, ma perché è un pezzo del futuro della sinistra e del Pd e ognuno di noi, da Renzi al volontario che monta gli stand, deve impegnarsi affinché ciò accada e non si perda tempo. Vai al sito dell’Unità |
Da MondOperaio http://www.mondoperaio.net/ La scuola di Renzi Dovendo fare le nozze con i fichi secchi (dal momento che governa in periodo di vacche magre), Renzi ha deciso di investire l’unica risorsa di cui dispone, il capitale umano. di Luigi Covatta Nel 1988 ero sottosegretario alla Pubblica istruzione. Si doveva rinnovare il contratto degli insegnanti, e c’erano un po’ di soldi disponibili (nel Novecento capitava anche questo). Con Maurizio Sacconi, allora sottosegretario al Tesoro, immaginammo un percorso virtuoso: utilizzare quei soldi per premiare il merito e non l’anzianità. Sul principio riuscimmo ad ottenere il consenso (informale, s’intende) non solo di Cgil, Cisl e Uil, ma anche del potentissimo Snals. E neanche il problema dei criteri di valutazione sembrava insormontabile, magari facendo riferimento ai contratti che regolavano altre forme di lavoro intellettuale (che ringraziando Dio già allora non mancavano), e senza disdegnare neanche l’ipotesi grossolana di adottare criteri quantitativi (di retribuire cioè il tempo di lavoro, come peraltro accade dall’inizio della rivoluzione industriale in poi anche per i mestieri più delicati). Ma non fu necessario approfondire il tema. Nel frattempo infatti era insorta “la base”, intesa come qualche centinaio di docenti romani con facile accesso ai media. Venne fondata prima la “Gilda”, significativamente ispirata a modelli medievali, e poi arrivarono i Cobas. Finì che il ministro Galloni – sotto la pressione non solo dei media, ma anche dei partiti di maggioranza (Psi compreso) – ammise addirittura le due neonate organizzazioni al tavolo delle trattative: e i “gradoni” che scandiscono la carriera degli insegnanti in base all’anzianità furono salvi. Dieci anni dopo qualcosa del genere venne in mente a Luigi Berlinguer, il quale però, forse ammaestrato dall’esperienza, investì della pratica lo stesso sindacato: finì con il “concorsone” di sapore sovietico allestito dalla Cgil scuola, e con la conseguente giubilazione del ministro. Ora ci riprova Renzi, che certamente non è terzo fra cotanto senno: tanto che, dovendo fare le nozze con i fichi secchi (dal momento che governa in periodo di vacche magre), ha deciso di investire l’unica risorsa di cui dispone, il capitale umano. Innanzitutto quello rappresentato dall’esercito dei precari da decenni in coda dietro docenti di ruolo le cui ambizioni spesso non vanno oltre i “gradoni”, e che possono invece portare nella scuola quelle energie nuove senza le quali non si fa nessuna riforma. Quanto poi ai criteri per governare carriere meno automatiche, non c’è da preoccuparsi: in una scuola che non preveda solo lezioni frontali le mansioni diversificate dei singoli docenti saranno così numerose che ci sarà fin troppo spazio per la contrattazione sindacale. |
La situazione politica Una democrazia de-istituzionalizzata? Si sta andando verso una democrazia nella quale il punto “a quo” e “ad quem” è il presidente-segretario. Quanto sta incidendo Renzi sia nello scardinare che nel costruire? di Paolo Bagnoli La stagione che sta vivendo la politica italiana interroga sempre più, sia in Italia che all’estero, gli osservatori: politologi, giornalisti, addetti alle questioni istituzionali. L’effetto sorpresa rappresentato dall’ascesa di Matteo Renzi alla Presidenza del Consiglio ci sembra, sostanzialmente, oramai superato e, per quanto lo stesso Renzi appaia sempre impegnato nel mantenerlo vivo, se non altro per tenere alta l’attenzione dei media e dell’elettorato italiano, la riflessione sta cambiando bussola. L’uomo nuovo, sorprendente, in controtendenza rispetto a ogni tradizione comportamentale della politica italiana da quando è nata la democrazia, appare ogni giorno un po’ meno nuovo anche se, come dicono i sondaggi, egli gode sempre di un ampio consenso di opinione. Il copione renziano è stato oramai acquisito e la domanda, in parte sotto traccia, ma non molto, concerne il modo di essere del sistema politico nel suo complesso; essa riguarda, in altri termini, cosa sta effettivamente avvenendo sul piano istituzionale e quali sono gli esiti dei cambiamenti in atto. La questione è tutt’altro che secondaria, concernendo la democrazia italiana in tutti i suoi aspetti. Quale può essere l’assetto istituzionale che ne scaturisce? A seconda dell’ottica di approccio al tema le valutazioni sono diverse in quanto si diversifica il modo di intendere la democrazia stessa e la qualità conseguente. La recente, forte e compatta, alzata di scudi da parte dell’Italia in divisa – oltre a rappresentare un qualcosa che non si era mai verificato in Italia, ma, a nostra memoria, in nessun altro Paese al mondo – ci aiuta a capire di più rispetto al contesto generale e, quindi, ai processi in atto. Capire cosa? Quanto sta incidendo l’innovatore Renzi sia nello scardinare che nel costruire. Ci sembra, infatti, che si stia andando, abbastanza velocemente, verso una democrazia de-istituzionalizzata nella quale il punto a quo e ad quem è il presidente-segretario. Attenti; non si tratta né di decisionismo né di populismo, ma della conformazione di una vera e propria “democrazia verticale” che, avanzando, cancella la rappresentanza degli eletti – Province e Senato, vedremo poi cosa proporrà la nuova legge elettorale – la collegialità costituzionale del Governo e tutto il comparto sociale del Paese, verso il quale vige una totale assenza di attenzione. Sindacati, Confindustria e organizzazioni similari, corpi sociali, il campo vasto dell’istruzione, e potremmo continuare, sono praticamente sterilizzati e, con ciò, la nozione sociale insita nel concetto stesso di democrazia finisce per scomparire. Una parte fondamentale della società italiana, al di là delle parole, sta perdendo la voce. E poiché in democrazia anche le componenti sociali hanno rilevanza “istituzionale”, ecco che qui si completa la de-istituzionalizzazione. Tutto questo non c’entra niente con la crisi economica che ci attanaglia né tantomeno si può sostenere che le cose funzionano perché ad alcune fasce sociali sono stati dati 80 euro – tiritera che, sinceramente, si è oramai logorata e su cui sarebbe bene abbozzare – ma investe la democrazia nel suo insieme dal momento che, oramai, l’unica vera “istituzione” è il presidente del consiglio. Il discorso che Renzi ha tenuto recentemente al suo partito, lo conferma. La democrazia verticale è il classico risultato del vuoto di politica. Il governo è ridotto a "governismo" – ossia a gestione del potere – e quasi a una questione personale. Siamo sempre più convinti che questo modo d'intendere la democrazia sia il punto vero su cui si regge l’intesa Renzi-Berlusconi; il primo chiude un’operazione non riuscita al secondo. Facciamo ricorso a Vincenzo Cuoco: si è spaccata la sintesi tra “popolazione-nazione” e “organizzazione politica-Stato.” Non era questo approdo quello che postulava il dopo Tangentopoli. |
SEGNALAZIONE 1 Il “Matteotti” di Arfè In occasione del 90° anniversario dell’omicidio di Giacomo Matteotti Fabio Vander ha curato per gli Editori Riuniti la ristampa del (prezioso) saggio Giacomo Matteotti uomo e politico, pubblicato da Gaetano Arfè sulla «Rivista Storica Italiana» nel 1966 e ora per la prima volta disponibile in volume. Di seguito riportiamo alcuni stralci dall’introduzione ringraziando gli Editori Riuniti e il Curatore per l’amichevole concessione. di Fabio Vander *) Il saggio di Gaetano Arfè che riproponiamo è uno dei pochi ritratti completi della figura e dell’opera di Giacomo Matteotti. Ha il merito di rendere in modo concentrato ma esaustivo le peculiarità del Matteotti politico, l’originalità del suo socialismo, rispetto sia alla vicenda del comunismo, italiano e no, sia però anche alla tradizione del riformismo turatiano. [...] In questa ricerca di una inedita rivoluzione in Occidente, aperta anche a intese con «ceti non proletari» e con la «borghesia più sana», Matteotti, come nota acutamente Arfè, ricorda Gramsci. La sua era una concezione politica che, non scevra di «suggestioni finalistiche», puntava ad essere alternativa sia al sovversivismo bolscevico, sia ad un gradualismo rinunciatario e che «si accontenta». [...] Per questa intransigenza, ma anche chiarezza di prospettiva politica, la mano omicida del fascismo si volse, il 10 giugno 1924, proprio contro Giacomo Matteotti e non contro personaggi magari più noti e rappresentativi del socialismo italiano, «un Maffi o un Turati» come chiosa Arfè. Il nemico più pericoloso era lui. Si può concludere sottolineando che con il suo sacrificio certamente «nasce l’etica dell’antifascismo», quella «religione della libertà» che dette all’Italia migliore la possibilità e la dignità di resistere alla lunga notte di quanti «hanno la forza ma non la ragione».
Gaetano Arfè, (Somma Vesuviana, 1925 – Napoli, 2007) è stato un politico, giornalista e storico italiano. Ai primi del 1943 svolge attività di collegamento tra il CLN di Sondrio e Milano e i partigiani della Valtellina ai quali si unisce nel 1944 militando in una formazione di Giustizia e Libertà fino alla Liberazione. Nel 1945 si iscrive al Partito Socialista nel quale rimarrà fino al 1985. Laureatosi in lettere e filosofia a Napoli nel 1948, si specializza in storia presso l’Istituto Italiano per gli Studi Storici presieduto da Benedetto Croce. Negli anni cinquanta, a Firenze, entra in contatto con la rivista Il Ponte e con personalità dell’antifascismo quali Romano Bilenchi, direttore del Nuovo Corriere, Delio Cantimori, Cesare Luporini, Piero Calamandrei e Tristano Codignola. Dal 1965 è libero docente di Storia contemporanea nelle Università di Bari e Salerno. Nel 1973 diviene titolare della cattedra di «Storia dei partiti e movimenti politici» presso l’Università di Firenze. Dal 1959 al 1971 è condirettore della rivista socialista Mondo Operaio, e dal 1966 diviene direttore del quotidiano socialista Avanti!, alla cui guida resterà per dieci anni. Nel 1986 lascia il partito socialista in totale disaccordo col segretario Bettino Craxi, e dà alle stampe lo scritto La questione socialista, con cui motiva la fuoruscita dal PSI. *) FABIO VANDER. Storico e filosofo, lavora presso il Senato della Repubblica, si è laureato in filosofia con Gennaro Sasso e in scienze politiche con Pietro Scoppola. Tra le sue pubblicazioni: Metafisica della guerra (Milano, 1995); La democrazia in Italia (Genova-Milano, 2004); Contraddizione e divenire (Milano, 2005); Critica della filosofia italiana contemporanea (Genova-Milano, 2007); Essere e non-essere (Milano, 2009); De philosophia italica (Lecce, 2010); Posizione e Movimento - (Milano, 2014). Gaetano Arfè, Giacomo Matteotti uomo e politico Editori Riuniti, 2014 / Pagine: 78 / Prezzo: € 12,00 > > > > > > Vai al sito degli Editori Riuniti |
SEGNALAZIONE 2 Bettino Craxi – “Io parlo e continuerò a parlare” “Tutte le mattine, un compagno gli inviava dall’Italia, sull’ormai famoso fax, la rassegna stampa giornaliera. Sul retro di quei fogli Bettino scriveva di getto reagendo ai fatti della giornata o, in seguito alle sue notti insonni, le sue riflessioni”, così Stefania Craxi rievoca la genesi di questo volume, curato dalla Fondazione intitolata alla memoria del padre e da lei presieduta: “Ogni tanto fantasticava di un libro di memorie che non avrebbe poi mai scritto, ma era grande il suo desiderio affinché la storia fosse scritta bene”. “Io parlo e continuerò a parlare” contiene gli scritti in parte inediti di Bettino Craxi durante gli anni dell'esilio tunisino. Una cronaca quasi quotidiana delle vicende di Tangentopoli, totalmente immersa nei fatti che vengono raccontati in presa diretta, senza sapere ancora quale Italia sarebbe scaturita da quella stagione. Craxi dice la sua sul sistema di finanziamento dei partiti e sul nuovo scenario politico che vede delinearsi, riflette sugli anni di piombo, su Moro e le BR, sull'Europa, sui servizi segreti deviati, sulla propria scelta d'esilio, sulla malattia che lo condurrà alla morte. Le pagine che dedica alla «Seconda Repubblica» sono fitte di ritratti scolpiti, a volte, ferocemente: Berlusconi, Bossi, D'Alema, i leader del PCI o ex PCI, e poi ancora Fini, Prodi, Di Pietro, Ilda Boccassini e gli altri giudici del pool di Milano. Tutti protagonisti del passaggio tra «Prima» e «Seconda Repubblica», un nodo fondamentale della storia italiana recente che la lettura di questo libro aiuta a conoscere e comprendere.
Benedetto Craxi, detto Bettino (Milano 1934 - Hammamet, Tunisia, 2000), segretario del Psi dal 1976 al 1993 e primo socialista a ricoprire la carica di presidente del Consiglio, guidò consecutivamente due governi di coalizione dal 1983 al 1987 portando l’Italia a conseguire notevoli risultati politici ed economici. Indiscusso protagonista della scena politica negli anni Ottanta, fu vicepresidente dell’Internazionale socialista, Rappresentante personale del Segretario generale dell’Onu per il debito dei Paesi in via di sviluppo nonché Consigliere speciale dell’Onu per il consolidamento della pace e della sicurezza. Travolto dalle complesse vicende che determinarono il crollo della «Prima Repubblica», è morto ad Hammamet, in Tunisia, il 19 gennaio del 2000. Bettino Craxi, Io parlo e continuerò a parlare Mondadori, 2014 / Pagine: 264 / Prezzo: € 18,00 > > > > > > Vai al sito della Mondadori > > > > > > Vai al video della Fondazione Craxi |
SEGNALAZIONE 3 Dalla Prima guerra mondiale alla Resistenza per l’Europa unita Si è tenuto il 7 settembre scorso, nell'ambito della Festa Nazionale de l'Unità, un interessante dibattito sul tema, particolarmente caro all’ADL: "Dalla prima guerra mondiale all’impegno della Resistenza per l’Europa unita". Hanno preso parte alla tavola rotonda: Carlo Ghezzi, Segretario della Fondazione Giuseppe Di Vittorio (CGIL); Franco Marini, già presidente del Senato della Repubblica (PD); Giorgio Benvenuto, già senatore, ex segretario nazionale del Psi; Luciano Guerzoni, già senatore e segretario organizzativo dei DS e Antonio Maglie, giornalista. La conferenza è stata coordinata dal vicedirettore de "L'Unità", Pietro Spataro. Dell’incontro è disponibile su Radio Radicale una registrazione in podcast di cui consigliamo l’ascolto. > > > > > > Vai al sito di RadioRadicale
Carlo Ghezzi (Fondazione Di Vittorio) |
Città metropolitana Un’occasione perduta? di Felice Besostri Sulla carta la Città Metropolitana doveva essere una delle riforme caratterizzanti un nuovo sistema di governare i territori, cioè un superamento effettivo delle Province, ma anche del neo-centralismo regionale. Per le Città Metropolitane, parafrasando il detto celebre dei repubblicani francesi "Quanto era bella la Repubblica sotto la Monarchia!", si potrà dire quanto fossero meravigliose quando erano soltanto immaginate. Del resto i riformatori istituzionali italiani dovrebbero averci fatto il callo: basta pensare cosa si diceva e scriveva alla vigilia della riforma regionale del 1970. Ora le Regioni sono ricordate principalmente per le inchieste sugli abusi dei consiglieri regionali per farsi rimborsare di tutto e di più o per non essere capaci di utilizzare i finanziamenti europei. La città metropolitana era prevista dalla legge 142/1990, come organo di governo dell’area metropolitana dall’art. 17 della richiamata legge :”. Aree metropolitane. - 1. Sono considerate aree metropolitane le zone comprendenti i comuni di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari, Napoli e gli altri comuni i cui insediamenti abbiano con essi rapporti di stretta integrazione in ordine alle attività economiche, ai servizi essenziali alla vita sociale, nonché alle relazioni culturali e alle caratteristiche territoriali. “. Tali aree andavano individuate dalle Regioni sentiti i Comuni interessati. Era chiaro che si trattava di un superamento dei territori provinciali, che richiedeva un processo difficile e complesso. Ora le Città Metropolitane sono un’altra ben povera cosa, cioè un nome altisonante dato al territorio della provincia preesistente. Anche se in concreto l’estensione di un’area metropolitana poteva non trovare unanimità tra sociologi urbani, pianificatori territoriali ed economisti, quel che è sicuro che l’area metropolitana milanese non può limitarsi al territorio della Provincia di Milano, per di più amputato, successivamente al 1990, dei territori lodigiani (1992) e brianzoli (2004). L’istituzione della Città Metropolitana, sull’esempio per esempio della Francia, richiede non solo il trasferimento di compiti e funzioni dei comuni, per essere esercitati al livello sovracomunale, ma anche delle Regioni. In paesi, con sistemi costituzionali simili al nostro, gli enti intermedi tra Comune, da un lato, e Regione, Comunità autonoma o Land dall’altro, sono di norma retti organi rappresentativi eletti dalla generalità dei cittadini: n una scelta imposta o dalle proprie costituzioni o leggi organiche ovvero dalla ratifica della Carta Europea dell’Autonomia Locale, convenzione firmata a Strasburgo il 15 ottobre 1985 , nell’ambito del Consiglio d’Europa, che prevede all’art. 3 l’elezione diretta degli organi delle autonomie locali, che rientrano nell’ambito di applicazione della convenzione. La CEAL è entrata in vigore il 23 settembre 1987 è stata ratificata dall’Italia con L. 30 dicembre 1989, n. 439, senza riserve ed l?italia è stata uno dei pochi Stati, che l’ha recepita nella sua integralità. Ebbene con le modifiche costituzionali del 2001 gli obblighi internazionali sono vincolanti per il legislatore statale e ragionale ai sensi dell’art. 117, c. 12 Cost.: la legge 56/2014 se ne è dimenticata prevedendo come per le Province un’elezione di secondo grado. L’esigenza era di fare in fretta dopo che la Corte costituzionale aveva annullato la legge sull’accorpamento delle province, che nel caso di Milano avrebbe posto un termine all’anomalia dell’esclusione dalla sua area metropolitana di Monza e Brianza. Invece di abolizione delle Provincie, rimandata all’approvazione della riforma costituzionale approvata in prima lettura dal Senato, che non le prevede più all’art. 114 Cost., si è abolita la democrazia rappresentativa nelle province, purtroppo trascinando con sé anche la Città Metropolitana. L’ispirazione originale è stata quindi doppiamente tradita sia a livello territoriale che delle istituzioni. La Città metropolitana ha un senso se supera il particolarismo municipale, quindi se è retta da un Sindaco e da un consiglio Metropolitano di diretta elezione popolare. Teoricamente, a differenza delle Province, questa scelta è ancora possibile a livello statutario, ma con un corpo elettorale composto da sindaci e consiglieri comunali reso più difficile. Inoltre per disincentivare la scelta dell’elezione diretta si o esclusi dal futuro Senato i Sindaci metropolitani eletti direttamente: i futuri senatori infatti vanno scelti esclusivamente tra i consiglieri regionali e i sindaci di comuni. La scelta dell’elezione indiretta si spiega soltanto con esigenze politiche contingenti della maggioranza di governo e delle opposizioni di destra Forza Italia, Lega Nord e Fratelli d’Italia: nei consigli comunali il M5S è poco rappresentato essendo un fenomeno recente esploso con le elezioni politiche del 2013. Inoltre le leggi con premi di maggioranza sono a rischio di in costituzionalità dopo la sentenza n. 1/2014 della Consulta sul porcellum. Una legge maggioritaria al massimo consente di sapere chi governerà la sera delle elezioni, con quelle di secondo grado, invece, si può sapere che vincerà già la sera prima delle elezioni. Nelle elezioni di secondo grado l’uguaglianza e la segretezza del voto ex art. 48 Cost., non sono garantiti, come non è garantito il riequilibrio della rappresentanza di genere previsto dall’art. 51 Cost.. Tutto bene anche se non mi è facile comprendere il ruolo dei sindaci o la mancanza di presenza nel dibattito pubblico dei Sindaci di grandi città capoluogo di future Città Metropolitane come Milano, Genova o Napoli, che pure avevano incarnato uno spirito di rinnovamento: Renzi se fosse rimasto soltanto sindaco di Firenze lo avremmo sentito. |
LETTERA DA NAPOLI OTTAVIANO RICORDA PASQUALE CAPPUCCIO
Vorrei segnalarvi che sabato 13 settembre ore 11,00 la sala del Consiglio Comunale di Ottaviano è stata intestata a PASQUALE CAPPUCCIO, avvocato penalista e consigliere comunale socialista, martire della lotta contro la camorra. È in preparazione una manifestazione nazionale in ricordo di Pasquale Cappuccio. Avv. Antonio Cimmino, Napoli |
LETTERE Un autentico numero di sinistra Bravi, complimenti per questo (=ADL 4.9.14, ndr) autentico numero di sinistra ! Piacevole e molto interessante. Alberto Susini, e-mail <> Libertà di stampa Grazie per l’incommensurabile servizio reso alla democrazia e alla libertà di stampa. Beppe, e-mail <> Grazie a entrambi. Troppo buoni! – La red dell’ADL |
L'AVVENIRE DEI LAVORATORI EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897 Casella postale 8965 - CH 8036 Zurigo Direttore: Andrea Ermano Amministratore: Sandro Simonitto Web: Maurizio Montana L'Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigrazione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del "Centro estero socialista". Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall'Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all'estero, L'ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mondiale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l'Avanti! garantendo poi la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L'ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l'integrazione dei migranti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all'eclissi della sinistra italiana, siamo impegnati a dare il nostro contributo nella salvaguardia di un patrimonio ideale che appartiene a tutti. |
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