Susa. Migliaia di No Tav in marcia



Susa. Migliaia di No Tav in marcia

Sabato 11 dicembre. Migliaia di No Tav hanno dato vita ad un corteo vivace
ed animato dall’autoporto di Susa al centro della città. Una bandiera No
Tav è stata issata sul municipio, governato da Gemma Amprino, Si Tav, che
sino ad oggi si è ben guardata dal raccontare alla gente del suo paese e,
in particolare, agli abitanti della frazione S. Giuliano quante case
verranno abbattute, quante altre si troveranno al centro un cantiere
destinato a durare oltre un decennio.
Il corteo – svoltosi in contemporanea con chi in Europa e in Italia
resiste agli scempi ambientali – ha rappresentato una buona occasione per
chiarire a chi vuole imporre con la forza l’opera che di mezzo ci sono le
ragioni di una popolazione che resiste e non si arrende.
La partita del Tav sta entrando nel vivo: tra gennaio e febbraio
proveranno a impiantare i cantieri del tunnel geognostico di Chiomonte, 10
chilometri di galleria. Non è un sondaggio, è l’inizio dei lavori. Per
farlo dovranno mettere in campo operai, mezzi e poliziotti da Torino al
confine francese: i NO Tav hanno ribadito l’intenzione di bloccare
quest’opera folle e devastante, utile solo a far confluire enormi somme di
denaro pubblico nelle tasche dei compagni di merende del governo e
dell’opposizione, tutti uniti in nome del progresso… dei loro conti
bancari!

Di seguito il volantino che abbiamo distribuito al corteo.

Il gioco dell’oca
Tutti da bambini abbiamo giocato al gioco dell’oca. Un tabellone, i dadi e
un percorso irto di ostacoli. Se capiti nella casella giusta vai avanti,
in altre resti fermo. C’è anche la casella che ti riporta alla partenza.
Nel dicembre del 2005 la gente No Tav poteva vincere una partita, giocata
con gambe, cuori e scarponi, senza delegare a nessuno, tanto meno ai dadi,
il proprio futuro. Dopo tre giorni di blocchi, dopo la ripresa di Venaus,
il governo convocò d’urgenza gli amministratori locali e chiese una
tregua, offrendo in cambio un tavolo di trattative. Bastava dire no.
Bastava dire, come tante volte avevamo detto, che sulla vita, la libertà,
la dignità non si tratta. Bastava resistere un minuto in più e avrebbero
mollato: lo hanno fatto quest’anno a Terzigno, lo fecero l’anno precedente
a Scanzano, dove la gente, con tre settimane di blocchi ininterrotti,
impedì la discarica nucleare. Bastava rifiutare la delega in bianco agli
amministratori, dire che quel tavolo non lo volevamo.
I risultati sono sotto gli occhi di tutti: dopo cinque anni siamo tornati
alla partenza, perché invece del gioco della libertà abbiamo scelto il
gioco dell’oca, abbiamo gettato i dadi, affidandoci agli amministratori.
Giocare all’osservatorio Virano ci ha riportati in strada, una strada
tutta in salita.
Già allora capimmo che l’osservatorio era una trappola, un sistema per
passare con l’inganno, dove la forza non era bastata. Ci fermammo lo
stesso per non rompere con gli amministratori, perché troppi non capirono
che gli amministratori, accettando e sottoscrivendo quell’accordo, si
preparavano a saltare il fosso. Le sirene del potere, del prestigio, del
denaro stavano cantando la loro canzone. Quando ci sono di mezzo tanti
soldi, tante lusinghe di fama e poltrone, i dadi sono sempre truccati.
Ci attende un lungo inverno di lotta e resistenza.
Il governo, questo o un altro poco importa, metterà in campo tutta la sua
forza: uomini in armi per le strade, una buona campagna di
criminalizzazione mediatica, il solito gioco di dividere i buoni dai
cattivi, e, magari un ordigno piazzato al momento giusto nel posto giusto.
La strategia della tensione non è mai finita anche se sono passati 41 anni
da piazza Fontana e dall’assassinio nei locali della questura milanese del
ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli.
Il governo non guarda in faccia nessuno: a Brescia come a Milano lo ha
dimostrato pestando e deportando gli immigrati in lotta per il “permesso”
di soggiorno. Un “permesso” riservato a chi ha un lavoro in regola. Un
beffa crudele in un paese dove l’unica regola è il lavoro nero. Le linee
ad alta velocità sono costate miliardi di euro ed un morto a chilometro.
Spesso, nel silenzio e nell’indifferenza di troppi, a morire era un
lavoratore senza il “permesso”, uno schiavo alla catena, che vive e muore
sotto il ricatto dell’espulsione. I lavoratori immigrati – così come le
popolazioni che difendono il territorio dalla rapina e dal saccheggio –
sono strangolati da leggi che rendono illegale la protesta.
In questo paese la legalità sono vent’anni di cantieri, inquinamento,
taglio delle falde, rumore, camion, discariche. Legalità sono i militari
in strada, la guerra, le bombe e l’occupazione in Afganistan. Legalità
sono i regali fatti ai padroni, che lucrano sulle vite di chi lavora e si
prendono i beni comuni. Legalità è imporre con la forza un’opera che non
vogliamo. Legalità è il Tav.
Se lo Stato dice che un uomo è illegale, perché nato povero, se lo Stato
dice che difendersi dalla speculazione è illegale, se il presidio di
Chiomonte è illegale, occorre chiedersi se ciò sia legittimo.
La risposta è la stessa del 2005. Ancora una volta dovremo resistere,
sapendo che è illegale. Ancora una volta dovremo metterci di mezzo,
sapendo che è illegale. Ancora una volta dovremo spezzare una rete,
violare un confine, fare una barricata, sapendo che è illegale. Sapendo
che la libertà non si mendica ma si prende, che le regole di un gioco
truccato devono essere violate, che solo costruendo un percorso di
autogestione dal basso dei territori e della politica potremo cambiare di
senso alla storia.
Questa volta dobbiamo resistere finché non mollano. Basta con i tavoli,
basta con il gioco dell’oca, basta tornare alla partenza. Che chi viene
dopo di noi abbia altri obiettivi da perseguire, altre barricate da
costruire.
Senza giustizia sociale, senza uguaglianza reale, senza libertà di
scegliere in prima persona non c’è futuro, non c’è libertà.

Per info e contatti:
Federazione Anarchica Torinese – FAI
corso Palermo 46 – riunioni – aperte a tutti gli interessati – ogni
giovedì dalle 21
fai_to at inrete.it – 338 6594361