Torino. Idee corrosive



Torino. Idee corrosive

Giovedì 13 gennaio si è svolta la seconda udienza del processo che vede
alla sbarra sei anarchici imputati di imbrattamento di edificio storico in
occasione delle iniziative torinesi contro il G8.
Il PM Antonio Rinaudo, indefesso cacciatore di anarchici, sprezzante del
rischio di cadere nel ridicolo, accusa i compagni dei “delitti 81 cpv,
110, 639 comma 2 perché con più azioni esecutive di un medesimo episodio
criminoso (…) deturpavano e imbrattavano parte di un immobile sito in via
Fanti 17, facente parte di un edificio parzialmente costruito nel 1700 e
quindi ritenuto di interesse storico, luogo dove ha sede il centro
congressi dell’Unione Industriali di Torino”.
Il tutto per una secchiata di pomodoro e un po’ di mazzette di soldi finti
gettati sul marciapiede davanti al cancello del palazzo dei padroni.

Sono stati ascoltati i testimoni dell’accusa, un carabiniere dei Ros e due
responsabili dell’Unione industriali e i due periti della difesa. Il
carabiniere, nonostante ce la mettesse tutta, non è riuscito a gonfiare la
faccenda, i due dipendenti dell’Unione Industriali hanno di fatto negato
di aver subito danni.
I periti della difesa hanno illustrato una lunga relazione tecnica che
dimostra che l’edificio di via Fanti, costruito begli anni Sessanta, non è
né “storico” né sotto tutela, come non è “storica” né sotto tutela la
limitrofa palazzina di fine Ottocento di via Vela.

I compagni hanno fatto una dichiarazione spontanea leggendo un documento
sulle ragioni delle iniziative del luglio 2009 contro il G8.

Il processo è stato rinviato al 6 aprile per le arringhe e la sentenza.

Di seguito il testo letto in tribunale ieri.
L’8 luglio 2009 cominciava all’Aquila la riunione dei G8.
All’Aquila i padroni del mondo facevano la loro passerella tra le rovine
della città distrutta dal terremoto. La gente in tenda circondata da
uomini armati, i potenti in una caserma/fortezza milionaria. Roba da
brividi. Un G8 tra le macerie. Metafora reale di un tempo segnato dalla
ferocia e dalla forza, dalla guerra e dalla miseria, dal banchetto di una
minoranza di ricchiepotenti sulle spalle dei più.
Un’arroganza che nemmeno si maschera dietro la retorica, nemmeno finge i
buoni sentimenti.
L’Aquila è il simbolo inquietante di un futuro che è già presente.
Un’intera popolazione sotto controllo, mentre i soliti noti costruiscono
fortune “umanitarie”.
Non si può tacere di fronte alle macerie trasformate in palcoscenico per i
potenti, mentre tanta gente, che nel terremoto aveva perso le persone
care, la casa, lavoro, fin la speranza di un futuro, soffriva sotto le
tende, prigioniera nei campi militarizzati.
Non si può tacere di fronte ad una città chiusa, transennata e sorvegliata
da uomini in armi, perché nessuno la vuole ricostruire, perché rifare un
centro storico costa e non rende.
Non si può tacere di fronte alla parata di politici e faccendieri che si
preparano a spartire la torta succosa del dopo terremoto.
Non si può tacere quando capi dei governi più forti della terra discutono
il destino dei sei miliardi di esseri umani, incuranti che, di G8 in G8,
di vertice in vertice, la gran maggioranza della gente del pianeta
sopravviva e stento con meno di un paio di dollari al giorno.
Non si può tacere e noi non abbiamo taciuto.
Abbiamo voluto con un’azione comunicativa ricordare che chi lucrava sulla
“ricostruzione”, sulla New Town erano gli stessi che si erano ingrassati
costruendo con la sabbia case destinate a venire giù. Come dimenticare
l’ospedale S. Salvatore, nuovo di zecca, appena finito dall’Impregilo,
crollato come un castello di carte?
Come dimenticare che le ricchezze dei padroni sono costruite con il sudore
ed il sangue di chi, per vivere, deve lavorare? Ogni giorno, ogni ora, in
qualche dove, qualcuno muore sul lavoro.

Nella serata del 7 luglio abbiamo fatto un’iniziativa di protesta davanti
alla sede dell’Unione Industriali in via Fanti. Sulla cancellata esterna
della palazzina abbiamo appeso uno striscione bianco con la scritta “G8:
guerra, schiavitù, oppressione”, siglato FAI.
Sul marciapiede antistante il cancello esterno dell’edificio abbiamo
gettato una secchiata di pomodoro, alcune mazzette che imitavano le
banconote da 20, 50, 100 euro e una decina di sacchetti azzurri pieni di
carta con all’esterno il simbolo dell’euro.
L’azione, chiaramente di carattere simbolico – il palazzo che ospita
l’Unione Industriali non è stato neppure sfiorato – aveva l’intento di
richiamare l’attenzione sul vertice dei G8, denunciandone le
responsabilità nei confronti della maggioranza della popolazione del
pianeta, condannata alla miseria e all’oppressione. Un piccolo gesto per
rompere il muro grigio dell’informazione, che narra la favola indecente e
falsa di un mondo da cartone animato.
È pertanto evidente l’infondatezza della contestazione e la contraddizione
tra le accuse che ci sono rivolte e la concreta dinamica dei fatti, come
peraltro già emerge sin dalla descrizione che ne fa il capo di
imputazione.
Lo dimostrano le foto scattate nell’occasione, che abbiamo prodotto.
Se oggi siamo qui in quest’aula di tribunale, se veniamo accusati di un
reato che non abbiamo commesso, le ragioni sono tutte nelle nostre idee.
Queste sì corrosive per l’ordine folle che governa questo mondo. Queste sì
corrosive per i palazzi del potere.
Se ci condannate è per quello che abbiamo detto e scritto non certo per
una secchiata di pomodoro sul marciapiede.

Per info e contatti:
Federazione Anarchica Torinese
Corso Palermo 46
Riunioni, aperte a tutti gli interessati, ogni giovedì dopo le 21
fai_to at inrete.it - 338 6594361