Gli anarchici, i media, il ferimento di Adinolfi



Gli anarchici, i media, il ferimento di Adinolfi

Anarres ha fatto una lunga chiacchierata con Massimo Varengo della FAI
milanese sulla campagna antianarchica dei media, sul ferimento
dell’amministratore delegato di Ansaldo nucleare Adinolfi, sulla FAI
informale, sulla violenza, la lotta armata, l’azione diretta popolare.

Ascolta l’intervista a Massimo:
http://anarresinfo.noblogs.org/2012/05/20/gli-anarchici-i-media-il-ferimento-di-adinolfi/

Nell’articolo che segue Massimo riprende gran parte dei temi affrontati
nella chiacchierata con Anarres a radio Blackout.
Il suo articolo è stato pubblicato sul numero di questa settimana di
Umanità Nova.

Armi della critica e critica alle armi

“Quando si sta portando una rivoluzione per la liberazione dell'umanità,
bisogna avere rispetto della vita di ogni uomo e di ogni donna... Il
terrorismo viola la libertà degli individui e perciò non può essere
utilizzato per costruire una società anarchica”.
Michail Bakunin

L'immediata gestione mediatica del mostruoso attentato di Brindisi la dice
lunga su quali sono le intenzioni dell'oligarchia al potere. Un atto vile,
di terrorismo indiscriminato, in stile iracheno, contro delle giovani
donne, antisociale e criminale, viene tranquillamente assimilato ad
episodi di lotta armata, magari con origini greche, con contorno mafioso,
con l'obiettivo palese della realizzazione dell'unità di tutti gli
schieramenti in difesa dello Stato, un'unità che abbiamo visto all'opera
negli anni della solidarietà nazionale, delle leggi speciali,
dell'arretramento sociale e culturale del paese.
Ma segnali di questo modus operandi li avevamo già registrati nei giorni
precedenti.
In un ufficio dell'Ansaldo Energia è apparsa una scritta, piccola piccola,
dieci centimetri in tutto, a matita pare, con una minaccia di morte al
presidente di Finmeccanica, Orsi. Accompagnata da una stella a cinque
punte e la sigla B.R. Basta questo evidente sfogo di un impiegato
incazzato contro i suoi capi, per alimentare la canea mediatica sul
pericolo terrorista.
Se si andasse in qualsiasi cesso a rilevare scritte, per i pennivendoli ce
ne sarebbe del materiale da campare per anni.
Vale lo stesso per il volantino fatto recapitare a “Calabria Ora”, una
ridicola ed evidente falsificazione, probabilmente opera di un altrettanto
incazzato contribuente nei confronti di Equitalia, ma utile per dare fiato
alle trombe sul pericolo terrorista.
E che dire del drappo rossonero appeso alla lapide che in piazza Fontana,
a Milano, ricorda l'assassinio del compagno Pinelli: secondo l'intrepido
giornalista, rappresenterebbe una sfida in quanto sarebbe stato applicato
proprio nell'anniversario dell'omicidio del commissario Calabresi. Peccato
che quel drappo fosse lì dal Primo maggio, messo da qualche compagno o
compagna al termine della manifestazione.
C'è da essere sicuri che ogni scritta, vecchia o nuova che sia, ogni sia
pur piccola iniziativa anarchica, nei prossimi giorni godrà della massima
attenzione mediatica: è chiaro che c'è chi vuole dimostrare l'esistenza di
una forte minaccia anarchica, ovviamente violenta e terroristica, al
bengodi che stiamo vivendo. E molti altri gli vanno a ruota.

Nelle crisi sono sempre ricercati dei capri espiatori, su cui indirizzare
l'attenzione della cosiddetta pubblica opinione. Come sono riusciti negli
anni '80 a svuotare di segno e di contenuto la ricchezza dei movimenti del
decennio precedente, rovesciandogli addosso, a tutti ed indistintamente,
la responsabilità del lottarmatismo, facendo di ogni erba un fascio,
comminando carcere a pioggia, provocando divisioni e contrapposizioni,
così oggi c'è chi intende rispolverare i vecchi arnesi della
criminalizzazione preventiva.
D'altronde la situazione per “lor signori” non è facile, devono far
digerire misure sempre più indigeste e la paura di una ribellione sociale
cresce in loro, anche più preoccupante perché si allarga in prospettiva a
settori sociali tradizionalmente moderati (l'artigiano, il trasportatore,
il piccolo imprenditore che prende il fucile, ecc.), aprendo un nuovo
terreno di scontro – quello fiscale – che mai era stato appannaggio dei
movimenti di contestazione radicale.
La voracità delle banche e delle oligarchie al potere non lascia grande
spazio a politiche di crescita e la crisi dei derivati è lungi dall'essere
risolta. La politica mascherata da tecnica amministrativa deve dar prova
della sua capacità di governo, ricorrendo magari a soluzioni
progressivamente autoritarie, come quelle che ci sta facendo digerire da
tempo.
D'altronde se un autentico liberale come Piero Ostellino sul “Corriere
della Sera” si permette di bollare il governo Monti/Napolitano di
“salazarismo”, richiamando alla memoria il regime tecnocrate e
conservatore che dominò il Portogallo per 50 anni, cosa dovremmo dire noi
che verifichiamo ogni giorno sulla nostra pelle la riduzione degli spazi
di espressione e di agibilità, di effettiva libertà di organizzazione e di
azione?

Ovviamente anche l'attentato al dirigente dell'Ansaldo Nucleare è stato
colto al volo per rilanciare, dopo le varie informative dei servizi
segreti sul pericolo “anarco-insurrezionalista”, l'incombenza della
minaccia terroristica di matrice anarchica, collegandolo al malcontento
sociale crescente, al movimento NoTav e a chi più ne ha più ne metta.
Un'operazione ardita questa perché ci vorrebbe qualcosa di più sostanzioso
per potere collegare il terrorismo all'insofferenza sociale e al diffuso
sentimento anti partitico, depotenziandone così i possibili sbocchi
conflittuali e criminalizzando preventivamente ogni capacità di risposta
popolare. Se poi si vuol collegare direttamente la rivendicazione del
nucleo Olga ai movimenti sociali, basterebbe l'affermazione fatta dallo
stesso “di non ricercare il consenso” per troncare sul nascere la
discussione.
Ma temo che questo non basti per smontare il tentativo di sviluppare
nell'immaginario collettivo del paese una legittimizzazione di una
politica oppressiva in nome della difesa dal terrorismo.

Se l'operazione in corso è questa, è evidente che bisogna aspettarsi di
più e di peggio.
In una situazione dove l'aggressione al livello di vita della popolazione
si sta intensificando, soprattutto nel settore del lavoro dipendente, del
precariato, del piccolo artigianato e commercio, e dove si avrebbe bisogno
di tutta la mobilitazione, di tutta l'intelligenza e della capacità
collettiva per organizzare risposte incisive, promuovere lotte, sviluppare
iniziative di solidarietà sociale, dare ossigeno alle forme
autogestionarie di risposta concreta alla crisi, appare inevitabile
doversi misurare con chi pensa che un gruppo, un'organizzazione, dura,
combattente, clandestina, possa ottenere risultati efficaci, con chi pensa
di avere la risposta in tasca. Come il gruppo che ha firmato l'attentato
al dirigente di Ansaldo Nucleare rivendicando  la sua appartenenza alla
federazione anarchica informale. Soprattutto se l'enfasi mediatica con il
quale vengono riportate le “loro” imprese è funzionale al coinvolgimento
di tutto il movimento anarchico in un processo di criminalizzazione
generale, avente per perno la lotta al terrorismo.
A questo proposito la Federazione Anarchica Italiana ha da tempo
denunciato l'uso infame e strumentale del proprio acronimo (FAI) per
propagandare le azioni e le prese di posizioni del cosiddetto “anarchismo
informale”. Uso che non solo tende a confondere deliberatamente le acque,
ma che è rivelatore di una mentalità di tipo egemonico, autoritario,
tendente a sovrapporsi all'esistente non con un libero confronto di idee e
di proposte, tipico della metodologia anarchica, ma con l'appropriarsi –
questo si molto formale - di una sigla caratteristica di altri.
Mentalità autoritaria ed egemonica che si manifesta, tra l'altro con la
distribuzione a destra e a manca, di insulti e di giudizi, in merito a
coraggio, paura, vigliaccheria, cinismo, ecc. ecc. così come si ricava
dalla lettura della rivendicazione. Contrariamente a quanto affermiamo nel
nostro patto associativo, il patto che abbiamo sottoscritto per definire
le nostre relazioni all'interno della FAI, e cioè che “la FAI non pretende
ad alcun monopolio dell'anarchismo”, dovremmo subire giudizi sprezzanti,
predicozzi manichei, a nome di un neo-anarchismo che pretende il monopolio
dell'idea erigendosi a giudice, prete e boia. È francamente un po' troppo.
Per quanto riguarda l'azione di Genova l'anarchismo organizzato
nell'Internazionale ha dato da tempo una risposta all'avanguardismo
armato, confutandone ragioni e metodi.
Se concordiamo con la definizione che i dizionari danno della parola
violenza (“Coazione fisica o morale esercitata da un soggetto su di un
altro così da indurlo a compiere atti che non avrebbe compiuto”,
Zingarelli) non possiamo che classificare la violenza all'interno degli
strumenti dell'autoritarismo.
Ed è per questo che nessun anarchico ritiene possibile elevare a sistema
la violenza o concepirla come la levatrice del processo rivoluzionario.
Tuttalpiù l'atto violento può essere inteso come una penosa necessità per
contrastare la violenza, grande e generalizzata dello Stato e del sistema
capitalistico. Per gli anarchici è evidente che l'atto violento in sé, in
quanto atto autoritario, sostanzia un potere, e se eretto a sistema,
rigenera lo Stato.
L'anarchismo si è sempre basato sulla consapevolezza nello scegliersi
azioni ed obiettivi, e sulla responsabilità personale nel perseguirle, per
cui se rifiuta da un lato di sposare tesi violentiste, dall'altro rifugge
da impostazioni piattamente non violente; piuttosto esso rimanda sempre
alla coscienza degli individui e alla interpretazione del momento storico
in cui essi vivono.
L'efficacia dell'azione diretta non viene espressa dal grado di violenza
in essa contenuta, quanto piuttosto dalla capacità di indicare una strada
praticabile da tutti, di costruire una forza collettiva in grado di
ridurre la violenza al minimo livello possibile all'interno del processo
di trasformazione rivoluzionaria. Ed in questa ricerca il “piacere”
dell'arma rappresenta un ostacolo insormontabile.
Con buona pace dei Nečaev di turno.
max

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