Le reti e l’autostrada



Le reti e l’autostrada

Stazione di Susa, 8 dicembre 2011. L’aria è tersa ma non troppo fredda:
l’inverno, in tempi di cambio climatico, quest’anno è mite. Sei anni fa in
questo stesso angolo il gelo bruciava la pelle, annunciando la neve che
sarebbe caduta copiosa sulle migliaia di manifestanti diretti a Venaus,
dove le truppe dello Stato avevano occupato la piana e piazzato le
recinzioni per il cantiere.
Quella giornata, mille volte narrata, è nella memoria e nei cuori di noi
tutti.
Quell’8 dicembre, dopo due giorni di rivolta, blocchi e barricate, il
popolo No Tav si inerpicò per la statale 25 del Moncenisio, al bivio dei
Passaggeri venne attaccato dalla polizia ma non si arrese. Il corteo
oltrepassò il blocco alla provinciale per Venaus e proseguì sulla statale.
Poi, per i sentieri, decine di migliaia di persone scesero nella piana,
aggirando i poliziotti e buttando giù le reti. La polizia sparò qualche
lacrimogeno, poi si ritirò.
Il governo rientrò precipitosamente dalle vacanze del lungo weekend
dell’immacolata e convocò a Roma i sindaci della Valle ribelle. La parola
passava dal bastone alla carota. Misero su un osservatorio tecnico e un
tavolo politico, che ha lavorato per ammorbidire l’opposizione alla
realizzazione della nuova linea ad alta velocità tra Torino e Lyon.
Sei anni dopo, fallita la mediazione, lo Stato ha deciso di riprovarci con
la forza.
Dal 22 maggio al 27 giugno i No Tav hanno dato vita alla Maddalena di
Chiomonte ad una nuova libera Repubblica. Il 27 giugno il ministero
dell’Interno ha dato il via ad un’operazione di guerra in grande stile,
impiegando centinaia di uomini e mezzi per sgomberare i No Tav. Da quel
giorno è partita una lunga resistenza.

In questi mesi la partita sulla linea ad alta velocità tra Torino e Lyon è
diventata di giorno in giorno più pesante. È in ballo un intero sistema,
un sistema elaborato e oliato per anni, per garantire agli amici degli
amici di destra e sinistra, un bottino sicuro e legale.
Le linee ad alta velocità costruite nel nostro paese sono state l’ossatura
del dopo tangentopoli: un sistema raffinato e semplice per dribblare tutti
gli ostacoli, senza rischiare che un giudice troppo intraprendente
mettesse nei guai l’intera cricca di amiconi. Leggi obiettivo, siti di
interesse strategico, general contractor sono stati alcuni degli strumenti
adottati per cementare un sistema sicuro di drenaggio di denaro pubblico a
fini privatissimi. Un sistema che funziona perché va bene a tutti, per
tutti c’è un posticino a tavola.
Un sistema che nessuno può permettersi di far saltare. Un sistema che il
movimento contro la Torino Lyon ha reso trasparente, mostrandone i
meccanismi, aprendo crepe, costruendo una resistenza popolare alla quale
guardano in tanti.
Solo la forza di un movimento che non si arrende impedisce alla lobby
bipartisan del Tav di spartirsi la torta di 22 miliardi di euro.
La strategia del governo è chiarissima: celare le ragioni della lotta No
Tav, declinando nella categoria dell’ordine pubblico un movimento che non
si fa disciplinare a suon di botte e gas.
La posta in gioco va ben al di là dell’affare Tav. Sul piatto è il
disciplinamento di un movimento che è divenuto punto di riferimento per i
tanti che si battono per la salvaguardia del territorio, contro lo
sperpero di denaro pubblico per fini privatissimi. Un movimento radicato e
insieme radicale, capace di autogovernarsi, resistere, mantenendo salda
negli anni la propria sfida.
La propaganda Si Tav ha provato a criminalizzare e dividere il movimento.
Le migliori penne si sono dedicate all’impresa di inventare fratture tra i
No Tav.
Il movimento, pur nella estrema varietà di approcci e valutazioni, ha
saputo respingere al mittente ogni tentativo di discriminare tra buoni e
cattivi.
Vogliono far paura. E la paura c’è, eccome se c’è. Tuttavia, nonostante il
cuore in gola, si va avanti, consapevoli di rischiare salute e libertà. Si
va e si va ancora, giorno dopo giorno.

Il momento non è facile. Di fronte a noi c’è l’apparato militare dello
Stato al gran completo. Dal primo gennaio la zona del cantiere diverrà di
interesse strategico militare. Chi la viola incappa in un altro reato,
forse in altri blocchi, in reti più alte. Qualcuno ha persino proposto di
erigere un muro.
Negli ultimi mesi il dibattito nel movimento è stato continuo: si discute
nei comitati, alla baita Clarea, nei presidi, nei coordinamenti, alle
assemblee popolari, sulle liste. Anche in piccoli gruppi informali, che si
trovano a margine di una passeggiata alle reti o di una serata
informativa.
Il governo ha scelto con cura il luogo dove sferrare l’attacco, una zona
isolata, difficile da raggiungere, dove si può gasare come in guerra e poi
raccontare che i No Tav sono violenti.
Hanno dimostrato di aver imparato la lezione del 2005. Hanno puntato sui
gas e le recinzioni. Un procuratore di stretta osservanza “Democratica”
come Caselli si è assunto il compito di distribuire centinaia di denunce,
decine di fogli di via, ordinare perquisizioni ed arresti.
Il governo teme una rivolta che dilaghi da Torino all’alta Valle, teme che
si ripetano gli scenari del 2005. Se in ogni paese sorge una barricata, se
i blocchi si moltiplicano, la situazione diventa ingovernabile.
Le truppe e la violenza potrebbero non bastare più, perché trattare le
questioni sociali come affari di ordine pubblico è facile, finché il
dissenso, per quanto ampio, si concentra nell’assedio al fortino della
Maddalena.
Perciò l’8 dicembre si è fatta la scommessa di allargare il fronte.
Tre concentramenti (Susa, Chiomonte, Giaglione), un unico obiettivo:
mettere i bastoni tra le ruote agli occupanti e ai loro complici.
Il giorno prima la questura ha istituito una amplissima zona rossa. La
strada delle Gorge è bloccata dai jersey e dalla polizia, anche il ponte
sulla Dora a Chiomonte è chiuso. I manifestanti che si radunano a
Chiomonte e Giaglione aggirano i blocchi passando per i sentieri: una
lunga marcia fatta tante volte. Migliaia di passi hanno segnato queste vie
di resistenza e di lotta.
In contemporanea migliaia di manifestanti partono da Susa, diretti
all’Autoporto, dove nel gennaio del 2010 sorse un presidio di resistenza
alle trivelle.
In testa i bambini con lo striscione che li accompagna sin dal 3 luglio
“il futuro nelle nostre mani”, poi tutti gli altri. Lo spezzone anarchico
sfila con lo striscione “No Tav. Azione Diretta Autigestione” e un nugolo
di bandiere rosse e nere.
Si percorre la statale 25 sino alla frazione S. Giuliano, che, se l’opera
entrerà nella sua fase esecutiva, verrà devastata dai lavori. Poi si
prosegue sino allo svincolo che conduce da un lato all’autoporto,
dall’altro all’autostrada. I bambini proseguono verso l’autoporto e il
punto ristoro, tutti gli altri salgono sulla A32.
I No Tav sono tornati sull’autostrada, per denunciare il ruolo della
Sitaf, la società che la gestisce e che ha consentito l’apertura di uno
svincolo dedicato alle truppe di occupazione e alle ruspe a Chiomonte,
mettendo anche i disposizione i terreni per il fortino.
Subito compare un gazebo, un camion con l’amplificazione, una cucina da
campo, metri di moquette. Tante famiglie con bambini salgono a loro volta
sull’autostrada, sedendosi a mangiare.
Nel pomeriggio viene montato un campo da calcio, con tanto di porte e
pallone. Si iscrivono in tanti al torneo No Tav che si svolge per tutto il
pomeriggio, tra interventi dal camion, balli occitani e un incrociarsi di
discussioni improvvisate. I ragazzi più giovani si danno da fare e
costruiscono due sbarramenti nei due sensi di marcia dell’autostrada. Le
barricate sono fatte con quello che si trova lì vicino: laterizi, segnali
stradali, qualche asse. Un uomo offre i bancali che ha nel cortile: la sua
casa è a un chilometro, ma non importa, si fa su e giù. Sull’altro lato si
piazzano cassonetti e vecchie piastrelle.
È una grande manifestazione popolare.
Nel tardo pomeriggio cominciano ad arrivare le notizie dalla Clarea. La
gente si è radunata lungo le reti e ha cominciato a tagliare: la polizia
la infradicia con gli idranti. Poi la consueta pioggia di lacrimogeni.
Così tanti che si perde l’orientamento. I boschi sono secchi e gli scoppi
dei lacrimogeni innescano numerosi incendi. Yuri si butta in avanti per
spegnere: un poliziotto lo mira e lo colpisce allo zigomo con un
candelotto. Yuri cade. Sta malissimo: vomita e sanguina. Yuri ha solo 16
anni e vive a Venaus con la sua famiglia, la lotta contro il Tav l’ha
respirata per tutta la vita. Viene portato a braccia, ma dovrà aspettare
un’ora prima che i poliziotti accettino di soccorrerlo facendolo
trasportare su un’ambulanza.
Anche un solidale arrivato da Padova viene colpito al volto: è un operaio
di cinquant’anni e probabilmente perderà la vista da un occhio. Un altro
ragazzo si spezzerà malamente una caviglia durante la fuga. Decine e
decine sono quelli con bruciature di candelotto, soffocati dai gas.
Questa volta la polizia non si accontenta di colpire con i lacrimogeni ad
altezza d’uomo. Ad un ulteriore tentativo di forzare le reti, gli uomini
dello Stato escono dalle recinzioni ed attaccano i manifestanti, la baita
viene riempita di fumo, i feriti portati a braccia per i sentieri.
A fine giornata qualche metro di rete sarà stata tagliata.
I reduci dalla Clarea, stanchi ed arrabbiati, si congiungono con le
migliaia di manifestanti che bloccano l’autostrada sin dalla tarda
mattinata.
La polizia prova a lanciare un ultimatum, ma tutti se ne infischiano.
L’assemblea in autostrada decide di andare avanti sino a mezzanotte.
A mezzanotte si chiude con fuochi d’artificio e tanta rabbia nel cuore per
i feriti.

Il giorno dopo a Venaus si discute a lungo di prospettive, di iniziative
di percorsi da costruire.
Sabato in Clarea la polizia blocca con i jersey ma alla fine si arriva
tutti lo stesso alle reti. Alcuni vanno e ne tagliano qualche pezzetto.
Il giorno successivo altra assemblea a Venaus e poi tutti a Bussoleno. C’è
chi vorrebbe andare in autostrada, chi preferisce un blocco dei treni. Si
opta per un blocco della ferrovia e della statale 25.
Per oltre un’ora il due TGV verranno fermati dalla polizia a Chiomonte e
ad Avigliana. In questo modo restano fermi anche due regionali, che i No
Tav intendevano far passare limitandosi a fermare i treni veloci.
In questi giorni entra in vigore il nuovo orario ferroviario con altri
tagli di fermate e di treni per i pendolari. È il trasporto all’epoca
delle grandi opere: investimenti miliardari per i costosissimi treni
superveloci e tagli per i treni usati da chi studia e lavora.

Quattro giorni di lotta e di resistenza popolare. Quattro giorni per
discutere e confrontarsi sul futuro, per scegliere le strategie più
efficaci.
Tante le iniziative in cantiere: dalla fiaccolata solidale con i feriti,
dallo sciopero generale, alla grande manifestazione, passando per un
capodanno alle reti.
In tutti è forte l’orgoglio di chi non si è mai tirato indietro, ma
altrettanto forte è la consapevolezza che occorre allargare il fronte:
stringere d’assedio le reti è importante, ma occorre al contempo porre le
basi per rendere ingovernabile l’intero territorio.
Intorno alle reti e sull’autostrada, nelle assemblee e nei blocchi si sono
poste le basi.

La resistenza continua… Finché non avremo cacciato le truppe di occupazione.

Maria Matteo

Questo articolo comparirà sul prossimo numero del settimanale Umanità Nova