Tra tendopoli e CIE. Rivolte, fughe e deportazioni



Tra tendopoli e CIE. Rivolte, fughe e deportazioni

Rivolta e incendio al CIE di Santa Maria Capua Vetere
Nella notte tra martedì 7 e mercoledì 8 è scoppiata una rivolta nel nuovo
CIE/tendopoli nell’ex caserma Andolfato. La scintilla le botte e gli
sfottò verso un giovane immigrato che chiedeva di poter tornare a casa per
il funerali del fratello.
La risposta della polizia è stata durissima: cariche, botte e lancio di
lacrimogeni.
I lacrimogeni avrebbero innescato un incendio, che ha distrutto buona
parte delle tende del CIE.
Completamente diversa la versione della polizia che accusa gli immigrati
di aver incendiato le tende per coprire un tentativo di fuga.
Secondo il Corriere del Mezzogiorno la procura ha messo sotto sequestro il
CIE e i 98 immigrati tunisini – venti dei quali malconci dopo gli scontri
e l’incendio – sono stati trasferiti.
Repubblica riferisce che gli immigrati sarebbero stati prelevati nella
notte e trasferiti in altre strutture dell’Italia meridionale. Secondo gli
avvocati che hanno seguito per l’intera nottata la vicenda una trentina di
loro dovrebbe ottenere il permesso, altrettanti hanno qualche possibilità,
mentre per gli altri sarebbe certa l’espulsione.
Un fatto è certo. C’è un CIE di meno.

Torino. Inganni e deportazioni
Giovedì 9 giugno. La questura da appuntamento a tutti in corso Verona per
la consegna del permesso di soggiorno. Ma è solo un trucco. Cinquanta
egiziani vengono sequestrati, portati nella sede centrale di via Grattoni
dove viene comunicata loro l’espulsione.
Fuori dalla questura si raduna un piccolo presidio di parenti e
antirazzisti, che sperano si possa ancora impedire la deportazione. La
risposta della polizia è rapida e brutale: carica con tanto di
lacrimogeni.
Gli egiziani, caricati a forza sui pullman vengono portati all’aeroporto
di Caselle dove in serata è già pronto un volo speciale della Mistral Air,
la compagnia che ha l’appalto dal Ministero per questo genere di
operazioni.
Gli egiziani erano alcuni dei tanti ragazzi sbarcati in Italia dopo le
rivolte in nord Africa: era stato promesso loro un permesso per motivi
umanitari, ma la disponibilità del governo egiziano a riprenderseli in
blocco, ha dato il via libera al rimpatrio coatto.
Il governo, in difficoltà con il proprio stesso elettorato, dopo il
risultati delle consultazioni amministrative, reagisce con la consueta
combinazione di stupidità e ferocia.
Purtroppo la solidarietà concreta contro le espulsioni è ancora pratica di
una piccola minoranza. A noi tutti l’impegno a farla crescere.

Palazzo San Gervasio. Muri, ciabatte, rivolte e censura
Palazzo S. Gervasio. Qui, in provincia di Potenza sorge una delle tante
tendopoli/CIE messe su in fretta e furia da Maroni, quando è stato chiaro
che l’Unione Europea non aveva alcuna intenzione di farsi carico delle
migliaia di profughi e migranti stipati a Lampedusa.
Nato il primo aprile come centro di accoglienza è stato trasformato in CIE
“temporaneo” con un decreto del consiglio dei ministri del 21 aprile.
Stessa sorte della tendopoli di Kinisia in provincia di Trapani e dell’ex
caserma Andolfato, chiusa dopo l’incendio dell’8 giugno.
Qui cose banali come visite di avvocati, giornalisti o amici sono un
miraggio.
Raffaella Cosentino nel suo reportage su questo blocco di cemento a filo
spinato al confine tra Basilicata a Puglia scrive “Isolati nelle campagne
lucane al confine con la Puglia, i giovani della rivoluzione dei gelsomini
vedono svanire in un incubo il sogno dell'Europa. "Ammar 404" era il nome
dato alla censura del dittatore Ben Alì dagli internauti tunisini. 1305 è
il numero della circolare interna del Viminale che instaura la censura sui
centri per migranti in Italia a partire dal primo aprile, vietandone di
fatto l'accesso ai giornalisti ‘fino a nuova disposizione’. In questo
momento è più facile entrare in un carcere di massima sicurezza che in una
tendopoli.”
Secondo la Questura tutto va bene e i ragazzi tunisini chiusi dietro al
filo spinato vivono nel migliore dei mondi possibili.
Dopo due mesi la giornalista di Repubblica è riuscita ad ottenere dalla
Prefettura di Potenza il permesso di parlare ai reclusi dietro le spesse
maglie metalliche della prima recinzione. Il articolo, arricchito da un
video fatto filtrare dai reclusi racconta un storia diversa.
Qui nessuno ha più le scarpe: gliele hanno sequestrate per impedire loro
di imitare la trentina di ragazzi che si sono arrampicati, hanno saltato
la recinzione, guadagnandosi la strada per proseguire il viaggio.
Quelli di Connecting People, che hanno preso in gestione la struttura
senza alcuna gara di appalto, non forniscono neppure i moduli per la
richiesta di asilo.
Per loro l’unico problema dei reclusi è la mancanza di peperoncino nel cibo.
Il video passato alla giornalista di Repubblica mostra una rivolta e un
tentativo di fuga di massa: ci sono immigrati feriti e agenti in tenuta
antisommossa.
Checché ne dicano secondini prezzolati di Connecting People, l’unica fame
vera è quella di libertà.

Per info e approfondimenti:
http://senzafrontiere.noblogs.org/