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[Diritti] TESTO DELLA MIA RISPOSTA INSERITA DIRETTAMENTE NEL SITO DI ALAN FRIEDMAN (www.alanfriedman.it) IN MERITO ALLA SUA RICETTA IN 10 PUNTI SUL COME RISOLVERE I PROBLEMI DEL NOSTRO PAESE PUBBLICATA INTEGRALMENTE NEL SUO ULTIMO LIBRO "AMMAZZIAMO IL GATTOPARDO"
- Subject: [Diritti] TESTO DELLA MIA RISPOSTA INSERITA DIRETTAMENTE NEL SITO DI ALAN FRIEDMAN (www.alanfriedman.it) IN MERITO ALLA SUA RICETTA IN 10 PUNTI SUL COME RISOLVERE I PROBLEMI DEL NOSTRO PAESE PUBBLICATA INTEGRALMENTE NEL SUO ULTIMO LIBRO "AMMAZZIAMO IL GATTOPARDO"
- From: Gruppo Sociale <grupposocialeprogressista at yahoo.it>
- Date: Sun, 23 Feb 2014 20:22:06 +0000 (GMT)
- Reply-to: Gruppo Sociale <grupposocialeprogressista at yahoo.it>
Salve!
Mi permetto di diffondere a titolo puramente informativo quanto in oggetto, ovvero il testo della mia risposta fatta pervenire direttamente a Alan Friedman, in merito alla sua ricetta di 10 punti su come salvare l'Italia, pubblicata nel suo ultimo libro "Ammazziamo il gattopardo".
Un caro saluto.
Yvan Rettore
Ferrara, lì 23.02.2014
Egregio Dottor Friedman,
Ho letto con attenzione il suo libro “Ammazziamo il gattopardo” e a prescindere dalle
interviste fatte a personaggi attuali e passati del panorama politico ed economico italiano, la ricetta che propone risulta essere di perfetto stampo neoliberista, quindi nel segno di una continuità col sistema attuale. Benché sia un perfetto “signor nessuno” (appartenente però a quella massa di gente comune – maggioranza silenziosa nel paese - che è stata sempre costretta impotente a subire le angherie e decisioni disastrose di una classe politica ed economica sicuramente non all’altezza dei compiti ad essa affidata) stavolta ho deciso di non restare zitto e di dire la mia sulle proposte presentate nel suo libro, sentendolo non soltanto come un diritto ma anche come un vero e proprio dovere civico.
Ma procediamo con ordine e veniamo alla sua ricetta in 10 punti:
1. Non c’è salvezza senza l’abbattimento del debito. Bisogna sfruttare il patrimonio pubblico ma non svenderlo.
La sua proposta sarebbe di impiegare 400 miliardi del patrimonio pubblico come garanzia per emettere obbligazioni al ritmo di 50 miliardi all’anno per otto anni. Queste obbligazioni dovrebbero essere acquisite: 50% dalle banche, fondazioni ed assicurazioni; 25% dai privati in grado di sottoscriverle; 25% da investitori internazionali e fondi sovrani di paesi ricchi. Il tutto con lo scopo di portare in otto anni il debito pubblico dal 133% del PIL a circa il 100%, aggiungendo il fatto che così vi sarebbe un risparmio di interessi sul debito nel periodo pari a 72 miliardi.
Molto lodevole questa manovra…apparentemente! In realtà, trascura alcuni elementi importanti: 1/ emettere obbligazioni significa contrarre un ulteriore debito per lo Stato, con l’aggravante che su tali titoli bisogna pagare degli interessi agli investitori. Quindi, un ulteriore indebitamento ed aggravio di interessi per tutti
noi! 2/ in una situazione di estrema incertezza e di degrado complessivo delle istituzioni, è piuttosto utopistico che si possano reperire in modo esauriente
entità o persone veramente intenzionate ad investire nel nostro paese, specie dall’estero. Oppure devo credere che lei sarebbe disposto ad investire il proprio denaro in “una barca ridotta ad un colabrodo”? 3/ma anche ammettendo che l’operazione dovesse riuscire, verrebbe di fatto compromesso il patrimonio comune di tutti gli Italiani e a favore di chi? Di potentati finanziari a cui abbiamo già regalato fior di quattrini sia con aiuti diretti e indiretti, sia chiudendo gli occhi sugli aumenti ingiustificati e al limite dell’usura dei loro servizi? E riguardo
ai privati, chi si farebbe avanti? Ci potrebbe essere il rischio concreto di avere a che fare con personaggi la cui ricchezza ha origini piuttosto dubbie o no? Infine, riguardo alle entità danarose dei paesi ricchi, non ci sarebbe l’eventualità che parte del nostro patrimonio possa finire in mani estere e con esso parte dell’essenza della nostra storia e del nostro savoir-faire? Detto
questo, ritengo che sarebbe molto più fondato agire in un modo più equo e costruttivo nell’interesse complessivo del paese, ovvero: 1/ che lo Stato si faccia restituire entro limiti
molto brevi tutti i fondi (con tanto di interessi) regalati ai potentati finanziari ma anche industriali pena confisca di parte o tutto il patrimonio mobiliare ed immobiliare.
2/ nazionalizzare la Banca d’Italia, facendola tornare una banca di proprietà esclusiva del popolo italiano in modo tale da poter veramente vigilare sugli aumenti ingiustificati di banche ed assicurazioni applicando quando necessario le dovute sanzioni. 3/vendere parte dell’oro (al
miglior prezzo di mercato) di questo istituto nonché usare parte dei fondi della Cassa Deposito e Prestiti per rilanciare l’economia, almeno cominciando col rimborsare i crediti di imposta alle piccole e medie imprese, ampliando le infrastrutture ferroviarie (realizzare l’alta velocità anche al Sud e collegando meglio il Tirreno e l’Adriatico) ed investendo in modo massiccio nelle energie alternative (ad esempio introducendo in modo capillare l’energia solare su tutti gli edifici presenti in Italia) magari con joint venture estere (preferibilmente con i paesi emergenti) ed infine tassando di almeno 1% tutte le operazioni finanziarie in Borsa. Da non trascurare poi un uso effettivo e maggiormente efficiente dei fondi europei.
Queste misure, se applicate attraverso decreto governativo d’urgenza, potrebbero davvero cominciare col ridurre sensibilmente il debito
pubblico e rilanciare nel contempo stesso l’economia.
2. Non c’è creazione di nuovi posti senza tagli drastici del costo del lavoro e una modernizzazione delle regole del sistema.
Sono d’accordo che il costo del lavoro in Italia oggi sia davvero troppo elevato e questo malgrado il fatto che gli stipendi in realtà siano molto bassi rispetto alla media europea.
I minijob, le detassazioni, il contratto triennale o una maggiore libertà di licenziamento sono in realtà soltanto dei palliativi che non risolvono affatto la questione e che servono soprattutto per “mascherare” una disoccupazione o un precariato latenti!
Per venirne fuori, è necessario superare la logica che il profitto e i benefici dell’accumulazione di capitale siano riservati soltanto ad un numero ristretto di persone, con la conseguenza di avere una massa costante di precari e sfruttati a fronte di una minoranza di ricchi e di benestanti che godono di tale squilibrio.
Il profitto per non diventare deleterio e dannoso in una logica di economia di mercato, deve rivestire una connotazione sociale, ovvero essere fonte di benessere e di sviluppo sia per coloro che ne sono gli autori, sia per la collettività in cui questi operano.
Questo è un punto cruciale da cui partire.
Pertanto conviene operare nella direzione seguente:
- introdurre in modo massiccio il “Social business” sia con un intervento diretto iniziale dello Stato, sia con l’ausilio di grandi gruppi internazionali. La diffusione di questo tipo di azienda pone in auge la nozione di profitto sociale, in quanto prevede il suo integrale reinvestimento nell’azienda stessa e nel rimborso a medio termine (senza interessi, ma soltanto con l’adeguamento all’inflazione) dell’investimento iniziale da parte dello Stato o delle multinazionali nel progetto. Non vi sono dipendenti, ma soci che interagiscono tutti nella crescita e nello sviluppo dello stesso, finanziando anche infrastrutture utili alla comunità di cui fanno parte (strade, fognature, ponti, ecc…)
- superare il concetto di lavoro dipendente per passare invece a quello generalizzato di lavoratore autonomo e prevedere a riguardo soltanto due tipologie di contratti: quello con Partita IVA e quello invece con tassazione dell’utile raggiunto (ne parlerò dopo). Tutte le garanzie tipiche del lavoratore dipendente verrebbero mantenute, con la differenza che il lavoratore diventerebbe socio dell’azienda in cui opera e che verrebbe pagato integralmente e non in modo lordo come adesso (tassazione alla fonte) in quanto pagherebbe da sé tutte le tasse e contributi previdenziali.
- bisognerebbe distinguere i lavoratori che operano in aziende manifatturiere che effettivamente realizzano prodotti con
valore aggiunto (e quindi l’apertura di una Partita IVA in questo ambito avrebbe un senso) dalle aziende di servizi in cui il valore aggiunto di fatto non esiste e ha carattere meramente speculativo (e quindi si procederebbe ad una tassazione secca dell’utile percepito).
- i centri per l’impiego diventerebbero organi non soltanto utili per effettivamente indicare le possibilità lavorative presenti e sostituirsi in questo ambito alle agenzie interinali (entità utili ormai soltanto per la diffusione del precariato), ma anche per diffondere il lavoro part-time (specie per le donne e gli studenti), realizzare corsi di riqualificazione professionale e soprattutto creare basi di incontro e di associazione tra aspiranti imprenditori.
Attivare questo tipo di riforme permetterebbe di stimolare maggiormente la produttività nonché di considerare il profitto come un motore trainante di sviluppo non soltanto aziendale, ma anche sociale e comunitario.
3. Ci vuole un minimo vitale per tutelare le fasce più deboli, e subito.
Anziché porre un minimo vitale, sarebbe più sensato ed utile garantire comunque una pensione sociale dignitosa ai diversamente abili e ristrutturare le caserme dismesse destinandole ai ceti più deboli col principio di poterci risiedere con modalità di proprietà a tempo (tipo per 50 anni) o con canoni modesti che vadano a coprire almeno le spese di
manutenzione generale. Altresì parte di queste stesse strutture potrebbero essere anche messe a disposizione con le stesse modalità per promuovere attività imprenditoriali di Social Business sostenute dallo Stato.
Quest’ultimo potrebbe poi emettere delle cambiali tipo dei “pagherò” con scadenze fissate ad un massimo di 5 anni alle fasce di disoccupati e indigenti che permetterebbero a questi ultimi di fare la spesa in negozi a filiera zero.
4. Pensioni garantite per tutti ma tagli più aggressivi alle pensioni d’oro (e ai troppi regali dello Stato).
Su questa questione dovrebbero essere aperte tre
possibilità per ogni lavoratore:
- adesione facoltativa all’INPS,
- adesione alla previdenza privata, ovvero l’opting-out
- non aderire a nessuna di queste opzioni ed operare altri tipi di investimento per assicurarsi una rendita di vecchiaia (affitti, titoli in borsa, ecc…).
In parole povere, il discorso previdenziale dovrebbe essere circoscritto alla sola scelta individuale e non essere imposto da uno stato o da logiche di mercato che ne vogliano ricavare un profitto. Per quanto concerne le soli pensioni pubbliche dovrebbero essere fissati un tetto minimo
di almeno 1000 Euro e uno massimo di 2000 (da indicizzare comunque con l’aumento dell’inflazione). Tutte le pensioni d’oro attuali dovrebbero essere immediatamente ridotte a questa nuova soglia massima, mentre quelle esistenti col vecchio sistema retributivo e l’attuale sistema contributivo verrebbero finanziate con la fiscalità generale.
5. Un vasto programma per l’occupazione femminile: triplicare gli asili nido e gli sgravi fiscali.
Anziché favorire la diffusione di donne a livello manageriale attraverso procedimenti normativi (manovre sempre fallimentari perché tali aspetti derivano essenzialmente da evoluzioni socioculturali
difficilmente valutabili nel tempo), sarebbe più giusto ed indicato aumentare gli assegni familiari (almeno 200 Euro a bambino), incentivare il part-time con sgravi fiscali molto più importanti di quelli attuali e soprattutto offrire un accesso assolutamente gratuito agli asili nido che dovrebbero essere esclusivamente gestiti da enti pubblici, secondo il principio che educazione e didattica non possono essere oggetto di lucro, in quanto servizi essenziali alla persona.
Più bambini nasceranno, più l’economia ed il paese nel suo insieme potranno trarne giovamento sia in termini di rinnovamento in ogni ambito che di dinamismo sociale e culturale.
6. Meritocrazia, valutazione e trasparenza totale:
le parole d’ordine per ridisegnare la pubblica amministrazione. Chi sbaglia paga.
D’accordissimo sulle parole d’ordine di cui sopra, aggiungendo il fatto che le paghe dei manager pubblici dovrebbero essere non superiori a 5.000 Euro mensili e che comunque anche nel settore pubblico dovrebbero essere applicati i contratti di lavoratoro autonomi come ho accennato poc’anzi, onde potere appunto evitare sprechi, favoritismi ed abusi come adesso e favorire aspetti meritocratici (tramite punteggi o bonus) e una maggiore trasparenza. Sarebbe inoltre
fondamentale eliminare in toto la miriade di enti pubblici inutili (apparsi in tutti questi anni e creati unicamente per fungere da contenitori di voti per questo o quel partito) nonché i concorsi pubblici sostituendoli con la pratica comune nel settore privato di colloqui di selezione fondati essenzialmente sugli aspetti qualitativi e formativi di ogni singolo candidato.
7. Se vogliamo mantenere la sanità per tutti dobbiamo tagliare gli sprechi e togliere molte delle competenze alle regioni.
Nel settore pubblico si potrebbero davvero ottenere notevoli risparmi ma non nel senso da lei auspicato. Sono favorevole alla soppressione in toto, sia delle province che delle regioni, enti inutili e
“dinosauri” che gravano in modo dannoso sulla spesa pubblica. Sarebbe invece doveroso inserire il concetto di autogestione territoriale, creando enti di coordinamento tra diversi comuni sulla traccia già esistente delle aree dei consorzi di bonifica, perché questo permetterebbe non soltanto una effettiva razionalizzazione delle risorse a livello locale, ma anche un loro impiego migliore e più efficiente. Tali aree fungerebbero poi da circoscrizioni elettorali con
sistema proporzionale (molto più democratico di quello maggioritario perché in grado di dare effettivamente “voce a tutti” e di non consacrare l’esistente come un dato acquisito una volta per tutte!) per le elezioni del Parlamento che potrebbe in questo caso essere ridotto ad un’unica camera di soli 200 rappresentanti (ampiamente sufficienti) con modalità di controllo da parte dell’elettorato sull’esempio di quanto previsto dalla proposta di Legge sulla responsabilità politica presentata dal Partito Umanista nel 1997 e che prevede anche il licenziamento in tronco del politico eletto durante la legislatura in caso di sfiducia del proprio elettorato durante il proprio
mandato. Riguardo alle auto blu, sono d’accordo con lei (una per ogni ministro e basta) come pure riguardo ad un drastico dimagrimento delle spese destinate al Quirinale (anche se secondo me, basterebbero qualche milione di Euro e non di più!).
Gli eletti verrebbero poi pagati unicamente mediante gettone di presenza e comunque per un introito complessivo non superiore a 5.000 Euro netti al mese. Le spese verrebbero rimborsate on line ogni settimana dietro presentazione di pezze giustificative e dato che oggi la tecnologia è sufficientemente
evoluta a riguardo (I-phone e I-Pad) non ci sarebbe più bisogno di avere assistenti o portaborse.
I partiti avrebbero l’obbligo di presentare il bilancio e per quanto riguarda il loro finanziamento questi avverrebbe unicamente attraverso donazione di singoli e non di associazioni o gruppi di potere, questo onde evitare le implicazioni di poteri forti e lobby al loro interno. Gli stessi singoli dovrebbero fare la donazione allegando la loro dichiarazione dei redditi ed il loro stato patrimoniale accertato.
Altro tema spesso trascurato è quello delle consulenze esterne. In Italia, ci sono troppi amministratori che vengono nominati sulla base di giochi di suddivisione di incarichi tra partiti, piuttosto che per meriti e capacità effettivi. La stessa formazione del governo Renzi non è sfuggita a questo malcostume tipico della politica nostrana. La conseguenza di ciò è che
siccome l’amministratore risulta spesso ignorante o incompetente nel gestire il proprio incarico, deve avvalersi di consulenti esterni i cui onorari pesano in modo significativo sulla spesa pubblica e tali importi risultano spesso difficili da identificare perché “celati” dietro un “politichese” incomprensibile nei bilanci della PA. Ciò è inammissibile e sarebbe quindi fondamentale quanto necessario anche per una amministrazione efficiente della cosa pubblica, che tali incarichi venissero affidati unicamente a persone davvero capaci di ricoprirli, proprio come avviene nel mondo delle imprese private.
Non sono d’accordo riguardo all’accorpamento dei comuni ad una soglia minima di 15.000 abitanti, primo perché la maggior parte dei comuni virtuosi in Italia si trova al di sotto di essa ed in secondo luogo, perché specie nelle comunità montane sarebbe di difficile realizzazione e gestione. Sarebbe
quindi più realistico e anche maggiormente efficiente (come appunto dimostrato dall’esperienza dei comuni virtuosi) che si giungesse ad una soglia non superiore di 5.000 abitanti. Comunque vada, nella gestione territoriale, dovrebbero inserirsi criteri di democrazia partecipativa (in primis il bilancio partecipativo) per garantire una trasparenza ed un coinvolgimento effettivi della popolazione nella gestione della cosa pubblica.
Riguardo alla sanità, sono profondamente contrario all’assicurazione privata, in quanto tutto il sistema sanitario dovrebbe sfuggire alle logiche di mercato, perché altrimenti si giunge ad una mercificazione della vita umana, con la conseguenza diretta che più si invecchia, più si paga (perché il rischio morte appunto aumenta). Questa è una vera assurdità! Quindi, fermo restando che il SSN non dovrebbe comunque lasciar spazio ad iniziative di carattere mercantile, bisognerebbe
comunque renderlo maggiormente efficiente riducendo gli sprechi ed aumentando la sinergia ed il coordinamento tra enti locali, ma soprattutto togliendo definitivamente la gestione delle strutture sanitarie ai partiti (fonte appunto di degrado e di inefficienze croniche, perché la salute delle persone non ha nulla a che fare con le logiche partitocratiche) ed affidandole esclusivamente a professionisti autorevoli ed affermati nel settore.
Si potrebbe fare anche tanto altro ancora riguardo alla riforma della PA ed alla riduzione degli sprechi, ma già riuscire a realizzare almeno parte di quanto sopra sarebbe già un successo di non poco conto.
8. Una patrimoniale leggera soprattutto per chi ha più di un milione di Euro.
Su questo punto mi troverei d’accordo soltanto se venisse applicata a coloro che hanno patrimoni superiori ad un milione di Euro, perché il fatto di avere un’abitazione non soltanto è un diritto, ma anche non deve essere fonte di tassazioni inique ed al limite dell’usura come troppo spesso accaduto in questi ultimi anni in Italia.
Inoltre, andrebbe finalmente tassato senza favoritismi ulteriori l’intero patrimonio immobiliare della Chiesa cattolica presente su suolo
italiano, nonché le attività economiche della stessa (librerie, negozi di souvenir, alberghi, agenzie di viaggio, ecc…) che grazie a questo loro statuto privilegiato usufruiscono dei vantaggi di una concorrenza sleale rispetto ad altre attività analoghe.
Già attraverso un intervento deciso sull’ultimo punto, si avrebbero introiti fiscali considerevoli!
9. La liberalizzazione non deve più essere una parolaccia. Non è un feticcio ma una necessità per i consumatori.
Mi permetto di correggere quanto lei dice nel senso che la liberalizzazione è una necessità nell’ottica di un sistema neoliberista, in cui si
deve progressivamente mercificare ogni bene e servizio, al fine di garantire una crescita costante di consumi e profitti (comunque sempre per pochi eletti!). Oltre al fatto che una crescita costante ed illimitata risulta obiettivamente (soprattutto ecologicamente) un’utopia, il volere mercificare tutto il settore dei servizi ed in particolare i beni comuni favorisce deviazioni speculative che generano ricchezze per pochi e danni per l’insieme della collettività. Mercificare la sanità, l’istruzione, i beni comuni (acqua, territorio, ecc…) non ha alcun senso, perché non trattasi di attività produttive in grado di creare un valore aggiunto effettivo quindi una ricchezza tangibile e concreta, ma si riduce in un semplice moltiplicarsi di “dazi” che gravano sull’insieme della collettività. Pertanto, questi settori come pure quello dei trasporti in comune e delle infrastrutture ad esse collegate (ad esempio le autostrade), nonché
dell’energia (la luce ed il riscaldamento non sono dei “privilegi” da pagare ma delle cose che dovrebbero essere garantite in modo equo ad ogni cittadino per il solo fatto di esistere!). Liberalizzare poi categorie come quelle dei farmacisti o delle edicole, significa snaturare il loro settore ed ucciderli a fuoco lento e la cosa potrebbe essere anche pericolosa a medio termine in quanto specie per quanto riguarda le farmacie, c’è il rischio di un crollo di competenze e conoscenze effettive dell’attività che si è chiamati a svolgere e che ha implicazioni dirette sulla salute dei cittadini. Il volere poi non mettere limiti agli orari d’apertura è una violazione di un “bene comune” non considerato dal sistema neoliberista: il diritto al riposo! Forse sorriderà, ma la vita della gente comune (e quindi anche dei lavoratori) deve comportare anche questo sacrosanto diritto che non può essere violato in nome del profitto. E poi non sta
scritto da nessuna parte, che con aperture illimitate vi sarebbero maggiori entrate e anzi potrebbero comportare maggiori sprechi e spese sulla spesa energetica complessiva, cosa quindi non opportuna da fare! Molto più utile sarebbe sviluppare e favorire su un piano fiscale (partendo dagli enti locali) le attività commerciali a filiera corta che avvantaggerebbero notevolmente la produzione agricola e dell’allevamento locali, evitando il coinvolgimento dannoso degli intermediari che causa soltanto aumenti spropositati di prezzi al cliente finale e danneggia quindi anche le attività degli agricoltori ed allevatori nostrani.
Inoltre, sarebbe fondamentale realizzare la banda larga su tutto il territorio, per poi poter fare la propria dichiarazione dei redditi direttamente on line con l’Agenzia delle Entrate (con una riforma fiscale preliminare che comporterebbe lo sgravio fiscale di ogni scontrino di
spesa - sul modello americano – nonché la fine della tassazione alla fonte) togliendo definitivamente la figura del commercialista che in questo caso diventerebbe superflua. In modo analogo potrebbe essere ridotta significativamente se non venire eliminata del tutto, la figura del notaio, perché tante pratiche potrebbero essere sviluppate e compilate on line.
Infine, nei processi civili di primo grado, dovrebbero essere fatti tutti davanti ad un giudice di pace, senza bisogno di avvocati ed ogni comune dovrebbe avere un servizio di consulenza legale e fiscale gratuito al servizio dei
cittadini. Infine, per quanto riguarda il settore bancario, sarebbe ora di dividere le banche di investimento da
quelle di deposito, questo al fine di evitare che le banche possano continuare a “giocare in modo indiscriminato” con il denaro dei risparmiatori sui mercati speculativi internazionali (le vicende “Parmalat”, “Cirio”, “Bond argentini” ed altre sono lì a ricordarcelo”!). Importante sarebbe favorire nettamente su un piano fiscale gli istituti di credito cooperativo e la formazione di “banche comunali” (sull’esempio del Venezuela) per promuovere sviluppo e rilascio di crediti direttamente sul territorio anziché in avventure spericolate sulle Borse internazionali. Altrettanto importante sarebbe mantenere “Poste italiane” sotto il controllo integrale dello Stato e non privatizzarle, per non snaturare i servizi che questo ente è chiamato ad offrire e evitare quindi di farlo diventare un istituto bancario che nulla ha a che fare con le sue attività essenziali (cosa che potrebbe alla lunga danneggiare gli stessi interessi dei
correntisti).
Quindi, non liberalizzare, né privatizzare in modo indiscriminato, ma fare ordine in questa baraonda di privilegi e di corporazioni, sancendo nello stesso tempo la non mercificazione di certi settori (specie nei servizi) che hanno attinenza diretta con i beni comuni necessari alla vita dignitosa di ogni essere umano.
10. Una singola riforma non basta. La crescita nasce soltanto da un insieme di grandi riforme.
L’Italia non ha bisogno di un’affermazione maggiore del neoliberismo al suo interno. I disastri provocati da questo sistema sono sotto gli occhi di tutti e le sole riforme (spesso di facciata e comunque di respiro
corto) non bastano. Ci vogliono cambiamenti radicali (chiamiamoli pure “rivoluzionari”) perché questo modello di società e di fare politica sono comunque fallimentari. La questione non è “meno o più Stato” quindi, ma una ridefinizione dello stesso nel senso di essere davvero un insieme di istituzioni al servizio dei cittadini (e non di poche lobby), non in modo assistenziale, ma come promotore concreto di benessere e di valori comunitari che possano davvero realizzare nei fatti una società umana ed ecologicamente sostenibile. La ricerca esasperata di una crescita costante e la mercificazione di ogni settore di attività vanno esattamente all’opposto di un simile progetto perché si fondano in primis su logiche di sfruttamento e di privilegi ingiustificati!
Sono giunto alla conclusione di questo mio intervento, Dottor
Friedman, e malgrado non mi ritrovi d’accordo con lei sulla maggior parte delle sue posizioni, mi congratulo con lei per il lavoro svolto. Sarebbe bello però se nel suo prossimo libro, coinvolgesse personaggi ed esperienze che nulla hanno a che fare col passato o con un presente (a cominciare dal governo Renzi) che risponde a questo stesso passato e di cui rimane comunque succube.
Un caro saluto.
Yvan Rettore
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