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CIE di Torino. Torture democratiche
- Subject: CIE di Torino. Torture democratiche
- From: "Federazione Anarchica Torinese - FAI" <fat at inrete.it>
- Date: Sat, 11 Dec 2010 11:58:33 +0100 (CET)
- Importance: Normal
CIE di Torino. Torture democratiche CIE: Hassan e Arbil da 8 giorni al freddo, in sciopero della fame, tra umiliazioni e pestaggi Domenica 12 dicembre Ore 15,30 Presidio solidale in piazza Castello angolo via Garibaldi Ore 18,30 Presidio al CIE di corso Brunelleschi Per approfondimenti: http://senzafrontiere.noblogs.org/ Di seguito uno dei volantini che verrà distribuito in piazza: I CIE – centri di identificazione ed espulsione per immigrati - sono le galere che lo Stato italiano riserva ai clandestini, ai senza carte. Sono posti dove finisci per quello che sei, non per quello che fai. Come nei lager nazisti. Raccontano che nei CIE ci sono i delinquenti, ma mentono. Nei CIE rinchiudono chi ha perso il lavoro e, quindi, anche le carte, oppure chi un lavoro a posto con i libretti non l’ha mai avuto e quindi nemmeno le carte in regola. Il lavoro che ricatta la vita di noi tutti, italiani ed immigrati, è una vera catena per gli immigrati. Una legge razzista, una delle tante, sancisce che può vivere nel nostro paese solo chi ha un contratto di lavoro, chi accetta di lavorare per quattro soldi, senza tutele e senza orario. Oggi i migranti, con permesso o in nero, sono i nuovi schiavi di quest’Europa fatta di confini e filo spinato. Le leggi sull’immigrazione sono parte del mosaico normativo che incastra le vite dei lavoratori immigrati e, in prospettiva in rapido avvicinamento, dei lavoratori italiani, non di rado incapaci di cogliere il nesso tra leggi contro la clandestinità e riduzione di salari e tutele per tutti. L’immigrato senza “permesso” finisce nei CIE e di lì via, indietro, ancora verso la miseria da cui è fuggito. Nei CIE soprusi, pestaggi, cure negate, sedativi nel cibo sono pane quotidiano. Le lotte degli immigrati rinchiusi nei CIE hanno segnato l’ultimo decennio. Una lunga resistenza, spesso disperata, fatta di braccia tagliate, bocche cucite, lamette o pile ingoiate. Qualcuno ha preferito la morte alla deportazione e l’ha fatta finita. In tanti si sono ribellati, bruciando materassi, distruggendo suppellettili, salendo sul tetto. Un po’ ovunque ci sono stati tentativi di fuga. Due settimane fa nel CIE di Torino sei ragazzi si sono cuciti la bocca con ago e filo. Li hanno lasciati lì, senza cibo, con le ferite infette, finché non hanno ceduto e si sono lasciati scucire. Il 14 luglio di quest’anno al CIE di Torino è scoppiata una rivolta, una delle tante. In lotta contro le deportazioni di massa verso la Tunisia, gli immigrati della sezione bianca diedero fuoco a materassi e suppellettili, rendendo inagibile l’area. In quell’occasione la polizia pestò duro: un ragazzo massacrato di botte dovette attendere ore prima di essere portato in ospedale. Gli antirazzisti per fare pressione occuparono per tutta la sera il cortile della Croce Rossa in via Bologna. La settimana successiva un altro tunisino, Sabri, resistette per tre giorni e tre notti sul tetto del CIE, prima di essere buttato giù e venire deportato. Fuori gli antirazzisti fecero un presidio permanente e provarono inutilmente a fermare la camionetta che lo portava via. Qualche settimana dopo sei dei ragazzi che avevano partecipato alle lotte di luglio vennero arrestati. Il 2 dicembre sono stati condannati dal tribunale di Torino a pene comprese tra l’anno e mezzo e i due anni e otto mesi. Questa è la vendetta dello Stato contro chi alza la testa e si ribella alle deportazioni. Ai tre con meno di due anni è stata concessa la sospensione condizionale, ma non sono stati liberati. Li hanno ricondotti al CIE. Messi in isolamento in una sezione senza riscaldamento hanno protestato. La risposta è stata chiara e secca: un ragazzo è stato pestato e immediatamente deportato. Un altro, Hassan, condotto dal giudice di pace per la convalida, è stato obbligato, unico tra altri cinque, ad una umiliante perquisizione personale. Hassan e Arbil sono in sciopero della fame da 8 giorni. Chiedono solo di essere messi con gli altri, al caldo. Hassan ha anche ingoiato dei ferri. Poliziotti e crocerossini li lasciano lì, al freddo, senza cure, convinti che in questa città siano tutti regni l’indifferenza, il tacito consenso. Noi pensiamo che non sia così. Hassan e Arbil sono sotto tortura, una tortura soft, democratica, ma pur sempre tortura. Se un giorno qualcuno chiederà “dov’eravate quando la gente moriva in mare e nel deserto? Dov’eravate ai tempi dei lager e delle deportazioni? Noi vorremmo poter rispondere “ero lì, con gli altri, a resistere”. Mettersi in mezzo è un’urgenza che parla a ciascuno di noi. Se non ora, quando? Se non io, chi per me? Per info e contatti: Federazione Anarchica Torinese – FAI corso Palermo 46 – riunioni – aperte a tutti gli interessati – ogni giovedì dalle 21 fai_to at inrete.it – 338 6594361
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