«Prigionieri nell’inferno libico»




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«Prigionieri nell’inferno libico»

Venerdì 08 Marzo 2013 

«Da giorni non vediamo la luce, soffriamo fame e sete. Siamo trattati come subumani». L’sms arriva alle sette del mattino direttamente dall’inferno, che è alle porte del grande deserto libico, nella regione meridionale del Fezzan. Lo manda Haile, nome di fantasia, eritreo giunto in Libia l’anno scorso e imprigionato a Sebha, uno dei famigerati centri di detenzione per migranti finanziati lo scorso decennio dall’Ue (compresa l’Italia). Il giovane è riuscito a conservare un cellulare, che è l’unica finestra sul mondo di un gruppo di profughi in un Paese che non riconosce ancora i rifugiati politici.