[Diritti] 25 aprile. Per la libertà di Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò. Per la libertà di tutti
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- Date: Thu, 24 Apr 2014 15:00:15 +0200 (CEST)
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25 aprile. Per la libertà di
Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò. Per la libertà di tutti
Il
processo a quattro No Tav rinviati a giudizio per “attentato con finalità
di terrorismo” per un sabotaggio al cantiere/fortino di Chiomonte avrebbe
dovuto cominciare il 14 maggio, ad un anno esatto dall’azione in Clarea di
cui sono accusati. Una scelta di forte rilievo simbolico: lo Stato mette
in scena una rappresentazione in grande stile, per far mostra della
propria invincibile potenza.
Davide può giocare Golia una sola volta.
Quando il gigante si rialza la sua vendetta deve essere terribile,
esagerata, fuori dal normale.
In ballo non c’è solo la punizione per
chi viene accusato di aver praticato l’azione diretta contro un cantiere
imposto con la violenza ad un’intera popolazione: occorre che l’accusa di
terrorismo e una condanna “esemplare”, ricaccino in casa le migliaia di
persone contrarie alla realizzazione della Torino Lyon.
Per ottenere
lo scopo stanno mettendo in pista una macchina schiacciasassi che procede
senza badare a chi si trova sul cammino.
La finale di un torneo di
calcio fissata a Torino il 14 maggio, lo stesso giorno della prima
udienza, ha indotto la Procura a far slittare di una settimana il
processo, che è stato rimandato al 22 maggio e spostato nell’aula bunker
delle Vallette. Una dependance del carcere, nel nulla metropolitano. Lì,
chi è tra il pubblico, fa fatica a vedere la scena e deve ricorrere ai
televisori installati. Il collegio giudicante è lontanissimo, le gabbie
degli imputati quasi invisibili.
La democrazia celebra i suoi riti
nel formale rispetto dei “diritti” sanciti dalla costituzione, ma, nei
fatti, tutto collabora a trasformare in una farsa un processo che sembra
avere la sentenza già scritta.
L’immagine di tifosi e No Tav che non
possono convivere nella stessa giornata, anche se in luoghi e orari
diversi, ha un enorme potere evocativo. L’equazione tra No Tav e violenza
viene alimentata ad arte per giustificare sia il regime carcerario duro
cui sono sottoposti Chiara, Claudio, Mattia, Niccolò, sia per dare
alimento alla macchina dell’informazione, che alimenta, giorno dopo
giorno, un clima di paura. Il quotidiano “Cronacaqui”, una settimana fa ha
scritto che gli “anarchici uccideranno”. In prima pagina a titoli di
scatola. I due maggiori quotidiani locali, “La Stampa” e “Repubblica” non
sono da meno del fogliaccio fondato dal mai compianto onorevole
post-fascista Ugo Martinat.
In compenso, per essere ben sicuri che i
12 giudici popolari che affiancheranno i togati durante il processo, non
fossero in nessun modo influenzati, la Questura ha stabilito che fossero
scortati in aula ad ogni udienza.
Intorno a questo processo costruito
sul nulla stanno montando un’impalcatura da far invidia a quelle dei
processi ai boss di mafia e n’drangheta. Il recente procedimento per gli
inquisiti dell’operazione “Minotauro” ha avuto un rilievo mediatico
decisamente inferiore.
La partita che si sta giocando
intorno a questo processo è troppo importante perché lo Stato possa
permettersi di perderla.
Era una storia di treni, di soldi pubblici
da spartire in maniera sicura, la storia di un ceto politico che bada solo
alla propria sopravvivenza, contando su un sistema di drenaggio di risorse
pubbliche per fini privatissimi.
Da un pezzo non è più così.
Avrebbero avuto mille argomenti per chiudere la partita in maniera
indolore. Da due anni arrivano da oltr’alpe segnali che la Torino Lyon non
è una priorità. Ha cominciato due anni fa la corte dei conti francese,
dichiarando che nell’attuale contingenza, l’opera era troppo costosa: due
anni dopo le ha fatto eco la commissione “Mobilité 21”, secondo la quale
la nuova linea è inutile perché i flussi sono in calo e non c’è alcun dato
che confermi una secca inversione di tendenza.
Invece no. I governi
cambiano ma la determinazione ad imporre, costi quel che costi, il Tav in
Val di Susa, diventa sempre più forte.
La ragione è semplice.
Lo
Stato, di questi tempi, non può permettersi di perdere questa sfida.
Perderla significherebbe aprire la porte alla speranza. La speranza che
un altro mondo sia davvero possibile, che ciascuno di noi può
costruirlo.
Basta farsi un giro per l’Italia, attraversare una
qualsiasi manifestazione, per vedervi far capolino le bandiere con il
treno crociato. Le si vede tra i lavoratori in sciopero per il salario e
tra chi lotta contro un inceneritore. Da nord a sud queste bandiere sono
diventate simbolo di chi non si arrende e continua a lottare nonostante la
repressione sempre più dura, nonostante i mille No Tav processati per le
lotte, nonostante accuse gravissime come quella di terrorismo.
Persino miti intellettuali che hanno dichiarato il loro appoggio alla
resistenza No Tav sono finiti nel mirino della Procura di Torino. Il
processo per istigazione a delinquere contro il romanziere Erri De Luca
comincerà il 6 giugno.
Nonostante tutto si sta allungando di ora in
ora l’elenco degli uomini e donne di cultura, i cui nomi sono molto noti,
che hanno scelto di esporsi sottoscrivendo un appello alla partecipazione
alla manifestazione del 10 maggio in sostegno ai quattro attivisti
accusati di terrorismo.
La giornata di lotta del 22
febbraio, quando in decine e decine di località, migliaia di persone si
sono strette intorno a Chiara, Claudio, Nicolò, Mattia ha dimostrato che
il vento sta cambiando.
Nelle piazze c’era la forza di chi, passo
dopo passo, ha imparato a camminare con le proprie gambe, a non delegare
ai professionisti della politica il proprio futuro. Non solo. Quelle
piazze sono state la rappresentazione migliore che le strategie del
governo, dei media, della magistratura, non riescono ad intaccare i legami
costruiti in questi anni tra i tanti che lottano perché non sono più
disposti a vivere relazioni politiche e sociali di sfruttamento e
rapina.
Speravano di seminare la paura, di indurre i più al mugugno
silente del bar sport, all’invettiva tra le mura di casa, ma hanno
fallito
L’utilizzo di una fattispecie di reato che colpisce quattro
attivisti per ammonirne cento, ha prodotto un effetto boomerang.
Di
fronte alla criminalità di una classe politica che sistematicamente
depreda le risorse pubbliche per fini del tutto privati, di fronte a chi
non esita ad avvelenare la terra e chi ci vive, di fronte a chi saccheggia
e devasta, a chi abbandona al degrado le scuole e i treni locali, a chi
risparmia sulla nostra salute per arricchirsi, è chiaro chi sono i
terroristi. Siedono nei consigli di amministrazione della CMC e della
Rocksoil e delle tante ditte che lucrano sulle grandi opere inutili e
dannose, siedono sui banchi del governo di turno, siedono sugli scranni
dei giudici e sulle poltrone del Procuratori della Repubblica. Sempre più
persone sanno che di fronte alla criminalità del potere, non basta la
testimonianza, occorre mettersi in mezzo, agire concretamente per
inceppare il dispositivo disciplinare nel quale stringono interi
territori.
Non era un esito scontato. Chi in questi tre anni ha
spinto sul pedale che accelera la repressione, chi rende sempre più dura
l’occupazione militare, chi ricatta la materialità stessa delle nostre
vite, sperava che un simile dispiegamento di violenza fermasse le
lotte.
Il 22 febbraio è stata una tappa. Una tappa importante in un
cammino sempre in salita. Chi va in montagna sa che sul pendio quello che
conta è la durata, il passo fermo ma costante, la pazienza di superare la
fatica, gli ostacoli, lo scoraggiamento.
Il 10
maggio sarà un’altra tappa. Una manifestazione popolare per le vie di
Torino, una manifestazione che sfiorerà il tribunale, il grattacielo San
Paolo/Intesa, la nuova stazione di Porta Susa per finire nel centro della
città.
I media già soffiano sul fuoco per creare ancora una volta un
clima di paura intorno ad una marcia, che, nello stile delle
manifestazioni di Valle sarà una manifestazione per tutti, una
manifestazione che mostri alla città, alla Procura, ai giudici, ai signori
nei palazzi di potere che quella notte, in Clarea, c’eravamo
tutti.
Tutti abbiamo bruciato quell’compressore, tutti sogniamo che la rabbia popolare, la rabbia di chi sta respirando le polveri venefiche di quel cantiere, possa spazzarlo via una volta per tutte.
Tutti abbiamo pronti nuovi
germogli, nuove piante da mettere a dimora in Clarea, dove la furia del
fare per il fare, del costruire per costruire, del correre per correre, ha
fatto il deserto.
Nelle carte del tribunale c’è scritto che Chiara,
Claudio, Mattia e Niccolò sono terroristi perché l’azione loro attribuita
rovina l’immagine dell’Italia.
La verità è un’altra. Il governo non
può tollerare che qualche montanaro testardo possa mettersi di mezzo.
L’apparato dello Stato non può tollerare che migliaia di persone osino
contrastare le decisioni dell’Unione Europea, del governo Italiano, dei
Ministeri dell’Interno e della difesa.
Alla vigilia del 25 aprile i fili
delle resistenze di ieri e di oggi si intersecano. Oggi come allora i
partigiani sono chiamati banditi, terroristi.
Oggi come allora “terrorista è lo Stato”.
Il governo ha paura che la
ribellione della Val Susa possa continuare ad alimentare la speranza
tenace che Davide possa abbattere Golia.
Per questa ragione è
importante essere in tanti il 10 maggio a Torino.
Per la libertà
di Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò. Per la libertà di tutti.
25 aprile a Torino - ore 14,30
presidio alla lapide al
partigiano anarchico Ilio Baroni
in corso Giulio Cesare angolo corso
Novara, dove Ilio è morto combattendo i nazifascisti.
Primo Maggio a Torino - ore 8,30 piazza Vittorio -
Lo
spezzone rosso e nero, costruito con compagni di Alessandria, Asti,
Novara, Biella, sarà aperto dallo striscione: “Terrorista è chi
bombarda, sfrutta, opprime”
10 maggio marcia popolare No
Tav a Torino - ore 14 - piazza Adriano
Maria Matteo
(quest'articolo è uscito sull'ultimo numero del settimanale Umanità
Nova)
www.anarresinfo.noblogs.org
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